Avvicinare le distanze | P420, Bologna

L'ottava edizione di Opentour / Art is coming out, a Bologna, fa tappa alla galleria P420, con una collettiva di 11 artisti dal titolo "Avvicinare le distanze"
8 Luglio 2022
Avvicinare le distanze, Opentour 2022, installation view, P420, Bologna – ph. C. Favero
Avvicinare le distanze, Opentour 2022, installation view, P420, Bologna – ph. C. Favero

L’approccio curatoriale alle mostre collettive spesso trascura le relazioni spaziali che sorgono spontaneamente tra le opere in funzione della loro collocazione nella sede espositiva, l’una accanto all’altra, ognuna con la propria aura di risonanze. Non è il caso di Avvicinare le distanze (aperta fino al 23 luglio), la collettiva a cura di Cecilia Canziani e Davide Ferri con cui la galleria P420 contribuisce al programma di mostre diffuse organizzate dall’Accademia di Belle Arti di Bologna in occasione di Opentour. Di fronte alla necessità di esporre e valorizzare i lavori di 11 giovani artisti ed artiste, i curatori hanno preso la decisione di evitare un approccio tematico tradizionale e di delineare il progetto di mostra lavorando in team con i diretti interessati. Proprio per mettere al centro le personali ricerche di ogni artista, puntando però al contempo a generare nuovi cortocircuiti di senso, si è deciso collettivamente di lavorare sulla prossemica, secondo due differenti “posture”, tra loro antitetiche e complementari, ovvero i concetti di vicinanza e di distanza. La prossimità tra diversi medium artistici e tra opere di artisti differenti, che accende scintille di corrispondenze, coesiste con l’allontanamento reciproco tra opere dello stesso artista, tra le componenti di una stessa opera, tra la scala umana e quella dell’opera. Tutto il progetto curatoriale si muove nello spazio di quiete, nell’occhio del ciclone frutto della tensione tra queste due forze contrapposte, la gravità e l’entropia. 

Curatori e artisti hanno deciso di imperniare il baricentro dell’allestimento sull’opera tra tutte meno appariscente, quasi resa invisibile dai molti lavori che la circondano. Light bulb (2022) di Tommaso Silvestroni è un aggregato precario di elementi eterogenei, che rinnova e visualizza l’eterna dicotomia tra natura e realtà urbana: sulla base costituita da un modulo di pavé, che per sineddoche sta per la strada e per la città, sono appoggiati il pistillo e gli stami di un tulipano, protetti da una campana di vetro. Nel formato microscopico l’elemento naturale risalta come un gioiello e proprio l’estrema vicinanza con la sua antitesi lo carica di energia e lo rende, nelle parole di Cecilia Canziani, il “centro magnetico” che ha poi indotto l’allestimento per cerchi concentrici di tutte le altre opere. Il bulbo di luce di Silvestroni è circondato da Corpo Sedimentario (2022), un’installazione site specific di Gianlorenzo Nardi composta da quattro sculture in argilla cruda modellata in loco nei giorni di allestimento nelle fattezze di due figure stese e due stanti, che poggiano su basi costituite da mattoni forati. Per modellare le figure Nardi si è avvalso dell’utilizzo di una serie di strumenti, tra cui alcuni appartenenti alla bottega dello scultore, altri alla sfera domestica (ad esempio un batticarne) e altri ancora costruiti da lui. L’argilla cruda col passare dei giorni è destinata a seccarsi, a cambiare colore e a deperire, ma potrà anche essere reimpiegata per nuovi interventi, definendo un vero e proprio ciclo vitale. 

Avvicinare le distanze, Opentour 2022, installation view, P420, Bologna – ph. C. Favero

L’impiego di oggetti connessi al mondo dei cantieri edili e l’idea di materiali e sostanze in corso di metamorfosi sono temi che ritornano anche in Build Yourself (2022) di Elisa Capucci, un modulo di ponteggio industriale infestato di inclusioni di materiali eterogenei, dal cemento, al ferro, allo smalto acrilico, fino al muschio stabilizzato. La scultura-installazione si colloca proprio all’ingresso della sala della mostra, occludendo la vista al visitatore, che avvicinandosi ha quasi la percezione di trovarsi davanti ad un trabattello da manutenzione, come se l’allestimento della mostra fosse ancora in corso. Lo scheletro metallico è un ecosistema di scarti rimodellati in corpi simil-organici, presenze che si insediano nei pertugi come molluschi sugli scogli. Una murena composta da una griglia di metallo si arrampica sull’impalcatura, mentre altri esseri post-biologici risalgono la parete adiacente o si avventurano fra le altre opere esposte. Qua e là ci sono residui di un corpo antropico disgregato.

