L’arte attuale non è contemporanea

L’arte messa a prova dalla vita, esposta cioè ai rischi che si corrono nel darsi all’esistenza è direttamente collegata alle mutazioni in corso, come la “transcodifica” di cui scrive Bourriaud al nomadismo della rete?
22 Maggio 2021

Testo di Aurelio Andrighetto

Chi è contemporaneo aderisce al proprio tempo attraverso una sfasatura, sostiene Giorgio Agamben in un breve saggio (Che cos’è il contemporaneo? Nottetempo, Milano, 2008). Di conseguenza l’arte che aderisce completamente al presente non è veramente contemporanea. Lo stesso vale anche per il discorso critico.

Prendiamo per esempio il problematico rapporto dei segni tra loro e con la realtà, che caratterizza il lavoro di molti artisti contemporanei. Nicolas Bourriaud lo mette in rapporto diretto con la proliferazione di informazioni in Internet, con la dislocazione spaziale e temporale che riattualizza e riformatta ininterrottamente la realtà. La parola chiave è “transcodifica”. Il critico francese la utilizza per spiegare la “traduzione” nel contesto di una connettività digitale che favorisce l’infittirsi degli scambi tra codici e linguaggi diversi (Il radicante, Postmedia-books, Milano,2014). Utilizzando questo paradigma Bourriaud analizza le opere di alcuni artisti. Tra queste anche No more Reality 2 di Philippe Parreno, un corteo di bambini che alzano cartelli e lanciano slogan, interpretata dal critico come un operatore di scambi e connessioni spazio-temporali: una forma-tragitto, che rispecchia il nomadismo sociale e culturale.

Philippe Parreno, No More Reality, 1992. Inchiostro su carta, collezione privata

Mont Analogue del 2001 è un’altra delle opere di Parreno in cui sembra predominare l’erranza. Una sequenza di lampi luminosi traduce in codice Morse l’omonimo romanzo incompiuto di René Daumal. Tuttavia tra l’opera di Daumal e quella di Parreno sembra esserci una zona interdetta e invalicabile, che rende l’immagine impermeabile alla parola detta e scritta. 
Di che si tratta? 
Rompiamo le righe lungo le quali allineiamo i dati nel presente e in modo anacronistico, oltre che incongruente, proviamo a interpretare l’opera Mont Analogue di Parreno attraverso quella di Marcel Proust. Nel primo volume della Recherche (Dalla parte di Swann) Proust sovrappone il volto della Giustizia dipinta da Giotto a quello di certe bigotte di Combray “arruolate da un pezzo nelle milizie di riserva dell’Ingiustizia”. La Giustizia si sovrappone all’Ingiustizia con una sorprendente acrobazia del pensiero. Non è nella scrittura ma sul confine tra il viso dipinto da Giotto e quello delle “borghesi bigotte e secche”, richiamate alla mente da Proust, che il pensiero si muove prima di arrestarsi e prendere forma. Prende forma solida qualcosa che non è solido. Tra la solidità della forma scritta e quella della forma dipinta sta qualcosa di liquido, o gassoso, o fluido, che nella pittura di Giotto e nella scrittura di Proust si arresta. Tra le due c’è un “infra”, una pausa, un vuoto come quelli che si aprono improvvisamente nelle attese. In questi vuoti il pensiero è allo stato fluido.
Riflettendo a posteriori sulle cause di quest’acrobazia del pensiero, Proust osserva che nell’affresco giottesco l’immagine è un simbolo materializzato: l’immagine allegorica della Giustizia ha cioè un lato rivolto verso il reale, ha una concretezza senza la quale non sarebbe stato possibile riferire il suo viso a quello delle bigotte di Combray e dare così corso al suo pensiero.

La realtà ha un suo peso, ovviamente, e il rapporto dei segni tra loro e con essa, al quale molti artisti contemporanei dedicano la loro ricerca, sembra avere una relazione con l’impermeabilità piuttosto che con la permeabilità, con l’intraducibilità piuttosto che con la traducibilità. Il confluire nell’opera di media, pratiche e linguaggi diversi forse risponde più al concetto di costellazione (Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Einaudi, Torino, 1999) che a quello di traduzione. Questo articolarsi nell’opera di codici e linguaggi si dà per vuoti, salti e discontinuità, per frammenti che compongono un insieme e che all’insieme rimandano: tessere di un mosaico separate da interstizi sottili. Il pensiero si muove nel vuoto che sta “tra” la Iustitia dipinta sulla parete destra della Cappella degli Scrovegni e la Recherche di Proust, “tra” l’immagine e la parola, così come “tra” la scultura e la fotografia nell’opera di Medardo Rosso, per citare uno dei casi di impermeabilità tra codici visivi nella pratica artistica studiati a fondo (Paola Mola, Rosso. Trasferimenti, Skira, Milano, 2007). 

21 novembre 2018. Migranti a Tijuana, città messicana al confine con gli Stati Uniti.

Questo “tra” senza “duzione” è la barriera mobile, trasportabile che separa etnie e culture nell’età delle migrazioni? Il problema posto dai linguaggi in crash tra loro e con la realtà, dal loro entrare in collisione con impatti che provocano sfondamenti, pieghe e lacerazioni, ma anche nuove combinazioni tra i segni e tra i segni e la realtà, non solo assunta come mezzo di significazione ma anche come punto d’impatto, arresto, fine corsa, sono la diretta conseguenza dei flussi migratori e finanziari, che profilano culture transnazionali attraversate da violente scosse etniche e nazionalistiche e da precari assestamenti geopolitici? L’arte messa a prova dalla vita, esposta cioè ai rischi che si corrono nel darsi all’esistenza è direttamente collegata alle mutazioni in corso, come la “transcodifica” di cui scrive Bourriaud al nomadismo della rete? 

