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Arte contemporanea a Baku

Baku, la capitale dell'Azerbaigian, può essere considerata un esempio di come l’identità sia da cercare nella mescolanza di lingue e culture, anche visuali.

Un’installazione cinetica dell’artista Daniel Vurtzel (Air Fountain – Dance of Kelaghayis, 2024) domina il piano terra dell’Heydar Aliyev Centre di Baku, progettato da Zaha Hadid. Altre opere della collezione sono disposte qua e là: Parabolik Twist (2013) di Anish Kapoor, un’auto d’epoca, un tappeto azerbaigiano sfrangiato (Symbol, 2018) opera di Faig Ahmed, la scultura optical (Heydar Aliyev – 100, 2023) creata dall’artista Rashad Alakbarov per celebrare il centenario della nascita di Heydar Aliyev (Heydər Əlirza oğlu Əliyev), primo Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian (dal 1993 al 2003), in precedenza Presidente del KBG presso il Consiglio dei Ministri della Repubblica Sovietica dell’Azerbaigian (dal 1966 al 1969), Segretario del Partito Comunista azerbaigiano (dal 1969 al 1982), Vicepresidente del Consiglio dei Ministri dell’URSS (dal 1982 al 1987). Alla biografia di questo leader è dedicato un intero piano del sensazionale edificio progettato da Hadid. 

Daniel Vurtzel, Air Fountain – Dance of Kelaghayis, 2024 / Yue Minjun, ArtMap, 2009. Heydar Aliyev Centre.

Gli altri piani ospitano, oltre all’arte contemporanea (mostre personali di Kojo Marfo, Yue Minjun e Gianfranco Meggiato), esposizioni dedicate alla tradizione del paese (strumenti musicali, bambole, tappeti, storia del territorio). Insieme alla celebrazione di Heydar Aliyev, esse hanno lo scopo di rivendicare un’identità nazionale post-sovietica, con l’evidente contraddizione rappresentata dalla biografia del leader politico, deceduto nel 2003. A Heydar è succeduto il figlio Ilham.

Aida Mahmudova, nipote dell’attuale first lady, nel 2011 ha fondato YARAT, organizzazione no-profit che ha lo scopo di promuovere l’arte contemporanea. Nel 2015 è stato inaugurato YARAT Contemporary Art Space, ospitato in un ex cantiere navale. È questo il luogo dove è possibile tastare il polso dell’Azerbaigian contemporaneo attraverso la arti visive, non all’Heydar Aliyev Centre e neppure al Museo di Arte Moderna, ancora fermo al dibattito tra figurazione e astrazione. La città è dotata anche di uno spazio per l’arte contemporanea privato, la galleria Gazelli Art House con sede a Baku e a Londra, sensibile alle mode del collezionismo internazionale.

YARAT Contemporary Art Space ospita due mostre. 
Unobservable Dreams (fino al 30/12/2024) è una rassegna di video commissionati da YARAT sulla crisi d’identità, che ha rotto l’incanto suscitato dalla prosperità economica derivata dall’estrazione dei combustibili fossili. La mostra mette a nudo le contraddizioni di una società in rapido e imprevedibile mutamento. 

Aidan Salakhova, Voices of Silence. Veduta della mostra. Photo credits to Ali Rza/Yarat Contemporary Art Space.

Voices of Silence (a cura di Farah Alakbarli, fino al 30/12/2024) dell’artista Aidan Salakhova, affronta il problema della violenza domestica amplificando le voci delle vittime. Dodici imponenti vasi scolpiti in pietra arenaria dominano lo spazio espositivo. Ogni vaso è una storia di violenza raccontata da un audio, che utilizza la cavità del vaso come cassa di risonanza. L’archetipo del vaso come contenitore di seme viene stravolto e il contrasto tra le voci delle vittime e i motivi ornamentali tradizionali scolpiti a rilievo è stridente.

