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Ambienti 1956-2010. Environments by Women Artists II | MAXXI, Roma

La mostra Ambienti 1956-2010. Environments by Women Artists II al MAXXI esplora la fusione tra arte, architettura e design, offrendo un'esperienza immersiva attraverso diciannove opere di artiste donne

Arte Povera – IM Spazio (1967) è il titolo di una mostra epocale curata da Germano Celant alla galleria La Bertesca di Genova; nella sezione “Arte Povera” espongono Alighiero Boetti (Catasta), Luciano Fabro (Pavimento, tautologia), Jannis Kounellis (Senza titolo, struttura in ferro e carbone), Giulio Paolini (Lo spazio), Pino Pascali (1 metro cubo di terra, 2 metri cubi di terra), Emilio Prini (Perimetro d’aria). Nella sezione “Im Spazio” compaiono invece Umberto Bignardi, Mario Ceroli, Paolo Icaro, Renato Mambor, Eliseo Mattiacci, Cesare Tacchi. Si tratta di una mostra seminale in cui per la prima volta vengono imparentati, senza mai più essere separati, il sostantivo ‘arte’ e l’aggettivo ‘povera’, destinati d’ora in poi a cambiare inesorabilmente le sorti e lo statuto dell’arte per come sino ad allora era stata intesa. “Im spazio”, abbreviazione di immagine spazio, rifletteva un particolare interesse per le opere legate all’esplorazione delle nozioni di spazio: qualcosa di sconvolgente e irreversibile stava accadendo; comportamento e presenza fisica prendevano le sembianze di un’opera d’arte compiuta e conclusa, in grado di conferire, attraverso l’artista, una nuova semantica dello spazio e dell’ambiente stessi. Ed Im spazio è la categoria coniata da Celant in occasione della mostra di Palazzo Trinci a Foligno, Lo spazio dell’immagine – di poco precedente a quella di Genova – per descrivere la tendenza delle immagini “a farsi spazio, ad integrarsi nei sistemi linguistici dell’architettura e dell’urbanistica”.  
La mostra Ambienti 1956-2010. Environments by Women Artists II al MAXXI esplora la fusione tra arte, architettura e design, offrendo un’esperienza immersiva attraverso diciannove opere di artiste donne – Micol Assaël, Monica Bonvicini, Judy Chicago, Lygia Clark, Laura Grisi, Zaha Hadid, Aleksandra Kasuba, Kimsooja, Christina Kubisch, Léa Lublin, Nalini Malani, Marta Minujín, Tania Mouraud, Pipilotti Rist, Martha Rosler, Esther Stocker, Nanda Vigo e Tsuruko Yamazaki. 

Il percorso espositivo si snoda nelle gallerie 2, 3, 4, la Sala Gian Ferrari e la piazza del MAXXI, creando una perfetta sinergia con gli spazi progettati da Zaha Hadid, funzionali a favorire un’interazione con il pubblico e a generare un sottile margine imprevisto nel percorso; la sensazione è quella di esperire un luogo solo parzialmente conosciuto, attraversando sentieri multipli che tendono verso orizzonti disparati: lo stato ludico-percettivo, e dunque l’ambiente come esperienza di sé attraverso il gioco, l’attraversamento, la familiarità; la scoperta del discomfort e l’esperienza percettiva tramite il suono/rumore e la luce/variazioni di intensità luminosa e saturazione dello spazio; un approccio più marcatamente socio-politico e femminista; la conoscenza dello spazio attraverso l’esperienza fisico-percettiva.  

Aleksandra Kasuba A Spectral Passage, 1975 – 2023 ph. Giorgio Benni
Nanda Vigo Ambiente Cronotopico, 1967 – 2003 ph. Giorgio Benni

In uno speciale ritorno alla funzionalità della progettazione architettonica di Zaha Hadid, il percorso sembra privilegiare una visione organica e integrata proprio con le architetture che lo ospitano, lasciando visibili al pubblico nuovi spazi e consentendo così all’ossatura dell’insieme architettonico di farsi largo, respirando dell’ambiente espositivo circostante. Il progetto mette in risalto il contributo significativo delle donne nella storia dell’arte ambientale, adottando una prospettiva non esclusivamente di genere, bensì volta a riconsiderare filologicamente ciascun percorso, nell’ottica di un approccio metodologico ai diversi momenti che si sono avvicendati nelle discipline artistiche lungo un arco cronologico piuttosto ampio e attraverso la partecipazione delle artiste al riadattamento degli ambienti presentati. Ambienti 1956-2010 è anche il proseguimento e l’ampliamento del progetto Inside Other Spaces. Environments by Women Artists 1956–1976, alla Haus der Kunst di Monaco di Baviera, a cura di Andrea Lissoni e Marina Pugliese

