Se si considera, come suggerisce Margaret Beetham¹, il rapporto tra la stampa periodica e il tempo nel quale questa si posiziona attraverso il concetto di rete, le riviste risultano essere forme effimere calate in un preciso momento storico e quindi capaci di rispecchiare esperienze culturali e sociali. In particolare i giornali di moda e periodici rivolti ad un pubblico femminile possono essere considerati come strumento capace di raccontare il ruolo della donna e della sua rappresentazione nei diversi decenni.
I primi esempi di prodotti editoriali attenti ad un nuovo pubblico come quello femminile, posso essere individuati già sul finire del Seicento in Francia e Gran Bretagna con fogli periodici dal gusto effimero per le mode che si posizionavano tra istruzione e piacere. Nelle riviste di moda è il mondo francese a dettare stile in particolar modo a partire dalla fine della Rivoluzione quando, con l’affermazione di una nuova classe sociale ansiosa di distinguersi, il periodico femminile è il primo prodotto editoriale ad aprirsi alla pubblicità e alle inserzioni anticipando di decenni anche i quotidiani. Progetti che rintracciano sì una nuova fetta di pubblico, ma che rimangono essenzialmente elitari. In Italia nello stesso periodo riviste come La Toelette (1770-71), Biblioteca Galante (1775-77) e Il Giornale delle Dame (1781) dimostrano come i periodici nostrani vengano concepiti come mezzo di diffusione per la lingua, la letteratura, i prodotti e gli stili di vita. Si tratta di una prima fase alla quale si aggiungono le esperienze veneziane di La donna galante ed erudita (1786) e L’Europa letteraria o quella milanese de Il Giornale delle Nuove mode di Francia e Inghilterra (1786-94)², ma per la quale, anche qui, non è ancora possibile parlare propriamente di stampa femminile poiché si ricollegano ancora alle eredità di un giornalismo galante e letterario declinato in funzione delle donne.
Si tratta comunque di un punto di partenza importante che trova una graduale svolta nel corso del XIX secolo quando si passa dal modello della signora colta e oziosa a quello della casalinga e madre esemplare, e il tono aristocratico e mondano diventa pratico e familiare³. Dopo un iniziale momento di mimesi nei confronti del resto della stampa di settore europea, la necessità di fare un uso velatamente politico della divulgazione culturale promossa dai giornali da alla luce ad esempio l’esperienza del Corriere delle Dame che sotto la direzione di Carolina Lattanzi (1804) distribuisce lezioni morali non solo nella rubrica chiamata “Tormentone politico”, ma anche all’interno di tutto il giornale in una città come Milano nella quale prolifica la crescita di giornali di moda, varietà e cronache teatrali per un pubblico femminile dalla cultura laica e mondana.
Una formula promiscua di contenuti alla quale pone fine il fervore di rinnovamento dei moti del 1847-48 che contribuiscono invece alla nascita di moderne specializzazioni per rispondere ad una sempre più crescente settorializzazione del pubblico. È proprio in questo periodo che si assiste al fiorire di un giornalismo minore capace di parlare la lingua di tutti i giorni e creare opinione, nel quale l’articolo sulla moda femminile si presenta al pubblico come un quadro di costume che si arricchisce di appendici tecnico-descrittive per gli addetti ai lavori, mentre la grazia e le tinte del linguaggio permettono di continuare il discorso sulla femminilità.
La capacità del periodico femminile di porsi già da queste prime esperienze come vero e proprio laboratorio di continue sperimentazioni sul lessico e sull’immagine della donna, non solo nei contenuti, subisce tuttavia la mancanza di un adeguata rete di distribuzione dell’Italia post unitaria che ne causa la sua diffusione a macchia di leopardo concentrandosi per lo più nel Nord Italia.
E è proprio nell’Italia settentrionale che, incoraggiati dall’incremento della produzione editoriale soprattutto periodica, i maggiori imprenditori dell’epoca – Sonzogno e Treves – entrano nelle nicchie di mercato fino ad allora occupate da editori minori, compresa quella indirizzata al pubblico femminile. L’impresa economica di ampliamento da vita a progetti quali Emporio Pittoresco (1864), Romanziere Illustrato (1896) e Giornale illustratore dei Viaggi e delle Avventure di terra e di mare (1879) che per prime utilizzano le immagini nel tentativo di democratizzare l’impiego di produzioni artistiche, quadri storici o contemporanei, opere d’arte⁴. E ancora per mano di Treves, La Moda (1877) e Margherita. Giornale delle Signore italiane (1878). All’interno di queste, al fianco dei consigli di moda e delle rubriche, alcune scrittrici-giornaliste sperimentano un registro linguistico specializzato al target: gli argomenti frivoli, ma non troppo, diventano pretesto per parlare di qualcosa in più, per confermare e diffondere l’ideale femminile ottocentesco o al contrario delineare un nuovo modello al passo con al moderna società⁵. A cavallo tra i due secoli scrivere per giornali femminili diventa un passaggio necessario per le donne per acquistare la notorietà necessaria in campo letterario. Misurandosi con una scrittura rapida, imperfetta, più vicino al parlato e ricca di allusioni tratte dalla cronaca quotidiana e dall’attualità, sulle pagine di pubblicazioni come La Fama! (1836-77), Cosmorama pittorico (1835-1910) e il già citato Corriere delle Dame, giornaliste come Sibilla Aleramo e Maria Bellonci, contribuisco alla democratizzazione della moda rendendo difficile la demarcazione tra periodici di costume e periodici di culturali.
