Nel 1919, il medico statunitense William Horatio Bates (1860-1931) pubblica il volume La cura della vista imperfetta, compendio delle teorie elaborate in merito al suo metodo di rieducazione alla vista senza l’uso degli occhiali. Lontano dalle pratiche applicate in quegli anni – volte per l’appunto alla correzione della vista tramite l’applicazione di strumenti esterni o interventi chirurgici – Bates sostiene i difetti della vista siano conseguenze di uno sforzo per tentare di vedere meglio, vizio scorretto che conduce l’occhio a vedere peggio di quanto potrebbe. Scavalcando ogni possibile studio anatomico oculare tanto quanto le pubblicazioni scientifiche già presentate, il metodo Bates propone una rieducazione alla vista, per la quale sono necessari diversi anni certo, ma che promette di restituire la completa efficienza dei propri occhi. Una novità paradossale, aspramente criticata dalla comunità scientifica internazionale, ma nonostante tutto apprezzata da una fetta di studiosi della percezione come Alex Huxley, che pubblica in suo omaggio il trattato L’arte di vedere, nel quale – tramite un excursus autobiografico – racconta come il metodo Bates gli abbia permesso di tornare a vedere da entrambi gli occhi dopo aver quasi del tutto perso l’uso della vista.
Se il metodo Bates ha trovato terreno poco fertile nel contesto dei salotti intellettuali del primo Novecento, la sua forte carica immaginifica diventa un punto di partenza per il nuovo progetto di Antonio Della Guardia, ospitato negli spazi della Fondazione Pastificio Cerere a Roma e curato da Vasco Forconi. Da sempre attento all’analisi del rapporto tra lavoro e la fatica che quest’ultimo determina sul corpo dell’essere umano, in questa occasione l’artista sviluppa una riflessione quanto mai contemporanea sull’influenza che il nuovo lavoro contemporaneo determina sull’apparato cognitivo, in particolare quello della vista. Se è vero che il cosiddetto smart working, o home working che dir si voglia, ha reso per molti più agile la quotidianità personale e professionale, l’avvicinamento forzato al digitale ha comportato dei nuovi condizionamenti non solo fisici, ma anche mentali, che Della Guardia si propone di riaccendere tramite una serie di lavori che invitano il visitatore a sperimentare nuovi modi di vedere.
Una mano in marmo rosa, installata all’altezza del mento, invita il pubblico a tirare su la testa e guardare in avanti verso paesaggi lontani. Tramite l’uso di occhiali in carta carbone il visitatore, comodamente sdraiato su un materasso arcobaleno, disegna idealmente nel cielo la propria immaginazione: a occhi chiusi, in quella rara pausa dal vedere abituale, l’individuo è in grado di dare nuovamente spazio a tutta quella sfera immaginifica troppo a lungo sopita.
Con questo stesso invito, indossando gli occhiali speciali che inducono a una vista laterale, Della Guardia sembra suggerire ancora una volta una tensione verso l’avere occhi nuovi per guardare oltre che per vedere. Come scorgere il tenue tratto del volo degli uccelli, che piroettando lasciano la propria scia dettata dal caso, come quelle che l’artista disegna in filo d’oro su fondo blu, un alfabeto poetico di segni scritti in un cielo che non deve avere confini. Il prossimo reale che dà il titolo alla mostra è quello che Antonio Della Guardia invita a cercare e, se necessario, ricercare nuovamente quando ci si sente persi e si ha la sensazione di essere tornati ad immergersi nella propria anti-visione contemporanea. Un invito a togliere il filtro delle auto limitazioni dettate dalla pigrizia dello sguardo.
Aprire gli occhi e sfilare via gli occhiali, per rieducare gli occhi e riaprire la mente, come l’artista suggerisce nel suo libro d’artista che porta il titolo del progetto, Per un Prossimo Reale, un piccolo manuale di tecniche performative da ripetere ogni giorno della settimana, a celebrare l’invito alla decelerazione, al tempo lento in cui si ritrovano i gesti più semplici della quotidianità messi da parte. Pubblicato da Libri Tasso grazie al supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma, il progetto editoriale verrà presentato il 19 novembre 2021 alle ore 18 presso lo Studio Ottavio Celestino, situato nel cortile del Pastificio.
Fino al 18 dicemebre 2021
Fondazione Pastificio Cerere, Via degli Ausoni, 7 – Roma