Marcel Duchamp e Shūsaku Arakawa nel 1966

Proviamo, anche in questo caso, ad introdurre un elemento estraneo all’attualità: una spericolata passeggiata di Marcel Duchamp alla quale ha assistito Shūsaku Arakawa. La sua testimonianza è stata raccolta da Nicola e Carla Pellegrini nel 2004: “una sera, durante una cena a New York, una bella ragazza seduta di fronte a Duchamp diceva quanto fosse interessata alle espressioni artistiche nuove, al che Duchamp (un po’ ubriaco e forse anche per fare colpo sulla ragazza) si era alzato e l’aveva pregata di seguirlo. Arrivato all’ultimo piano del grattacielo, seguito da molti altri commensali, aveva scavalcato il parapetto, camminato lungo il cornicione e, una volta rientrato, aveva detto: Vedi, per te sono solo un vecchio ubriaco, ma per me è un lavoro del tutto nuovo” (si può ascoltare il racconto in un’intervista audio – il passaggio si trova a 6’ e 33’’). Spinto dall’ebbrezza o da Eros, o da entrambi, Duchamp si espone al rischio di precipitare camminando in equilibrio sul cornicione all’ultimo piano di un grattacielo per dimostrare in cosa consiste la sua arte. Il “fine corsa”, il punto d’impatto dell’arte con la realtà qui sembra avere delle ragioni erotiche. In arte, il rimestamento dei segni che si confrontano con la realtà esponendo a un rischio forse non è una diretta conseguenza delle mutazioni geopolitiche, vista la pressione esercitata da ἔρως. Anche βίος ha una sua parte.

Pierre Huyghe, After ALife Ahead, 2017. Skulptur Projekt, Münster

Il pericolo, il rischio al quale ci esponiamo attraversando l’ambiente biotecnologico realizzato a Münster da Pierre Huyghe per la manifestazione Skulptur Projekte 2017 ha un’eco lontana. After A Life Ahead è un habitat la cui mutazione sfugge volontariamente e pericolosamente al controllo dell’artista. L’algoritmo ricavato dalla texture della conchiglia di un mollusco velenoso (il Conus textile) e il tasso di crescita delle cellule cancerogene, determinato dalle misurazioni eseguite dai sensori, che captano le variazioni della temperatura e dell’umidità, a loro volta determinate dagli agenti atmosferici oltre che dall’affluenza e dalla circolazione dei visitatori, introducono un elemento di pericolo riferito al βίος, come la passeggiata di Duchamp introduceva un elemento di pericolo riferito all’ἔρως. In questi giorni Huyghe partecipa alla mostra Sun rise / Sun set allestita allo Schinkel Pavillon di Berlino e dedicata al tema dell’ecocatastrofe). L’aspetto biotecnologico caratterizza anche l’installazione site-specific Echo progettata nel 2019 da Parreno per l’atrio del MoMA e ampliata nel 2020 con ECHO WORLD, un’estensione progettata per mantenere in vita l’opera nel periodo di lockdown. L’opera reagisce alle variazioni atmosferiche, al numero di  persone nell’atrio e al calore. Un’installazione imprevedibile quanto quella di Huyghe, che ha sicuramente un rapporto con lo sviluppo di tecnologie bioinformatiche, ma non solo. 

Philippe Parreno, Echo, 2019. MoMA

βίος ed ἔρως operano un rimestamento che ritroviamo in molte altre opere di artisti contemporanei, di cui la critica deve tener conto per non appiattirsi sull’attualità geopolitica o tecnologica. L’interpretazione di After A Life Ahead attraverso la testimonianza di Arakawa è anacronistica perché non allinea tutti i dati sulla riga del presente, non mette gli elementi in diretta corrispondenza, aderisce al presente attraverso una sfasatura. Questo modo di aderire al presente, secondo Agamben, risponde alle esigenze della contemporaneità, non dell’attualità. Lo stesso uso improprio del pensiero di Agamben, che detesta il genere di arte di cui stiamo parlando, è incongruo, fuori luogo rispetto al lavoro di questi artisti francesi, quanto appropriato rispetto al discorso che possiamo fare sul loro lavoro. L’interpretazione di Mont Analogue attraverso la lettura di Proust, altrettanto incongruente e anacronistica, mostra come l’intransitività piuttosto che la transitività di un codice verso l’altro possa rivelarsi uno degli aspetti del contemporaneo, non solo in arte. Possiamo immaginare l’opera come una costellazione di codici, media, pratiche e linguaggi impermeabili tra loro, ma anche come un continuum analogo a quello che va “tra la fotografia e il paragrafo”, nel quale le intrinseche e non esportabili caratteristiche delle immagini possono “riempire i vuoti” dei sistemi propositivi (Jerry Fodor). Quelli di Benjamin e Fodor sono modelli – il primo filosofico e il secondo scientifico – sorpassati? D’altra parte sembra esserlo anche quello di Bourriaud, superato dalla stessa ricerca degli artisti di cui si è occupato negli anni precedenti. 

L’intempestivo o l’inattuale (unzeitgemäß), di cui scrive Friedrich Nietzsche nella sua critica allo storicismo (Sull’utilità e il danno della storia per la nostra vita, 1874), l’essere fuori tempo porta là dove la tempestività non giunge. E così la lettura del presente attraverso l’estetica del rischio propria delle avanguardie o attraverso il romanzo, che Proust trasforma in un sistema di rapporti filosofici, può essere d’aiuto per scoprire quanto βίος o ἔρως ci sia nell’arte contemporanea e anche quanta impermeabilità, là dove altri vedono contaminazione, mescolanza e ibridazione.

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