Constatiamo che quest’anno la sezione Unlimited di Art Basel di confini ne presenta parecchi: installazioni meno monumentali, proliferare di video, bidimensionalità in voga. La sezione è dislocata al primo piano anziché al piano terra, e già questo fa intuire come gli allestimenti siano stati meno faticosi di altre edizioni – anche se va detto che muoversi tra Art Basel, Unlimited e Design è positivamente meno labirintico.
Abituati ad incontrare in questa sezione lavori museali muscolosi e mastodontici, l’edizione 2018 pare ridimensionata: individuare ottimi interventi non è certo comunque un’impresa ardua, consapevoli che la selezione rimane sempre profondamente ed intrinsecamente soggettiva.
Daniel Buren – Una cosa tira l’altra, 2015 – 2018
Galleria Continua (San Gimignano, Italy)
Trattandosi quasi della prima installazione in cui ci si imbatte, l’inizio è promettente. Daniel Buren presenta un enorme sovrapassaggio in tubolari, una sorta di tribuna interamente fruibile, dal quale è possibile godere di una vista inedita del resto dello spazio espositivo – visuale che conferma quanto scritto sopra rispetto alla mancata monumentalità imperante. Le stripes verdi e bianche riconducono istantaneamente all’artista francese.
Ana Lupas – Christmas trees for The years to come, 1993
P420 (Bologna, Italy)
Doppietta di gallerie italiane che centrano il concept del senza confini regalandoci lavori che difficilmente sarebbe stato difficile installare altrove. Ana Lupas presenta “un albero di Natale per gli anni che verranno”, un’allusione ad uno dei simboli della tradizione e del consumismo reso maestoso scheletro arboreo fluttuante.
Horia Damian – GALAXY. Project for a monument in Houston, Texas 1972 – 2018
Plan B (Berlin, Germany)
Un monolite alieno atterrato in fiera: 11 metri per la scultura geometrica GALAXY di Horia Damian, la cui superficie superiore é ricoperta di piccole sfere, immaginata inizialmente per il paesaggio lunare del deserto di Houston, Texas. Il rimando al monolite di 2001 Odissea nello spazio è immediato, se non fosse che quello di Damian appare parzialmente riemerso.
Carlos Cruz Diez – Translucent Chromointerferent Environment, 1974 – 2009
Galeria Raquel Arnaud (Sao Paulo, Brazil)
I colori appaiono e scompaiono così come le ombre delle persone che attraversano questa installazione cangiante, divenute protagoniste di questa perdita di materialità inscenata dall’artista, una riflessione sulla percezione, la memoria e i meccanismi cognitivi.
Matthew Barney – Partition, 2002 – 2018
Sadie Coles HQ (London, UK) / Gladstone Gallery (New York, United States) / Regen Projects (Los Angeles, United States)
L’artistar di questa edizione di Unlimited è meno performante del solito, vuoi anche la fama che lo precede che gonfia sempre le aspettative.
In parte condannato a rileggere il suo storico film, Matthew Barney reinterpreta l’installazione principale della parte quinta e conclusiva del ciclo, Cremaster 3, un bar in scala 1:1 tradotto dall’originale in vaselina a una fusione in plastica. L’operazione del “fare la plastica” al proprio lavoro, sia nel senso strettamente scultoreo sia nell’ottica della correzione, di rifacimento, resta comunque suggestiva.