Nel suo libro L’arte nel cesso. Da Duchamp a Cattelan, ascesa e declino dell’arte contemporanea (2017), Francesco Bonami afferma che le Biennali sono “una forma di onanismo. Le Biennali, come l’onanismo, finiscono nel momento stesso in cui si concludono e appena sono finite – come appunto la masturbazione – si vorrebbe cominciare da capo ma non ci si riesce o non si può”. Qualcuno, però, è riuscito a ovviare a questa amara conclusione e a soddisfare questo condivisibile desiderio. Sono Animali Domestici (duo di designer composto da Alicia Lazzaroni e Antonio Bernacchi) e gli architetti Tijn van de Wijdeven ed Eduardo Cassina, i quali hanno ideato il progetto online Le Biennali Invisibili, a cura di Alfons Hug e commissionato dal Goethe-Zentrum di Baku.
Le Biennali Invisibili prende il nome dal romanzo Le città invisibili (1972) di Italo Calvino, la cui trama ha ispirato gli undici testi delle Biennali che compongono il progetto. Ogni testo, scritto dagli ideatori e ispirato dall’opera dello scrittore italiano, si modella sul vestito tridimensionale immaginario creato ad hoc per ogni esposizione e si affianca a un contributo critico proveniente da un ospite esterno sempre diverso. Troviamo così Bottavia, “biennale curata da un bot”, con l’intervista dell’architetta Merve Bedir all’artista Bager Akbay riguardante i lavori Deniz Yılmaz (2015) e The Sherped (2016), rispettivamente incentrati su un ‘poeta robotico’ e un ‘curatore robotico’; Canonice, “triennale conservativa” per la quale l’artista e curatrice Sabina Shikhlinskaya esamina il concetto di ‘neofobia’ (la paura del nuovo); Eccessa, biennale “for-profit” in cui ogni (necessario) investimento “genera profitto da qualsiasi cosa a ogni livello”: l’architetta Nora Akawi ha stilato per l’occasione una sorta di vedemecum per gli investimenti; Evenia, quadriennale che si svolge nel giorno dell’“equinozio di primavera di un anno bisestile”, la quale viene collegata da Sofia Pia Belenky, designer con base a Milano, all’episodio del Decameron di Boccaccio in cui un gruppo di ragazzi sfugge dalla peste nera isolandosi sulle colline toscane; Generica, biennale che risulta indimenticabile per il fatto di non avere nulla di speciale, il cui testo dell’artista Marco Montiel-Soto esamina un’ipotetica “Sindrome Depressiva Post-Biennale” causata dall’eccesso di euforia iniziale.
Continuiamo presentando Insegna, “biennale senza parole” che si caratterizza per un linguaggio tutto proprio: Gili Merin, architetta e fotografa, indaga a tal proposito i legami tra immagini e parole attraverso il lavoro Before They Disappear (1956-57) di Walker Evans; Novichelovekan, biennale dedicata a tutto ciò che è inedito e “verginale”, per la quale il curatore Abhijan Toto riflette sui cambiamenti della cultura in rapporto all’evolversi del capitalismo; Palimpesestia, biennale d’architettura nella quale i progetti si accumulano nel corso delle sue edizioni: Tinatin Gurgenidze, fondatrice della Biennale d’Architettura di Tbilisi (Georgia), sfrutta l’occasione per interrogarsi sul senso di queste manifestazioni che si impongono ai nostri occhi – inesorabilemte e inevitabilmente – ogni due anni; Puerilia, “biennale creata da bambini per bambini”, per la quale l’artista Araks Sahakyan analizza il rapporto tra adulti e bambini attraverso il rituale ricorrente del compleanno – in particolare quello dei sei anni, momento delicato della vita “in cui il bambino inizia la scuola, entra nei ranghi e nelle statistiche dei ‘promossi’ e dei ‘bocciati’”; Referenda, “una biennale democratica” in cui “ogni decisione è votata collettivamente”, la cui solida struttura, secondo l’architetto ed educatore Matīss Groskaufmanis, è sorretta dai precetti di “tempo come denaro, efficienza come vita e organizzazione come valore”; infine Rexia, biennale nata da un’antica dinastia e concepita inizialmente come un “evento di pellegrinaggio religioso”, nella quale ogni “SUPER-KURATOR – come scrive lo storico dell’arte Georg Seeßlen – costituisce una sorta di Dio o Dea”.
L’intero progetto online de Le Biennali Invisibili riflette dunque sulla natura di questi eventi, tanto effimeri quanto estremamente incisivi nell’ambito della storia dell’arte, e sul significato che hanno assunto, in particolare, in questi ultimi decenni: nonostante l’avvento di internet e delle community social – con cui si sono azzerate le distanze e velocizzati i tempi di interazione – esse continuano comunque a costituire degli incubatori di idee e di novità, rappresentando la meta di “pellegrinaggio per le industrie culturali del nuovo millennio”. Con un “network di collaboratori che si estende da New York a Hong Kong”, le undici Biennali Invisibili, uscite allo scoperto nel gennaio 2021, amplificano il valore comunitario di tali manifestazioni, e lo fanno attraverso il lirismo e l’ironia che contraddistingue la poetica di Italo Calvino. In fondo, quando ci ricapita di poter fruire di undici biennali contemporaneamente?