Si parte con Chi Utopia mangia le mele. Dal sogno al progetto in quattro tempi, una mostra a cura di Adriana Polveroni e Gabriele Tosi che sarà allestita negli spazi dell’Antica Dogana di Verona e che insisterà sul tema dell’edizione di ArtVerona 2018, l’Utopia, “indagandone la natura controversa, ricorrente e mutevole e le sfide che questa idea pone”.
Creando un dialogo transgenerazionale, le opere selezionate metteranno in questione l’Utopia in “quattro tempi”, non sezioni vere e proprie ma momenti di sviluppo e pensiero su quest’idea, dagli anni ’60 ai nostri giorni. Utopia come sogno, progetto, gesto ribelle, azione solitaria, rischio, lusso…
ATP: Ragionando sui giovani artisti che sono stati scelti per la mostra “Chi Utopia mangia le mele”, dichiari che “uno dei tratti più importanti della giovane arte italiana sia quello di non accontentarsi della storia che è stata raccontata. […] Il dialogo instaurato in mostra tra alcune opere è, in questo senso, non l’annullamento della profondità temporale, piuttosto la sua esaltazione nella costruzione di un ipotetico immaginario del bagaglio culturale di domani.”
Mi piacerebbe se potessi raccontare un po’ di più di questo dialogo approfondendo la pratica artistica dei giovani selezionati.
Gabriele Tosi: Una piccola precisazione, non abbiamo scelto gli artisti ma individuato delle opere. Lavori che, dal nostro punto di vista, hanno dato maggiori sfaccettature all’intero progetto. Difficilmente troverai in questa mostra due opere simili nel pensiero, se non dello stesso artista. Se l’utopia è tendenzialmente un’immagine individuale di un altrove perfetto, il nostro desiderio è stato quello di prendere questa concezione a martellate al fine di pluralizzarla, aprendola a un atteggiamento critico e autocritico, a un’infinità di possibili interpretazioni.
Venendo alle opere dei giovani italiani, ti devo almeno qualche anteprima: l’opera di Correale rivela la superficialità del paesaggio numerico con cui misuriamo il presente e proviamo a leggere il futuro ed è uno studio della pittura come forma simbolica; quella di Dalfino e Kanah rende tangibile ciò che sappiamo esistere ma che non possiamo vedere ed è quindi un esercizio sulle capacità mimetiche della scultura nei confronti di ciò che è reale ma è invece relegato nel limbo della fantascienza; l’opera di Zanchi mette in crisi la convenzione eroico-letteraria del sognatore ed è una genealogia ironica ma pungente dei codici dell’irrealtà che caratterizzano le società aristocratiche; quella di Mazzi sintetizza in un’immagine il valore dell’esperienza diretta ed è una possibilità di utilizzare il trauma come punto di partenza per un viaggio di conoscenza. L’opera di Serretta è un cortocircuito letterale dell’alterazione temporale dell’eterno presente a partire dall’importanza che tale concezione distorta ha assunto nelle culture giovanili; un audio di Shanta, infine documenta gli albori del “supergiovanismo” anni ’90 dimostrando le radici notturne di nuove forme di superomismo, interrotte ma mai del tutto.
ATP: Il progetto espositivo è ospitato negli spazi dell’ex Dogana di terra di Verona: come dialogano le opere con il luogo e come ti sei immaginato i “quattro tempi” in cui la mostra è divisa (Utopia come libertà, Utopia come lusso del pensiero, Utopia come costruzione di comunità, Fallimento come rischio dell’utopia)?
GT: I quattro tempi sono immagini pensate da Adriana Polveroni, a cui peraltro va il credito di aver ideato il concept da cui abbiamo sviluppato l’intero progetto. I capitoli di cui parli non saranno aree tematiche. Tutto in “Chi utopia mangia le mele” è spezzato. La libertà, il lusso del pensiero, la comunità e il fallimento sono diffuse nei sottotesti che la mostra vuole esprimere in un allestimento tutt’altro che lineare per quanto auspicabilmente semplice in termine di chiarezza.
A proposito del rapporto con lo spazio: l’Ex Dogana di terra è uno spazio caratterizzato da un esterno semplicemente bellissimo, una bellezza che nasce come espressione della volontà di una città di utilizzare forme magniloquenti in opposizione al rigore e al funzionalismo veneziano di metà ‘700. La ribellione al monopolio mercantile della Serenissima è qui un sabotaggio praticato con l’architettura. Il neoclassicismo dell’edificio si oppone all’egemonia razionale del padrone, mettendo anche in secondo piano le merci per cui ogni dogana, idealmente, è costruita. Oggi, da tutto il cortile, è visibile il laboratorio regionale di restauro della Soprintendenza che, in qualche modo, si prende cura della storia. Penso che l’insieme di queste nozioni accresca il senso della presenza di opere che mettono in crisi l’immaginario salvando l’immaginazione, opere che cercano modi di denunciare il presente e annunciare il futuro nella rivelazione del potere dell’arte contro ciò che sembra eterno e intoccabile.
Art&TheCity / Chi Utopia mangia le mele. Dal sogno al progetto in quattro tempi
Da un’idea di Adriana Polveroni
A cura di Adriana Polveroni e Gabriele Tosi
12 ottobre > 2 dicembre 2018
Per ulteriori informazioni: Art&TheCity – Chi Utopia mangia le mele – ArtVerona 2018
Una mostra pensata per gli spazi dell’ex Dogana di terra, in consegna alla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, che collabora al progetto con il Comune di Verona.
Artisti: Nanni Balestrini, Maurizio Cattelan, Cristian Chironi, Danilo Correale, Vittorio Corsini, Cuoghi Corsello, Gino De Dominicis, Ceal Floyer, Claire Fontaine, Cyprien Gaillard, Andrea Galvani, Carlos Garaicoa, Christian Jankowsky, Thomas Kuijpers, Ugo La Pietra, Maria Lai, Lisa Dalfino e Sacha Kanah, Robin Hewlett e Ben Kinsley, Glenn Ligon, Davide Mancini Zanchi, Masbedo, Elena Mazzi, Adrián Melis Sosa, Luciano Ori, Adrian Paci, Gina Pace, Pino Pascali, Beatrice Pediconi, Diego Perrone, Gianni Pettena, Paola Pivi, Andrea Santarlasci, Tomás Saraceno, Marinella Senatore, Stefano Serretta, Caterina Erica Shanta, Mauro Staccioli, Kyle Thompson, Piotr Urlansky, Ben Vautrier, Vedovamazzei.