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Domenica 27 gennaio ha inaugurato Amaretto, la collettiva curata da Giacomo Montanelli. La mostra si inserisce all’interno di un progetto più ampio di ristrutturazione e riqualificazione di Villa Vertua Masolo, progetto sostenuto dall’amministrazione comunale di Nova Milanese e portato avanti dall’Associazione Casa Gialla. Il comune di Nova Milanese riconferma come direttore della Villa Simona Squadrito che nel 2019 ha deciso di inserire nell’organico amministrativo e gestionale Martina De Rosa e Lisa Andreani, due professioniste che l’affiancheranno della gestione dello spazio.
Da gennaio 2019 gli spazi dedicati alle mostre temporanee sono raddoppiati, infatti adesso è possibile usufruire dei due piani nobili della Villa, inoltre dall’anno corrente, ospiterà nuovi progetti e nuovi curatori. Tra i progetti più innovativi c’è REPLICA, l’archivio italiano del libro d’artista, che occuperà gli spazi dell’ultimo piano della Villa, mentre tra i curatori presenti nella programmazione spicca il nome dello storico dell’arte e museologo Paolo Biscottini che tra i prossimi febbraio e aprile curerà le personali di Francesco Toniutti e Riccardo Tajana.
Simona Squadrito ha intervistato Giacomo Montanelli —
Simona Squadrito: Tempo fa parlando della mostra hai affermato che Amaretto è un progetto intelligente per questo specifico momento storico, cosa significa questa tua affermazione? C’è una volontà politica dietro questo progetto, un intento programmatico?
Giacomo Montanelli: Amaretto è prima di tutto una mostra importante per il mio lavoro. Puntualizza certe riflessioni della mia ricerca condivise da altri artisti che frequento e che mi hanno aiutato a costruire questo progetto. Alcune di queste riflessioni nascono dall’ambiente in cui il lavoro si manifesta o dalle qualità formali. C’è un preciso momento d’incontro in tutti i lavori esposti, però dovremmo stabilire con certezza che cosa intendi con politico. Per certi punti di vista credo che sia scontato il fatto che sia una mostra politica. Come spero che lo siano molte mostre. Scegliere artisti con uno specifico approccio al lavoro è già una qualità ideale importante.
S.S: Quali caratteristiche hanno gli artisti coinvolti, te compreso, in questa mostra?
G.M: Tutti gli artisti che ho coinvolto in questa mostra hanno delle peculiarità specifiche, ognuno è diverso dall’altro. Il lavoro di ognuno di loro, compresi i miei, hanno fatto qualcosa: sono tasselli che hanno costituito l’intento dichiarativo del progetto. Una qualità comune può essere l’attenzione agli aspetti decorativi apparenti che nascondono intenzionalità diverse, il rapporto ideale con l’oggetto, le forme che esso acquisisce.
S.S: Tra gli artisti coinvolti spiccano due nomi: quello di Giorgio De Chirico e di Gio’ Pomodoro. Perché hai selezionato per questa mostra questi due artisti e, sopratutto, perché quelle due opere in particolare?
G.M: “Segnasole” di Gio’ Pomodoro è una scultura di cui mi sono innamorato non appena l’ho vista nell’archivio milanese. Un lavoro diverso dai suoi più conosciuti, era sopra una madia come un grande fermacarte, bellissimo. De Chirico è una passione. Un lavoro squisito del 1929 come “Uomo con due cavalli”, non può non essere in casa di un collezionista di gusto.
S.S: Questa è stata la tua prima esperienza nel ruolo di curatore, cosa hai imparato da questa e quali sono le difficoltà che hai affrontato?
G.M: È andato tutto molto bene. La quantità e la qualità delle cose che si imparano è spesso direttamente proporzionale alle difficoltà. Le cose sono molte e personali e non credo siano rilevanti rispetto alla mostra.
S.S: Dopo questa esperienza cureresti un’altra mostra? Se sì, hai in mente un progetto in particolare?
G.M: È stata una bella esperienza, ma adesso ho bisogno di concentrarmi prima di tutto sul mio lavoro. Torno in studio con una mostra da preparare insieme a Federico Cantale e Jimmy Milani.
S.S: Amaretto è una mostra che vuole raccontarci anche un’idea di collezione, infatti questo progetto ci vuole introdurre nella casa di un collezionista. La collezione privata è frutto di scelte individuali, legate al gusto e all’identità. Se volessimo descrivere il profilo di questo collezionista attraverso questa collezione cosa potremmo dire della sua personalità?
