
“Si fa un gran parlare di necessità di andare oltre il White Cube ma alla fine muoiono tutti dalla voglia di finirci dentro. Noi invece siamo stati sempre più a nostro agio nei cessi dei locali, in cui tanti momenti belli e memorabili abbiamo passato”. Con queste parole Antonio Grulli introduce la neonata Fondazione Benassi Iacopo, la cui sede espositiva risiede nel bagno dello studio dell’artista a La Spezia. Un luogo angusto e generalmente privato che diviene spazio di confronto creativo e relazioni.
Oltre ad alcuni scatti di Benassi, Andrea Renzini propone PFIZER Apollinaires, realizzato con pennarello su organza di seta e reggicalze di pizzo. Il logo della multinazionale farmaceutica, disegnato sul supporto, diviene il terreno per un amplesso tantrico e acrobatico. Al di là della decontestualizzazione che il logo subisce, centrale nella ricerca di Renzini – questo lavoro è parte di una serie più ampia in cui loghi di brand e multinazionali, spesso al centro della ribalta mediatica, vengono stravolti e risemantizzati – l’immagine scelta dialoga con lo spazio espositivo. Il bagno da luogo privato e di servizio si trasforma in uno spazio di piacere, eroticamente connotato, in cui si riscopre la vicinanza e il contatto fisico, che solo il vaccino sembra poter riportare nelle nostre vite interrotte dalla pandemia. La scelta stessa del supporto – organza di seta e reggicalze in pizzo – sottolineano la carica erotica e sensoriale del lavoro, stimolando non soltanto la vista ma anche il tatto.

L’invito ad un artista come Andrea Renzini di inaugurare la Fondazione nasce dalla capacità della sua pratica e dei suoi lavori di entrare nel sistema arte e neutralizzarlo dall’interno. “Vi sono artisti – afferma Antonio Grulli – che rivestono un’importanza superiore, che hanno per la comunità dell’arte la stessa funzione che i vaccini hanno per la comunità in senso lato. Le loro opere sono in grado di prendere i germi che corrompono (e hanno sempre corrotto) l’arte e di pervertirli rendendoli innocui; una volta “assunte” si diventa immuni al morbo e non si è più capaci di vedere il sistema dell’arte con gli stessi occhi, anzi – come dice sempre il comune amico Luigi Ontani – si inizia a capire che l’arte è qualcosa di diverso dal mondo dell’arte. Questo spirito giocoso e paradossale emerge anche nelle molteplici citazioni ad Apollinaire: il poeta sovverte la letteratura sia attraverso i suoi celeberrimi calligrammi sinestetici ma anche attraverso la letteratura in prosa, tra cui il romanzo erotico-grottesco Le undicimila verghe. Il richiamo all’artista riporta alla mente anche il dadaismo e Duchamp – con il suo Apolinère Enameled – nonché la situazione pandemica, essendo il poeta deceduto a causa dell’influenza spagnola.
Passato e presente si intrecciano in uno spazio espositivo che vuole sovvertire il tradizionale white cube ed essere nel “sistema arte” come fondazione sovvertendolo però dal suo interno: nessuna programmazione è decisa, nessun artista è invitato, non c’è nessun manifesto o regola da seguire. Tutto avverrà spontaneamente: “L’arte d’altronde è come l’amore e deve essere fatta solo e tutte le volte che se ne ha voglia”.

