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È in programma alla Fondazione Giuliani di Roma, fino al 20 luglio 2018, la mostra personale di Alicja Kwade, dal titolo Materia, per ora.
Blocchi di marmo bianco ad altezza umana vengono spezzati pian piano in modo da accorciarli di 1/8 per volta, finché l’ultima porzione viene fatta esplodere sin’a diventare polvere bianca. Il marmo è quello usato dai romani per le loro sculture bianche come le piume di colomba; il processo è quello di un’astrazione del corpo umano ridotto ai suoi canoni generali, che vengono polverizzati e ridotti a farina calpestabile sotto i nostri piedi. L’opera è Etwas Abwesendes, dessen Anwesenheit erwartet wurde (2015). C’è un altro marmo, subito dopo, questa volta è di Carrara, con le sue contaminazioni grigiastre. Questa volta c’è una forma, perché il materiale viene plasmato in quanto calco del sostegno di una gigantesca statua di fauno conservata agli Uffizi di Firenze, greca originale del 5 sec. a.C. Lui non c’è, ne rimane quindi il sostegno, e l’orma del suo polpaccio e del muscolo che ne circonda il femore. Ne rimane quel nucleo di linee di forza chiuse per sempre nel marmo. L’opera è SUPPORT (Atleta) (2018). Successivamente troviamo degli esercizi di scomposizione di oggetti del quotidiano. Nel primo caso, si tratta della differenziazione di una lampada, una radio e un orologio da tavolo nei vari materiali che li costituiscono. Questi materiali vengono poi polverizzati e raccolti, divisi per categoria, in vasi di vetro di uguali dimensioni, in modo da indicarne subito anche le rispettive proporzioni.
I vasi di ogni oggetto sono raggruppati poi in bacheche di vetro sorrette da una struttura in ottone. Si tratta di Lampe (Kaiser Idell rot) (2015); Radio (Alicja R-603) (2014); Kaminuhr (Zentra) (2014). Questa pratica di decostruzione si avvale poi di una fase opposta, di edificazione, nelle opere iPhone (2017), Lampe (2017), Computer (PowerMac) (2017), Kaminuhr (2017), Kükenuhr (2017). I cinque oggetti indicati dai relativi titoli sono stati anche in questi lavori distrutti, frammentati e disintegrati, senza però che poi i vari materiali venissero scientificamente distinti gli uni dagli altri a seconda delle loro caratteristiche fisico-chimiche. Essi sono stati invece mescolati con della resina per ottenere un impasto che è stato poi modellato in modo tale da ottenere cinque vasi diversi dalle forme proprie di quelli dell’antichità. Sembra di vedere un farfugliante tentativo di decomporre la contemporaneità per credere, ancora per una volta, che da essa possa risorgere il passato, almeno nella forma e non nella sostanza. Che cosa ha più importanza nel dominio dell’arte?
In mostra ci sono anche l’opera del 2009 composta da cinque elementi (in legno, specchio, metallo, ottone) piegati in modo da creare una curva che segue l’angolo formato tra parete e pavimento di una sala. Kwade forza ancora la mano per illudere la materia, farle assumere forme mai prese prima, indurre chi osserva ad una sospensione di giudizio tale è la sospensione vulnerabile che sostiene quegli elementi attraverso la gravità. L’opera è Andere Bedingung (Aggregatzustand). Ci sono anche altre opere, in mostra, che presentano ancora polverizzazioni, rimontaggi, decostruzioni e giochi di specchi. I materiali assurgono a elementi plasmanti, dando forma, colore e significato a degli oggetti privi di valore estetico. La quotidianità del contemporaneo viene disintegrata, l’antico viene preso a modello per svuotarlo e ingannare il tempo. Ogni cosa ne sembra sempre un’altra, traducendo l’attenzione che Alicja Kwade ha dedicato alla Teoria delle Stringe e delle 11 dimensioni dell’universo, di cui solo quattro sono percepibili dall’uomo. Anche la mostra parla di teorie, teorie di inganni e mascheramenti. Parla anche di binomi e contrasti, come tra la percezione degli oggetti e la consapevolezza dei loro componenti, tra la bellezza di un materiale e il suo totale annullamento, tra la visione di un oggetto per intero e la scoperta della sua incompletezza. Come accade in Tatum pro parte (Ein Hacker ist ein Bild) (2017), dove quattro quarti di sgabello sono accostati a specchi che danno l’illusione, per ogni quarto, che si tratti dell’intero. La conoscenza è effimera nella stessa misura in cui sono molteplici le traiettorie con cui raggiungerla, direbbe Svevo.