L’adiacente Museum of Azerbaigiani Painting of the XX-XXI Centuries, supervisionato da YARAT, ospita la mostra Monument to Freedom (a cura di Farah Alakbarli, fino al 29/09/2024). Il progetto espositivo affronta le conseguenze del colonialismo sovietico (dagli anni Venti agli anni Novanta del secolo scorso) esaminando i suoi effetti sugli individui, sulla psiche collettiva, sulla memoria e sull’identità nazionale. Opere di artisti che hanno fatto resistenza all’ideologia marxista-leninista destrutturandone i simboli, sono accostate a quelle di una nuova generazione di artisti in dialogo con i loro predecessori. Lo scopo della mostra è quello di evidenziare i paradossi del dogma socialista in rapporto ai concetti di nazionalità, cultura e tradizione. 

Kamal Ahmad, To the light, 1980. Photo credits to Ali Rza/Yarat Contemporary Art Space.

Discostandosi dal linguaggio visivo del Realismo Socialista, la pittura di Kamal Ahmad assume alcuni elementi dell’arte europea d’avanguardia, fondendoli con la tradizionale pittura di miniature, per interpretare temi sociali. La sua opera si discosta dal social-realismo anche sul piano dei contenuti. Ai temi ricorrenti (la lotta di classe, l’alleanza fra contadini e operai, la storia del movimento operaio e la vita quotidiana dei lavoratori) oppone le storie dei rifugiati, della sofferenza del popolo azerbaigiano e della prepotenza sovietica, che giunse al suo culmine il 19 e 20 gennaio 1990 (Gennaio nero), quando le truppe sovietiche soffocarono nel sangue i moti degli indipendentisti azeri. L’opera di Kamal Ahmad si afferma nel corso degli anni Ottanta e Novanta, in corrispondenza con le riforme di Mikhail Gorbačëv, tese a liberalizzare e democratizzare il regime sovietico. Sia i suoi dipinti che quelli di Shahpalang Mammadov (Industrial country – Azerbaigian, 1986 – 1987), che rappresentano l’industria petrolifera sovietica come un organismo mostruoso, testimoniano una presa di posizione critica nei confronti dell’URSS.

Shahpalang Mammadov, Industrial country – Azerbaigian, 1986 – 1987. Photo credits to Ali Rza/Yarat Contemporary Art Space.
Adil Yusif, Self-portrait: I don’t hear, I don’t see, I don’t speak, 2017. Photo credits to Ali Rza/Yarat Contemporary Art Space.

Il triplice autoritratto di Adil Yusif (Self-portrait: I don’t hear, I don’t see, I don’t speak, 2017) raffigura l’autore che non sente, non vede e non parla del male, come le tre scimmie sagge rappresentate nel santuario di Nikko in Giappone. Palesemente debitore nei confronti degli autoritratti realizzati da Arnulf Rainer nel corso degli anni Settanta, il trittico s’impone con forza cromatica. Il colore rosso, simbolo dell’antica Repubblica Romana, adottato da movimenti socialisti e comunisti a partire dalla comune di Parigi del 1871, copre gli occhi, la bocca e le orecchie di Yusif. 

Nel video Alphabet from A to Z (2024) di Elturan Mammadov le lettere dell’alfabeto cirillico, introdotto su ordine di Stalin nel 1939, vengono sostituite in sovrascrittura da quelle dell’alfabeto latino, la cui adozione era stata auspicata dall’élite intellettuale azerbaigiana nel corso del XIX secolo, ma osteggiata dall’establishment religioso. Paradossalmente furono proprio i sovietici a introdurre per un breve periodo (dal 1922 al 1939) l’alfabeto latino allo scopo di secolarizzare la società azerbaigiana. L’opera di Mammadov rivela l’aspetto complesso dell’identità linguistica azerbaigiana e la sorprendente commistione tra le politiche coloniali dell’URSS e le aspettative indipendentiste dell’élite intellettuale azerbaigiana. Con Alphabet from A to Z la critica rivolta alla narrazione marxista-leninista della storia, che si è imposta in Azerbaigian per otto decenni, assume un carattere problematico.

