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Come dal vero. Le regole per l’inganno di Aldo Mondino | BUILDING, Milano

Si svolge fino al 17 giugno “Aldo Mondino. Regole per l’inganno”, l’importante retrospettiva curata da Alberto Fiz che BUILDING ospita a Milano con la collaborazione dell’Archivio Aldo Mondino. Con una collezione di circa quaranta opere fra dipinti, disegni, sculture e installazioni che vanno dal 1963 al 2003, la mostra mette in scena un sistema di […]

Aldo Mondino. Regole per l’inganno. Installation view, Courtesy BUILDING
Aldo Mondino. Regole per l’inganno. Installation view, Courtesy BUILDING

Si svolge fino al 17 giugno “Aldo Mondino. Regole per l’inganno”, l’importante retrospettiva curata da Alberto Fiz che BUILDING ospita a Milano con la collaborazione dell’Archivio Aldo Mondino.

Con una collezione di circa quaranta opere fra dipinti, disegni, sculture e installazioni che vanno dal 1963 al 2003, la mostra mette in scena un sistema di regole per l’inganno, ovvero quel metodo di allucinazione visiva che l’artista impiega e dispiega per affrontare tanto la storia dell’arte, quanto la sua stessa creazione. “Un continuo ribaltamento”, afferma il curatore, che è a tutti gli effetti il fil rouge di tutta la sua produzione, vale a dire un instancabile inganno formale: quel che si vede non coincide con la verità delle cose e dei materiali. In modo antifrastico a quel verum ipsum factum di vichiana memoria, nascono oggetti tra il metaforico e l’arcano: mosaici di cioccolatini, bronzi di cioccolato, muri di zucchero e piscine di marshmallow. “Pensieri che ci liberano dai nostri dogmi e dalle nostre regole aprioristiche”, per citare nuovamente Fiz, ma non si tratta di meri espedienti ludici, quanto piuttosto di una complessa e multifattoriale presa di consapevolezza della realtà, talvolta malinconica, precaria, disincantata.

Se fin dagli anni Sessanta Mondino afferma la centralità della pittura – come, del resto, ribadirà per sempre – esponendone una componente concettuale a tratti persino parallela alla coeva esperienza dell’Arte povera, egli mantiene, instancabile, una forte distanza da ogni omologazione, svolgendo un’indagine autonoma, controversa e di cosciente opposizione. Questo si percepisce fin dal primo ambiente al piano terra, dove quei Palloncini celebrano di fatto un muoversi della pittura, quasi come se i dipinti registrassero uno scarto di spostamento causato dall’azione di sospensione del palloncino, così allegramente colorato. Tra questa serie non va dimenticata l’Analogia con Paolini del 1967, che per certi versi si pone prodromica alla serie dei Tributi al piano superiore. Non mancano inoltre le Cadute e le Bilance, ovvero tentativi di registrazione fisica della pittura alla quale l’autore attribuisce di fatto un peso: gesti di equilibrio, di caduta, di messa in discussione della staticità per nulla lontani alle ricerche della coeva Arte povera. Sempre nella prima sala si registrano inoltre due interventi di natura architettonica: la Torre di torrone e l’incredibile Piscina di marshmallow, prima delle tre opere effimere.

Aldo Mondino. Regole per l’inganno. Installation view, Courtesy BUILDING
Aldo Mondino. Regole per l’inganno. Installation view, Courtesy BUILDING
Aldo Mondino. Regole per l’inganno. Installation view, Courtesy BUILDING

Già dal primo ambiente si percepisce quanto la sperimentazione sia precipua dell’intera produzione di Mondino: disegni, sculture, esercizi sulle plastiche o sui materiali commestibili, ma senza mai dimenticare la pittura, vero denominatore comune di ogni sua opera, intendono forse porsi come risposta ai grandi mutamenti sociali dell’epoca. Con questo spirito, salendo al primo piano, si respira il fascino dell’autore per l’Oriente: impossibile non notare il preziosismo di The Byzanntine World, incredibile mosaico di cioccolatini di gesso e legno che brilla alla luce di Jugen Stilo, un lampadario dal decorativismo ambiguo che si pone tanto quanto probabile oggetto illuminotecnico, quanto arredo sacro. Non a caso sovrasta Raccolto in preghiera, un grande tappeto effimero di granaglie. Questa fascinazione rituale e, anzi, religiosa si tramuta in un sempre più esplicito riferimento autobiografico all’ebraismo, raccontato soprattutto attraverso il vestiario e ribadito dal Muro del pianto, terza e ultima struggente installazione di zucchero. Alle pareti, i Tappeti stesi in eraclite.

Il secondo piano ospita la serie dei Tributi: una quadreria di sculture e ritratti su linoleum che omaggia amici e maestri. Tra T.S. Eliot, Geltrude Stein, Bertrand Russel, Umberto Boccioni e molti altri non manca il poeticissimo trittico Essaouria ’94, la cui iscrizione “Ali Alighiero” così potentemente si pone in riferimento agli aeroplani dell’amico Boetti. La Ruota di bicicletta di Man Ray diventa Ciclo e riciclo: su quella stessa ruota sono applicate scarpe veneziane, e quel celeberrimo ritratto di Man Ray a Marcel Duchamp, Tonsura, diventa Ortisei, un busto di cioccolato che condivide con l’originale la stella tra i capelli.

Per concludere con le parole del curatore, la grandezza di Aldo Mondino sta nella sua capacità di aprire degli spazi di libertà, quindi nel consentire strade che non erano state percorse prima. Una sfida trasgressiva ai perbenismi della società, alla storia dell’arte ma soprattutto a sé stesso, per sempre.

Aldo Mondino. Regole per l’inganno. Installation view, Courtesy BUILDING
Aldo Mondino. Regole per l’inganno. Installation view, Courtesy BUILDING
Festa araba a Brera, cammello di nome Badoglio, 1985 – 86, Brera, Milano. Ph. Archivio Garghetti Milano