Altri oggetti scultorei che si interfacciano con lo spazio espositivo sono i teli in tessuto non tessuto flessi in volumi leggeri di Lorena Bucur. L’artista lavora con la fotografia analogica immortalando ombre di fogliame e scorci di natura e sperimenta vari trattamenti del negativo, dall’impiego del flash che sovraespone l’immagine alle diverse possibilità di sviluppo delle pellicole. Le immagini così ottenute sono stampate sul tessuto e appese in alto come rullini-stendardi (Negative, 2022), arrangiate in corpi eterei accostati alla parete (To lean (Giro’s home), 2020), ripiegate come origami a comporre strutture semplici e reversibili appoggiate a terra (Fortune cookie, 2022); così, Bucur rivendica dolcemente un ritaglio di ogni componente dello spazio espositivo: pavimento, parete e soffitto. La leggerezza è un attributo che contraddistingue anche i lavori in tessuto di cotone di Giacomo Mallardo, geometrie sommesse e intime strettamente connesse al proprio vissuto. In Forma timida (2021) ricava un poligono irregolare e stentato da un disegno realizzato da bambino, cristallizzando il momento in cui dall’astrazione si cerca di comporre una figura; in Senza titolo (2021-22) invece ha composto su di un telo steso a terra un testo a ricamo trasposto in una lingua segreta, una scrittura privata che a sua volta è stata affidata ad una compositrice per realizzare una traccia sonora. Il suono si effonde tutto intorno al tappeto ed interpreta il messaggio criptato senza comunicarlo apertamente.
Dal lato opposto della sala si colloca la coppia di sculture modulari in ceramica Testa semiseria (Pinocchio) è diviso in due parti: Narvalo, La vocina (2022) di Francesco Ibba. Una testa nera e informe, dai tratti inquietanti, è munita di un elemento che ricorda il dente di un narvalo, e così allude al naso di Pinocchio. L’altra scultura à pendant è frutto del calco dell’interno svuotato della testa principale e diventa una metafora visiva della “vocina” nella mente che parla al personaggio di Collodi. La testa di narvalo in due parti, in rima visiva con alcune delle componenti dell’installazione di Capucci sull’altra estremità del “sistema solare” che è la sala della mostra, sembra affiorare dal pavimento quasi come se uscisse dal ghiaccio artico.

Avvicinare le distanze, Opentour 2022, installation view, P420, Bologna – ph. C. Favero

Ad essa prossima in pianta, ma in alzato, è la coppia di dipinti di grande formato Senza titolo (2022) di Lorenzo Ermini: immagini enigmatiche di figure che risaltano su campiture di colore complementare, su quinte teatrali che celano anche una riflessione sulla relazione tra astratto e figurativo. Per osservarle è necessario alzare lo sguardo dal pavimento alla parte superiore della parete, in contemplazione. Un altro legame di prossimità è quello vigente nel dittico di “rilievi” Senza titolo (2022) di Mihaly Kovacs. Due telai spessi e sagomati sono ricoperti da ecopelle color carne, configurandosi come meta-dipinti che lievitano in corpi tridimensionali. Quasi impercettibilmente differenti, una volta accostati svelano lo scarto che li distingue, connaturandoli come individui unici ma interrelati. È la giustapposizione ad “attivare” l’energia latente nella differenza.

Sulle pareti trovano posto tre diversi approcci alla rappresentazione, tutti volti a prendere in qualche modo le distanze dalla tradizione pittorica. Di Arianna Zama sono due lavori differenti nel medium ma assai prossimi nel contenuto: Gnafron ha i denti (2022) e Guignol (I) (2022) richiamano entrambi la tradizione romagnola dei burattini cara all’artista; le due teste sono scarne e hanno i tratti ridotti al minimo, quasi annullati nel tracciato del profilo e degli occhi, ma la prima, olio su tela, affiora da un fondo verde frutto di impastature e cancellature, mentre la seconda ad inchiostro è quasi impercettibile. Ai piedi del foglio si trovano due zampe di leone in cartapesta (che idealmente potrebbero essere impiegate per un burattino), anch’esse una reminiscenza biografica, dato che alludono allo stemma di Cotignola, paese di origine dell’artista, in cui un leone rampante protegge il cotogno. Il motto cittadino attribuisce alla forza delle zampe del leone la persistenza della fragranza prodotta nel Medioevo a partire dai frutti dell’albero, ma questa viene addomesticata e snaturata dalla delicatezza della cartapesta. 

Roshanaei Mehrnoosh affonda l’estetica del video nella materia della pittura. La tela diventa un puro schermo su cui sono “trasmesse” nell’olio immagini legate alla storia dell’arte, in cui i corpi subiscono un processo di disgregazione nella bidimensionalità del segnale elettronico. In Leda e il cigno (2022) la donna è ancora di viva carne, mentre l’uccello è ormai composto unicamente di pixel; l’amplesso diventa una lotta tra due statuti di realtà. In Senza titolo con i fiori (2022) i contrasti tonali di un ritratto di Van Dyck si sono liquefatti, l’immagine si sintetizza e procede verso l’astrazione. In Girasoli (2022) è come se tra spettatore e vaso di fiori si frapponga una parete in vetrocemento, che geometrizza le tonalità in quadrettoni monocromi. Infine, Martina Pozzobon da anni porta avanti la pratica del disegno in modo compulsivo e quotidiano (Disegni vari, 2019-22). I soggetti sono i più disparati e provengono dall’osservazione delle persone, dal ricordo dei sogni, dalla storia dell’arte, dai codici visivi contemporanei. Ogni foglio è terreno di sperimentazione per variazioni di stile e di tecnica, fino a sconfinare in un tratto complesso, quasi pittorico. Per Cecilia Canziani in questo caso “l’elemento di scarto, di allontanamento e avvicinamento è il fare qualcosa con un mezzo che in realtà si pone in modo diverso, che allontana da ciò che si vuole ottenere”.

Nella saletta antistante una fotografia Senza titolo (2022) stampata su di un blocchetto di cemento di Lorena Bucur affianca due stelle di David convertite in prismi, Senza titolo serie Top no. 5 & no. 6 (2020) di Kovacs, per Cecilia Canziani i conclusivi “elementi di punteggiatura dello spazio espositivo”, estreme propaggini di un sistema di corpi celesti legati da dinamiche di attrazione e repulsione reciproca.

Avvicinare le distanze, Opentour 2022, installation view, P420, Bologna – ph. C. Favero
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