Con il progetto curato da Andrea Lissoni, Marina Pugliese e Francesco Stocchi, il MAXXI estende la cronologia fino al 2010, anno del completamento dell’edificio di Hadid. In mostra compaiono il linguaggio affabulatorio e di finzione scenica in grado di proiettare il visitatore in un luogo altro, immaginifico, sensoriale e iper-esteso; allo stesso tempo, si fa strada l’idea di una immersione in grado di coinvolgere e sviluppare la conoscenza tattile e uditiva, in un incontro ravvicinato con l’opera e il suo spazio anche immateriale; infine, si apre la potenzialità di appropriazione dello spazio a partire da una dimensione estesa, e globale, di passaggio e attraversamento. Le diciannove opere presentate non sono semplici installazioni, ma vere e proprie esperienze immersive che vivono grazie all’interazione attiva e personale con il pubblico.

Senza approfondire ciascuno degli ambienti in mostra, è possibile rintracciare alcune coordinate e suggestioni: l’immagine spazio, ovvero la compenetrazione di immagine e architettura; la percezione attraverso lo scambio tra ambiente e corpo; l’attraversamento di uno spazio e la conoscenza estemporanea; lo spazio-ambiente ibrido.

Tsuruka Yamazaki Red (Shape of Mosquito Net), 1956 ph. Giorgio Benni
Micol Assaël Sleeplessness, 2003 – 2023 ph. Giorgio Benni

Sip My Ocean (1996) di Pipilotti Rist è il primo video dell’artista svizzera in cui la dimensione dello schermo viene superata per privilegiare un’installazione in cui lo spazio circostante è compenetrato e abitato da suono e immagine insieme. Corpi, forme e oggetti, ripresi sott’acqua e proiettati su una superficie angolare, si adoppiano, si ricompongono, scompaiono, sulla scia della cover del brano Wicked Games di Chris Isaak. Sleeplessness (2003) di Micol Assaël è un ambiente caratterizzato da due momenti, interagenti e consequenziali: una stanza vuota, con finestre aperte e luci fulminate, dalle cui prese elettriche emerge del fumo; una seconda stanza in cui due compressori lavorano per congelare il soffitto. La sensazione di pericolo, insieme a una sorta di allenamento alla resistenza (endurance), sono i due elementi che caratterizzano il rapporto ravvicinato con questo ambiente.
Ambiente spaziale: “Utopie”, nella XIII Triennale di Milano (1964) di Lucio Fontana e Nanda Vigo ripropone il celebre corridoio rosso realizzato dai due artisti in occasione della XIII Triennale di Milano, curata da Umberto Eco e Vittorio Gregotti e incentrata sul tema del “Tempo Libero”: la spessa moquette, il sali-scendi degli interni e le pareti in vetro smerigliato ricreano uno spazio accogliente in cui lo spettatore è invitato a soffermarsi prendendosi del tempo per sé. In If You Lived Here… (1989 – in corso), Martha Rosler crea un ambiente ibrido e straniante, a metà tra pubblico e privato, chiuso e aperto. Parte essenziale del progetto sono tre approfondimenti tematici e quattro discussioni pubbliche, organizzate in forma di incontri cittadini, con l’obiettivo di sviluppare una coscienza critica condivisa sul problema dell’emergenza abitativa nei contesti urbani.

Ambienti 1956-2010. Environments by Women Artists II è arricchito da Ambiènte Archìvio, una sezione di approfondimento realizzata dal Centro Archivi Arte del MAXXI che racconta l’evoluzione della ricerca spaziale attraverso le diverse declinazioni del termine ambiente dal 1949 al 2010. Accompagnano la mostra un programma di performance e incontri per riflettere attorno al concetto di ambiente. Per l’occasione, inoltre, è stato prodotto un catalogo, edito da Quodlibet, che riunisce saggi e una conversazione sul tema degli ambienti dal 1956 al 1976 insieme a un’ampia sezione di apparati. 

Marta Minujin ¡Revuélquese y viva!, 1964 – 2003 ph. Cinzia Capparelli
Laura Grisi Vento di Sud-Est (Wind Speed 40 knots), 1968 – 2023 ph. Cinzia Capparelli
Esther Stocker “Il termine ’affine‘ attrae la nostra attenzione anche se in realtà non significa nulla”, 2004 ph. Cinzia Capparelli