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Mark Barrow e Sarah Parke sono i vincitori della 40° edizione del Premio Matteo Olivero: la loro luminosa installazione Analemma inaugura venerdì 27 maggio a Saluzzo, all’interno della rinascimentale Cappella Cavassa. Questa edizione del Premio, “Ricordare la memoria”, è stata curata da Stefano Raimondi e organizzata da The Blank Contemporary Art in collaborazione con la Fondazione Amleto Bertoni.
Seguono alcune domande ai due artisti —
Claudia Santeroni: Più che una serie di domande, mi piacerebbe lanciare una serie di spunti di conversazione: quando ho studiato il vostro lavoro per fare questa intervista, ho letto del rapporto tra la tessitura e la pittura. Parlando di memoria, mi è venuto automatico pensare al fuso delle parche, il filo di Arianna, la tela di Aracne, il filo della necessità di Ananké, precedenti mitici del vostro percorso, metafore tessili strettamente connesse alla memoria.
Mark Barrow – Sarah Parke: Non abbiamo pensato a questi racconti mitologici in relazione al nostro lavoro, ma queste connessioni sono davvero interessanti! Concentrandoci sul materiale e sulla tecnica, che utilizziamo nel nostro lavoro in modo del tutto peculiare, cerchiamo di raggiungere dei concetti ampi come quelli del tempo e delle memoria. Più a fondo esplori qualcosa come l’arte, la scienza, la filosofia o la religione, più diventano vicine e connesse. Non è una sorpresa che il filo è una metafora utilizzata sia nell’opera d’arte che nel mito o come concetto teorico dell’universo. Le persone possono capire dei concetti solo attraverso altri concetti. Alcune metafore sono profondamente intrecciate nella nostra psiche collettiva.
CS: Immagino ci siano delle interazioni e degli scambi importanti e delle sinergie sia a livello tecnico sia processuale tra pittura, scultura e tutta la grande storia legata alle vetrate.
MB – SP: Utilizziamo quasi sempre la stessa metodologia indipendentemente dal medium con cui lavoriamo; riduciamo le cose a elementi piccoli, essenziali, ripetibili. Le diverse composizioni delle finestre hanno tutte un comune punto di partenza, un motivo tessile che riprendiamo e successivamente combiniamo in nuovi schemi, attraverso piccoli quadrati verdi, rossi, blu e neri. Otticamente i colori si mischiano per creare la composizione, come una sorta di teoria dei colori che incontra i pixel di uno schermo. Concentrandoci su piccoli elementi o componenti che si adattano a diverse applicazioni riusciamo a creare più ampie sinergie.
CS: Non mi ha stupita leggere che voi coltivaste già il desiderio di cimentarvi con una cappella, perché é l’ambiente ideale per collocare la vostra installazione, per via dei rimandi ai riferimenti storici: cattedrali, luce, ascesa.
MB – SP: Le nostre finestre a un livello base hanno molto in comune con le tradizionali vetrate, così, sin da quando abbiamo realizzato cinque anni fa la nostra prima opera con questo metodo, abbiamo sempre voluto realizzare una cappella. Per questa installazione abbiamo provato trasmettere l’idea della cappella come spazio contemplativo, un luogo aperto alle domande. Ci piace davvero molto che Tommaso d’Aquino sia dipinto sui muri.
CS: La rifrazione che proponete è digitalizzata, pixelata: lo sguardo contemporaneo è irreparabilmente condizionato dalla fruizione virtuale?
MB – SP: E’ difficile immaginare uno sguardo contemporaneo se non attraverso delle lenti digitali. Ma anche prima della proliferazione degli smartphone o di internet, i sistemi e i network (o i loro precursori) erano già presenti da lungo tempo. La caratteristica che sembra definire il nostro tempo è la velocità a cui queste cose si muovono. In qualche modo la nostra installazione va in direzione opposta a questa temporalità; utilizziamo e esponiamo alcune delle strutture e dei meccanismi del nostro mondo digitale in un modo che richiede all’osservatore di rallentare e concentrarsi.
CS: Ho da sempre un debole per gli artisti che lavorano in coppia: mi raccontate qualcosa di questa condizione particolare che cuce vita privata a vita professionale?
