Nella sua sede principale Mostra d’Oltremare di Napoli la Collezione ALA presenta il progetto CLOUDY CARE dell’artista romana Catherine Biocca, vincitrice della quarta edizione di ALA Art Prize 2024. Con un’opera interattiva che riflette sull’idea di self-care all’interno dell’ambiente lavorativo, Biocca sottolinea l’importanza dell’arte come mezzo per creare connessioni significative e momenti di riflessione individuali e collettivi.
Il progetto di Catherine Biocca è stato selezionato dal Comitato Scientifico di ALA Art Prize composto da Giovanni Carmine, Direttore della Kunst Halle di San Gallo e curatore di Art Basel Unlimited, Eugenio Viola, Direttore Artistico del MAMBO – Museo de Arte Moderno de Bogotá e curatore della 24° Bienal de Art Paiz in Guatemala e Alessia Volpe, Exhibition Manager alla Bourse de Commerce — Pinault Collection di Parigi.
Seguono alcune domande a Catherine Biocca –
Noemi Tumminelli: CLOUDY CARE riporta l’attenzione verso la cura di sé e del prossimo attraverso un particolare strumento di condivisione e connessione: l’arte. Mi racconti dove è nata l’idea dell’opera?
Catherine Biocca: L’idea dell’opera è nata durante un momento di quotidianità, in cui mia figlia è venuta da me ad abbracciarmi per qualche secondo e poi è scappata via. L’immediatezza e la spontaneità del suo gesto mi ha portata a ragionare sul valore dei piccoli gesti d’affetto e di cura dell’altro.
NT: Per realizzare il progetto CLOUDY CARE ha coinvolto alcuni dipendenti della stessa società ALA (Advanced Logistic for Aerospace), che risposta c’è stata all’interno dell’azienda? E quale relazione si è instaurata con il personale che ha preso parte all’iniziativa?
CB: Durante la realizzazione dell’opera ho collaborato con sei dipendenti aziendali per realizzare le registrazioni dei file audio che si sentono alzando la cornetta dei tre telefoni. La preparazione della parte audio del progetto e l’incontro con queste persone è stato sicuramente molto stimolante considerando i nostri background professionali diametralmente opposti. Ho riscontrato curiosità, interesse e anche molta attenzione a seguire le indicazioni necessarie per la realizzazione tecnica dell’audio. L’aspetto interattivo del mio lavoro, che è parte integrante della mia pratica da anni, è sicuramente molto presente anche in questo lavoro realizzato per l’ALA Art Prize 2024.
NT: Per la prima volta nella storia del Premio la tua installazione sarà dislocata in diverse aree dell’headquarter di ALA, che relazioni si instaurano tra l’opera e l’architettura? Cosa ha ispirato questa scelta nell’allestimento?
CB: L’opera è dislocata in tre aree diverse degli uffici di ALA soprattutto per renderla fruibile ed usabile per chi vive gli stessi spazi aziendali. Ho scelto nello specifico delle zone in cui il personale si ritrova durante le pause pranzo e più in generale nel tempo libero proprio per facilitare l’incontro con l’opera Cloudy Care. Ad esempio una delle tre parti dell’opera è stata installata in una sala dedicata ai momenti di condivisione e pausa dove sicuramente il pubblico in visita avrà il tempo e la riservatezza necessari per scoprire il lavoro Cloudy Care in tutta calma e intimità.
NT: In una società costantemente iperconnessa ma al contempo rappresentata da individui sempre più isolati, il progetto CLOUDY CARE invita lo spettatore a rallentare, fare silenzio e ascoltare. Quale è il messaggio che vuoi mandare attraverso quest’opera? E quale relazione intercorre tra la combinazione di elementi visivi e acustici?
CB: Il mio lavoro, come quello di tanti altri artisti, si suddivide in elementi formali ed elementi sostanziali. Sicuramente il contenuto è l’aspetto che da sempre mi intriga di più ed anche in questo caso, come è ovvio, l’idea del progetto è la parte più consistente: riflettere sulla necessità di aumentare e coltivare l’empatia nei confronti del prossimo senza aspettativa alcuna in termini di “ritorno economico”.
Formalmente l’opera è accompagnata da grandi figure di natura eterea e nuvolosa che si abbracciano e coccolano. Il materiale scelto per realizzare questi bassorilievi montati a muro è l’ecopelle, un materiale povero di per sé e che ricorda un surrogato rispetto alla pelle vera e quindi metaforicamente anche un surrogato di rappresentazione della stessa identità umana, che in questo caso illustra allo spettatore personaggi che si dedicano l’uno all’altro.