Testo di Mariacarla Molè —
La Sala della Caccia del Castello del Valentino, la Sala dei Mappamondi dell’Accademia delle Scienze, un cinema a luci rosse e un locale di San Salvario, quattro appuntamenti, un’immagine geniale a tenerli insieme, quella del bersaglio, rubata alla Pagina della Sfinge della Settimana Enigmistica, un gioco che consiste nel raggiungere il centro di un bersaglio fatto di parole, scartandone una dopo l’altra, in presenza di anagrammi, scarti, aggiunte, metafore e associazioni di idee.
È la la prima edizione di UMLAUT, il public programme per le arti visive contemporanee curato dal Centro di Permanenza ConTemporanea (Lucrezia Calabrò Visconti, Stefano Colicelli Cagol, Luigi Fassi), che trova nel segno grafico molto semplice dell’umlaut la metafora di una metodologia minima ma efficace.
Nel primo appuntamento L’esperienza del porgere. Storia e museografia nell’Italia del secondo dopoguerra Orietta Lanzarini (Università di Udine) ha guidato una promenade nella pratica museografica del tempo, attraverso gli allestimenti di Carlo Scarpa, Franco Albini, Bbpr, Lina Bo Bardi, esempi di una ricchezza progettuale capace di porgere le opere in maniera sublime, e di un linguaggio espositivo al loro servizio, che possa amplificarne il significato, intrecciare nuove relazioni e mettere in ombra delle problematicità.
In controtendenza al magniloquente apparato scenografico che caratterizzava la museografia del dopoguerra, asservita alle ideologie, gli esempi esposti durante il talk testimoniano l’emergere di nuovi codici di comunicazione in un clima che era di forte rinascita e partecipazione culturale. Gli allestimenti analizzati da Lazzarini definiscono un canone espositivo con una forte matrice comunicativa capace di legare opere e pubblico, lasciare che le prime si raccontino e si aprano a una fruizione che vada oltre la pura contemplazione, segnando l’inizio di un nuovo fare museologico.
L’esercizio di genealogia del canone espositivo offre argomenti ancora urgenti, e ricorda quando il museo ha iniziato a essere un luogo di costruzione della cultura, democratico e formativo, e come possa essere ancora un modello per le pratiche contemporanee.
Nel secondo talk il canone al centro del dibattito è quello dell’eurocentrismo, che in una prospettiva ribaltata viene ripercorso nel tentativo di smantellare l’apparato di stereotipi che in maniera sotterranea permangono nella cultura occidentale. In Le smanie della climatologia. Il sud dell’Europa è il Sud del mondo Roberto Dainotto (Duke University) ha tentato di ricostruire il flusso del pensiero climatologico da cui s’è generata l’ossessione per i climi temperati in epoca moderna, che attraverso una lunga catena sillogistica, neanche tanto velatamente deterministica, ha giustificato la supremazia dell’Europa e la marginalizzazione dei paesi al sud. Andrea Gazzoni (University of Pennsylvania) ha quindi rintracciato nel pensiero caraibico, nella versione di cinque suoi teorici, una possibile alternativa alla “storia scritta dai vincitori”.
I due splendidi mappamondi di Vincenzo Coronelli forniscono alla sala una metafora lucida di una nuova postura possibile per guardare al mondo che viviamo. L’invito è ad abbandonare la superficie piana delle carte geografiche per riscoprire la tridimensionalità del globo, una pratica che riesce a essere più aderente a un mondo in cui il mito che tutto possa essere catturato e conosciuto è fallito e non resta che riabilitare il diritto all’opacità, rinunciando a modelli superiori e normativi in favore di un globalità con molteplici centri.
Questa immagine conduce, su un versante lontano ma tangente, al pensiero di Mario Mieli a cui è dedicata la performance di Luca Scarlini La notte del Faraone: un ritratto in piedi di Mario Mieli.
Nella sala demodè e attaccaticcia di uno degli ultimi cinema porno torinesi la genialità drammatica di Scarlini (saggista e storyteller), su una playlist assolutamente originale, inscena il ritratto di uno dei fondatori del pensiero omosessuale italiano. La giovinezza da borghese oisif in una Milano di piombo, la passione per l’esoterismo, la fascinazione per l’Egitto, la smania per l’esotico, una vita vissuta da meraviglioso uccello del paradiso, maledetta e velocissima verso esiti terribili.
Mentori d’eccezione: David Bowie deus ex machina, Marella Agnelli musa ispiratrice, Paolo Poli esempio di una liberazione che trova nella forma del dramma la sua realizzazione.
Mieli ha il profilo del profeta del sesso del futuro, del teorico di un ermafroditismo originario e profondo, è performer di una provocazione mistica, predicatore della transessualità come telos per la liberazione dell’Eros. Mieli invita a una disponibilità erotica potenziale all’accettazione della propria natura, e chiama a riconoscere la propria omosessualità intrinseca e latente, unico ponte verso una dimensione esistenziale decisamente altra, sublime e profonda.
La fascinazione per ritmi esotici accompagna il pubblico nell’ultima tappa, nell’ambiente di Isola dove il pianista e compositore Marino Formenti in Time to Gather restituisce il lavoro portato avanti nell’intera settimana con sei musicisti in un output pubblico improntato all’anarchia.
Formenti ha messo su uno studio di comunicazione e musicalità one to one, trascorrendo un’intera giornata con ciascuno dei sei musicisti (cinque di origine africana e un italiano) in cui la musica è stata vissuta come spazio di relazione, strumento con cui fare e disfare e non un prodotto finale, concluso e definito. La serata stessa ha avuto un carattere assolutamente spontaneo, aperta a interventi dal pubblico, nella forma di una jam session dagli esiti imprevedibili.
Al pubblico di Bersalia è ormai chiaro che bisogna rinunciare a ogni pretesa di omogeneità a radice unica, giocando piuttosto a fare collegamenti e espansioni, negoziazioni e andirivieni.
Il filo che tiene insieme i quattro incontri è da intendersi come un invito a non perseverare in un movimento rettilineo e uniforme ma lasciarsi ispirare dai cerchi concentrici del bersaglio che con un movimento circolare che ne assecondi i meandri creano relazioni inedite e affinità inattese.
Un pensiero che come un sasso lanciato sull’acqua fa fiorire infiniti cerchi, o con le parole di A. Benítez-Rojo in Repeating Island “Un’isola che ripete se stessa, dispiegandosi e ramificandosi finché raggiunge tutti i mari e tutte le terre del mondo”.