G.M: Il testo di Filippo De Marchi scritto per la mostra, dà un’atmosfera precisa e forse lascia intendere qualcosa di questo collezionista: « […]Come in tutti gli eventi che si rispettino l’impedimento tecnico causava talvolta piccoli danni, ricordo lo scivolare dei calici sulle assi del pavimento e il vino macchiarmi tutte le calze. Mi ricordo, lì per lì, mortificato e indispettito nell’alzarmi i pantaloni e tamponare il disastro con il mio fazzoletto dalle caviglie fin sul parquet, privo di qualsiasi soccorso mi vedo ancora oggi districare qualche frammento di vetro incastrato dall’incrocio dei laccetti in cuoio. Nonostante questo non di rado passavo i momenti finali del ricevimento sperando e pensando nell’invito al prossimo (scomodo) evento. […] »
S.S: Come s’inserisce all’interno di questa mostra la performance di Bea Viinamaki?
G.M: Volere questa performance di Bea è stato un atto curioso soprattutto per me. Il suo lavoro mi rivela un potenziale che dovevo sfruttare per far tornare i conti in Amaretto. Così si inserisce totalmente nella dimensione domestica e del buon gusto. È una presenza che abita le stanze elegantemente.
AMARETTO
Federico Cantale, Giorgio de Chirico, Filippo De Marchi, Ditte Gantriis, Rodrigo Hernández, Keresztesi Botond, Martin Lukáč, William Merante, Jimmy Milani, Giacomo Montanelli, Giovanni Nordio e Gregorio Nordio, Gio’ Pomodoro, Giovanni Riggio, Federico Tosi, Bea Viinamäki
Organised by Giacomo Montanelli
Saturday 27 January 2019, 18h
28/01/19 – 10/02/19
Villa Vertua Masolo – Via Garibaldi 1, 20834, Nova Milanese – MB
Supported and promoted by Casagialla
«And I still remember the smell of the azaleas that grew in the vases on the balustrades, upstairs where we paused taking part in the continuous parties and receptions of our guest.There was not a single moment when some of us were moved by suspicion, by the desire to lower our eyes to the baseboard and stretch our fingers into the holes and cavities.These, in the dark, appeared as oversights of servants, ash stains from the fireplace or knots of the wood and who knows what else we have left hint in our disinterest.
Looking back to what I remember (and to what I cannot omit) I say here, without remorse, not to regret accepting every invitation, having taken part and enjoyed the hospitality granted to me.
The pleasure of participating and spending my time there reassured me to see myself as a friend of such a hi- gh-class person, to see me and feel for short moments a noble, upright and sophisticated person. Several times I approached the backsplashes, the chocolatiers and the cups placed along the table without chairs. Several times
I found myself surprising myself with the refinement (and charm) of a banquet that grouped, uncannily, disparate sophistication.
Reaching then a posthumous lucidity, no one (yet again) wondered the reason for such sophistication, often the stuffed eggs, the candied grapes and the truffle tartlets slipped awkwardly on the neighbor’s shoe between laughters and sometimes endless controversy.
We stood elegantly always standing, the inconvenience of using both hands required the search for surfaces for glas- ses, cutlery or simply a rest to rest your legs.
As in every remarkable event the technical impediment sometimes caused minor damage, I remember the slipping of the glasses on the floor boards and the wine often staininig all the socks. I remember myself mortified and annoyed to raise my pants and dab the disaster with my handkerchief, from the ankles to the parquet floor.
Without any help I still see myself today untangling some fragment of glass from the intersection of leather laces. Despite this I often passed the final moments of the reception hoping and thinking in the invitation to the next (inconvenient) event.
It was a long time later, when I quitted attending his house, that the news spread, I did not pay much attention in part because I had no reason to complain about any abuse, in the second instance it was not immediately clear what had happened and what had been discovered.
Not surprisingly, then I learned that we diners were lost at someone else’s party, stopping for a moment in a thea- ter open to unknown guests who, invisible and from impossible prospective focuses, made our presence, of our slow walking, the object of their pleasure and motivated perversion.
And it is still the scent of azaleas that still accompanies me, when I think about the people behind the walls, with the cheeks pressed on the floor of the interspaces, the eyes well fixed in the peepholes of the baseboard that we had so carelessly seemed in the dark, servants oversights, ash stains from the chimney, knots of the wood.»
Filippo De Marchi
Villa Vertua Masolo, Via Garibaldi 1 – Nova Milanese
Saturday from 15.30 to 18.30; Sunday from 10.00 to 12.00 / from 15.30 to 18.00.
On appointment _ +39 3920317056 // +39 3388834056