Al piano superiore dello spazio espositivo è proiettato un film che documenta lo smantellamento dei monumenti sovietici dopo il crollo dell’URSS. Alcuni frammenti statuari vengono investiti dalla proiezione esaltando il senso di rovina, in un certo senso rimonumentalizzando i frammenti, come fece il rovinismo in epoca romantica.  

La cultura sovietica dalla quale l’Azerbaigian oggi desidera prendere le distanze è parte della sua storia. Monument to Freedom esalta la libertà acquisita dopo il crollo dell’URSS, evidenziandone però anche le contraddizioni. Il potere politico è transitato direttamente dal sistema sovietico a quello della Repubblica dell’Azerbaigian attraverso la figura del primo presidente Heydar, che ha assicurato stabilità politica al Paese incrementandone la ricchezza. Autoritarismo, culto della personalità e benessere economico derivato dall’economia dei combustibili fossili formano una miscela che influisce sulla coscienza della popolazione azera quanto l’utopia socialista, che è stata integrata e sublimata in nuove forme di autoritarismo, nel contesto di un capitalismo di relazione basato sulle relazioni personali che intercorrono tra imprenditori, finanzieri, politici e amministratori.

Leyla Gabulova, Beliefs, 2024. Photo credits to Ali Rza/Yarat Contemporary Art Space.
Elturan Mammadov, Ornament and crime – dedicated to Adolf Loos, 2024. Photo credits to Ali Rza/Yarat Contemporary Art Space.

Con la video-installazione Beliefs (2024), l’artista Leyla Gabulova porta l’attenzione sulle false credenze che una volta penetrate nella coscienza diventano parte del nostro mondo interiore. A un video, che mostra l’artista alle prese con un groviglio mostruoso, si contrappone un abito bianco, simbolo di una coscienza immacolata. L’opera allegorica di Gabulova parla un linguaggio visivo internazionale, come la maggior parte delle opere esposte. 
Tra queste la video-installazione di Elturan Mammadov (Ornament and crime – dedicated to Adolf Loos, 2024), che sembra voler fare veramente i conti con il tema dell’identità artistica e visuale azerbaigiana accostando un tappeto tradizionale a un video nel quale una donna lo lava energicamente sbiadendone i colori, metafora visiva della cancellazione dell’identità artistica e visuale locale, che trova nell’arte del tappeto un suo importate riferimento. Il richiamo nel titolo al breve saggio con il quale Adolf Loos condanna l’ornamento, considerato un residuo di epoche passate, è anche una critica al colonialismo artistico e visuale europeo? Mi piace pensare all’anticolonialismo di Monument to Freedom nei termini di una critica aperta su più fronti.  

Faig Ahmed, Symbol, 2018. Heydar Aliyev Centre / Faig Ahmed, Seyid Yahya Bakuvi (Shirvani), 2021. Courtesy of Faig Ahmed Studio.
Tappeti di epoca sovietica collezionati dal pittore azerbaijano Tahir Salahovun. House Museum of Thair Salahovun, Baku.

Anche l’opera di Faig Ahmed esposta all’Heydar Aliyev Centre affronta il problema posto dall’identità azerbaigiana, letteralmente sfrangiata, disfatta o sfilacciata, che si ricompone in nuove e sempre diverse trame. Se consideriamo l’arte del tappeto un’espressione dell’identità azera, sarebbe stato interessante includere nella mostra Monument to Freedom i tappeti con i ritratti vernacolari di Marx, Engels, Lenin e Stalin realizzati in epoca sovietica, un esempio di colonizzazione visuale più che mai appropriato. Questi tappeti fanno parte della collezione del pittore Tahir Salahov, ospitata nella sua casa-museo nel centro storico di Baku.