MB – SP: La nostra vita professionale ha sempre richiesto molto tempo, per questo abbiamo iniziato a collaborare come un modo per stare maggiormente insieme. Abbiamo delle personalità e dei punti di forza molto diversi e per questo ci completiamo a vicenda. A livello logistico funziona bene avere lo studio in un piano separato della nostra casa e avere la possibilità di discutere e pensare sulle cose tutto il tempo. Ma allo stesso tempo pensiamo che concettualmente sia molto fruttuoso lavorare da casa insieme.
40° Edizione Premio Matteo Olivero
START/Storia e Arte – Saluzzo
Cappella Cavassa, Saluzzo
Mark Barrow e Sarah Parke
Analemma
A cura di Stefano Raimondi
Interview with Mark Barrow e Sarah Parke —
Claudia Santeroni: More than a series of questions, I would like to launch a series of conversation starters: when I studied your work to do this interview, I read about the relationship between weaving and painting. Speaking of memory, it came to me automatically to think to the spindle of the Parcae, the thread of Arianna, the canvas of Aracne, the thread of Ananké’s need, mythical precedents of your path, textile metaphors strictly connected to memory.
Mark Barrow – Sarah Parke: We haven’t ever thought of those myths in relation to our work, but those are such interesting connections! By focusing on the materials we use in our work in a specific way, we try to get to larger ideas like time or memory. The deeper you explore anything really (art/science/philosophy/religion) the closer they become. It is not surprising that a thread is a metaphor used in an artwork, myth, or theoretical concept of the universe. People can only understand concepts through other concepts. Some metaphor’s are deeply entrenched in our collective psyche.
CS: I imagine there are interactions and important exchanges and synergies both at a technical and procedural level between painting, sculpture and all the great history connected to the stained-glass windows.
MB – SP: We pretty much use the same methodology in whatever medium we are working; we break things down into small, simple, repeatable elements. The different patterns in our windows all start from one textile pattern we pick and then we arrange red, green, blue and black squares into new patterns within that pattern. The colors optically mix to make the compositions— sort of like color theory meeting the pixels of a screen. By focusing on tiny elements or components across different things, we are able to create larger synergies.
CS: I wasn’t surprised to read that you already cultivated the desire to test yourself with a chapel: it’s the ideal place to situate your installation, because of references to historical references: cathedrals, light, rise.
MB – SP: Superficially our windows share a lot with traditional stained glass, so ever since we made our first window 5 years ago we have wanted to do a chapel. For this installation we tried to channel the idea of the chapel as a contemplative space, a place of inquiry. We really like that Tommaso d’Aquino is depicted on the chapel wall.
CS: The refraction you propose is digitized, pixelated: is the contemporary gaze irreparably influenced by virtual fruition?
MB – SP: It is hard to imagine the contemporary gaze not through a digital lens. But even before the proliferation of smart phones or the internet, the systems and networks (or percursors to them) were already in place for a long time. The defining characteristic of our current time seems to be the speed at which these things move. In some ways our installation goes against this tempo, we are utilizing and exposing some of the mechanics of our digital world in way that asks the viewer to slow down.
CS: Your installation is an hybrid between a mosaic and the stained-glass windows, in which the idea of “do with the hands” is a nerve centre.
MB – SP: When the perfection and regularity of the grid is the norm, the inconsistencies become really beautiful— where squares overlap or there are small gaps or things aren’t perfectly straight. There is an obvious relationship of the squares to pixels, but the idea of a handmade mosaic speaks to an older craft and allows the windows encompass a larger span of time.
CS: I have always had a weakness for artists working as a couple: could you tell me something about this particular condition that sews private life and the professional life?
MB – SP: Our professional lives has always been very time consuming. We began collaborating as a way to be able to spend more time together. We have very different personalities and strengths so we compliment each other well. Logistically it works well to have our studio on a separate floor in our home and to be able to discuss and think about things all the time. But we also find it very fruitful conceptually to work from home together.
Premio Matteo Olivero | 40 edtion
START/Storia e Arte – Saluzzo
Cappella Cavassa, Saluzzo
Mark Barrow and Sarah Parke
Analemma
Curated by Stefano Raimondi