Il successo dei periodici femminili non viene scalfito nemmeno dagli stereotipi e pregiudizi delle politiche culturali del Fascismo che negli anni Venti trovano spazio tra le pagine di Novella, Alba, Grazia, Annabella, Gioia e Eva. Il periodo di massimo splendore può essere fatto risalire agli anni Quaranta con la nascita di almeno un nuovo periodico all’anno e di un nuovo stile carico di una nuova consapevolezza di sé nato dagli anni del conflitto che avevano messo in discussione gerarchie, distinzioni e autorità⁶. Gli articoli di questi anni di Anna Banti, Anna Maria Ortese, Paola Masino e Francesca Sanvitale sulle pagine di periodici come Noi Donne, ma anche su quelle dei quotidiani, dimostrano come la scrittura giornalistica femminile si sia allontana dal racconto e dalla descrizione per fare invece propri il commento e la rivendicazione.
Bisognerà attendere gli anni Settanta, dopo un periodo di stasi editoriale che corrisponde al boom della piccola posta identica in quasi tutti i periodici e prevalentemente di carattere sentimentale, per una nuova fioritura di inchieste e servizi che mettono in luce i problemi sociali e per la prima volta le tematiche sessuali. Un’apertura informativa che risulta essere in realtà minima che risenti dell’immobilità e uniformità del mercato precedente e che è ridotta ad un’impalcatura dietro alla quale si nasconde sempre il ruolo di donna come moglie e madre.
A mettere in luce la scarsità di creazione di opinione è lo sviluppo crescente di un’editoria underground⁷ capace di dare voce alle esigenze culturali soprattutto della fascia più giovane della popolazione, al di là della provenienza sociale: da l’inchiesta del 1966 de La Zanzara a Pianeta Fresco (1968) ideato da Fernanda Pivano passando per Mondo Beat (1967). Un sottobosco di produzione editoriale che sfugge alle regole di mercato, lo stesso mercato che aveva portato la stampa femminile a riporre la propria sopravvivenza in un cauto riformismo. Sono solo quattro in questi anni i gruppi editoriali a spartirsi la fetta del mercato della stampa femminile – Rizzoli, Del Duca, Mondadori e Rusconi – e solo in occasione del referendum sul divorzio testate come Grand Hotel, Cosmopolitan, Gioia, Amica, Annabella e Grazia dedicheranno numerosi interventi e pagine sostenendo il no, sfidando per la prima volta il rischio di provocare una spaccatura fra il pubblico. A scuotere il panorama editoriale dei decenni successivi, segnato da una propensione alla mediazione tra le lettrici e il presente costruito comunque sulla natura commerciale del prodotto editoriale (si legga fidelizzazione), sono prima gli esperimenti della controcultura del 1977 anticipatrice di molte tendenze poi esplorate con i nuovi media digitali e capace di abbattere limitazioni fisiche, geografiche e teoriche, e poi le fanzine degli anni Ottanta.
È da proprio da questi due momenti che la carta stampa eredita quei punti di forza capaci di risponde al grido della fine della carta che ha attraversato tutti gli anni Novanta: divincolarsi da un mercato editoriale immobile e sempre più concentrato proprio attraverso quella tecnologia tanto temuta dal millenium bug, rintracciare un pubblico estremamente settorializzato e riporre la propria (r)esistenza nella sua stessa capacità di essere sempre di approfondimento, di dare spessore ad un’idea o ad un contenuto altrimenti volatile nell’etere. Da qui la nascita in questo decennio di progetti che rispondono alla necessità di un pubblico femminile inteso in modo fluido e nei quali l’articolo di costume coesiste insieme alla cronaca e all’approfondimento. Tra gli esempi internazionali, agevolati da un mercato editoriale spesso più snello di quello nostrano, She Shoots Film, Girls Like Us, The Gentlewoman, Broccoli e Grossamer, Oh so, Romance Journal, The Skirt Chronicles, Gusher panorama dal quale attingono e contemporaneamente si differenziano progetti nazionali come Mulieris magazine, Chicks The Zine, Frute e Ossì sui i quali quali trovano spazio anche a contribuiti artistici e grafici, inserti pubblicitari, che assumono forma cartacea, digitale, audio, abbracciando settori ancora troppo spesso considerati “maschili” o non appropriati al “femminile”.
¹ Cfr Margaret Beetham, Un genere editoriale e il suo pubblico nell’Inghilterra vittoriana: la svolta dello Englishwoman’s Domestic Magazine, in Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia di genere, a cura di Silvia Franchini e Simonetta Soldani, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 66
² Per un approfondimento sulle esperienze editoriali si consiglia Elisa Strumia, Tra Lumi e Rivoluzione: i giornali per le donne nell’Italia del Settecento in Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia di genere, op. cit.
³ Cfr Milly Buonanno, Naturale come sei. Indagine sulla stampa femminile, Guaraldi, 1975, p. 24
⁴ La pubblicazione periodica, non solo rivolta al pubblico femminile, si dimostra fin dall’inizio più attenta e aperta alle innovazioni tecnologiche rispetto alla stampa quotidiana sperimentando nuove tecniche di stampa soprattutto nell’ambito delle immagini.
⁵ Cfr Alda Gigli Marchetti, Le risorse del repertorio dei periodici femminili lombardi in Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia di genere, op. cit., p. 301
⁶ Cfr Alessandro Gualtieri, L’offensiva delle donne, Pretext n. 4 ottobre 2015
⁷ Per un maggiore approfondimento si consiglia Francesco Ciaponi, Fenomenologia dell’editoria indipendente. Un’analisi della stampa libera dal Novecento ad oggi, Edizioni del Frisco, 2020