Nella società tradizionale azerbaigiana i tappeti svolgevano un ruolo importante. La nascita di un bambino avveniva su un tappeto. La loro fattura s’inseriva in un orizzonte simbolico: il fuso rappresentava l’asse della Terra e la filatrice intrecciava il suo destino di donna; i nodi indicavano legami forti e i disegni avevano proprietà talismaniche. Se dobbiamo cercare le radici di una identità nazionale azerbaigiana attraverso le arti visive, queste sono nell’arte del tappeto, o paradossalmente nella pittura al petrolio di Sabir Chopurov, che possiamo considerare un emblema della società azerbaigiana contemporanea, la cui economia è fondata sull’estrazione dei combustibili fossili (petrolio e gas). 

Ismaiyl Axundov, Yeddiillik plan – neft, quaz, 1959, manifesto propagandistico sovietico / Sabir Chopurov, Shah Ismail Khatai, 1956, petrolio su carta. National Art Museum of Azerbaijan.

Dal XIX secolo tutte le spinte all’innovazione e all’indipendenza si legano all’economia estrattiva.  Nelle stesse ore in cui visito le mostre organizzate da YARAT, Vladimir Putin visita “Baku White City”, un progetto di rigenerazione urbana (commissionato agli studi di architettura e ingegneria: Atkins, Foster and Partners, F+A Architects) di un’area in precedenza occupata da raffinerie di petrolio e strutture di stoccaggio, chiamata “black city”, città nera. Il petrolio ha dirottato questa area asiatica verso l’Europa e ora il gas naturale, impiegato per la transizione alle rinnovabili, prende progressivamente il suo posto. La curiosità mostrata dagli Azerbaigiani per la cultura europea va di pari passo con lo scambio economico (da gennaio a giugno 2024, 6,4 miliardi di metri cubi di gas dell’Azerbaigian, che rappresentano il 51% di tutte le esportazioni di gas azero, sono stati venduti all’Europa).

Baku può essere considerata un esempio di come l’identità sia da cercare nella mescolanza di lingue e culture, anche visuali. I teli di Vurtzel, che fluttuano al piano terra dell’Heydar Aliyev Centre, sono gli stessi che fluttuano negli spettacoli del Cirque du Soleil e nella performance digitale Apologue 2047 diretta da Zhang Yimou per il National Center for the Performing Arts di Pechino nel 2017. Come una volta la seta trasportata dalle carovane, ora da Baku transitano linguaggi e visioni, mescolando arte del tappeto e video-installazione, pittura a olio e al petrolio, cultura alta e bassa, dominante e marginalizzata, monumentalità sovietica e presidenziale, di cui l’installazione Heydar Aliyev – 100 di Rashad Alakbarov esposta all’Heydar Aliyev Centre è un esempio. Una mescolanza di elementi eterogenei e dissonanti, che è un carattere distintivo del presente, a Baku forse più evidente che altrove. 

Come insegna l’etnografia moderna, l’identità di un gruppo sociale non è definita una volta per tutte ma è un processo in divenire, discontinuo e inventivo. Le culture non sono mai pure e un ruolo che l’arte può avere nella società contemporanea, insidiata dall’insicurezza, è mostrare che è possibile accogliere ciò che è estraneo e integrarlo, oltre che come elemento dissonante anche come elemento insidioso, quindi per nulla pacifico, che sposta, mette in moto, trasforma, imponendo la necessità di immaginare e inventare la forma di un rapporto, in alternativa alla logica della tolleranza e della mediazione che spesso non dà i risultati sperati perché fondata sulla ragione e non sull’immaginazione. Scavalcando la pervasiva ideologia nazionalista, a Baku si può immaginare.

Cover: Monument to Freedom. Veduta della mostra. Photo credits to Ali Rza/Yarat Contemporary Art Space.

Rashad Alakbarov, Heydar Aliyev – 100, 2023. Heydar Aliyev Centre.