Ailanto è un progetto espositivo nomade che riflette sulle strategie di sopravvivenza dei linguaggi artistici alternativi, nati a latere del sistema ufficiale a partire dagli anni Ottanta, che si sono poi ampiamente diffusi, “contaminando” tendenze e modi operativi. Il titolo è mutuato dal nome dell’omonima pianta invasiva, metafora di questo fenomeno, instaurando un parallelismo tra andamenti biologici e culturali. A riflettere su queste dinamiche di adattabilità, resistenza e influenza sono stati invitati tre artisti che hanno fatto di queste caratteristiche la cifra della loro prassi creativa: Cuoghi Corsello, da sempre per scelta oustider, e Dado, esponente di spicco della disciplina del writing. Ne parliamo con il curatore Fulvio Chimento, con Monica Cuoghi e Claudio Corsello.
Rossella Moratto: Com’è nata l’idea di questo progetto e la scelta degli artisti?
Fulvio Chimento: In luglio 2013 ho invitato Cuoghi Corsello a partecipare ad ART MOB, collettiva della durata di una sera in un ex spazio industriale Maramotti a Reggio Emilia. Nel cortile della location cresceva una grande pianta di ailanto (Ailanthus altissima). Durante l’inaugurazione il mio sguardo era continuamente richiamato da quell’albero imponente, che si era sviluppato in prossimità della parete, innalzandosi per svariati metri quasi a indicare il cielo. In quell’occasione si è accesa in me una scintilla: la potenziale corrispondenza (su più livelli) tra la poetica artistica di Cuoghi Corsello, presenti fisicamente in quella sede, e l’aspetto simbolico che l’ailanto era in grado di riflettere. In alcune caratteristiche di questa pianta, infatti, è possibile scorgere legami profondi con il modo totalizzante e germinativo di intendere l’arte per Cuoghi Corsello: lampante la condivisione suggestiva di habitat connessa ai luoghi in disuso (il duo artistico ha vissuto in fabbriche occupate dal 1994 al 2005) e, in riferimento a Dado, allo stesso spazio scenico del writing (treni, binari, stazioni, stabilimenti abbandonati, muri di periferia). La mostra Ailanto mi è stata ispirata dagli stessi artisti, e costituisce la riprova – se mai fosse necessaria – di come la realtà sia il frutto di un insieme di connessioni rivelatrici di senso profondo. Ailanto è poi diventato un progetto in grado di adattarsi in modo recettivo al contesto ospitante (selezionato sempre in modo puntuale), che può prevedere formule differenti e un allargamento dei soggetti coinvolti, ma che non può prescindere dalla presenza di Cuoghi Corsello e Dado.
Rossella Moratto: L’ailanto, come altre piante invasive, è non solo virale ma anche responsabile di un mutamento biologico, in termini di distruzione di specie autoctone ma anche di ibridazione e di nascita di nuove varietà. Lo stesso succede per queste tendenze che hanno influenzato lo sviluppo del linguaggio in virtù della loro vicinanza alla strada, al margine, alla periferia, sismografi in grado di cogliere e registrare umori, tensioni, comportamenti e di essere anche, specialmente nel caso del writing, diretta espressione di istanze che l’arte ufficiale, spesso chiusa nell’autoreferenzialità, fatica a comprendere.
Claudio Corsello: L’arte ufficiale, ma anche quella non ufficiale fatica a comprendere il writing, perchè cerca di leggerlo con paradigmi obsoleti. Questa disciplina è un vero e proprio nuovo linguaggio, se ne intuiscono le potenzialità, ma si fatica a penetrarlo per chi è fuori dal cerchio. Critici e curatori tentano di trattarlo, poi si gettano nei neo muralismi, che corrono loro in conforto mantenendo lo stereotipo del gesto illegale ma riportando i linguaggi consolatoriamente antichi.
Fulvio Chimento: Uno degli aspetti più interessanti della mostra è rappresentato dalla presenza di una forte componente teorica legata al writing, cerchiamo quindi di seguire una direzione opposta rispetto ai tempi che viviamo, caratterizzati da un picco di spettacolarizzazione in relazione all’arte di strada. Ailanto. Padiglione Tineo è una mostra intima, poetica, ben radicata nel luogo ma in comunicazione con l’esterno, che trasporta l’approccio libero e immediato tipico del writing anche ad altre discipline artistiche presenti in mostra (pittura, disegno, scultura). Ailanto è una mostra che può essere apprezzata dai giovani writers, che fruiscono l’arte principalmente attraverso la strada, ma anche dagli addetti ai lavori più esigenti. La coesistenza di questi piani, secondo il mio punto di vista, è feconda e vitale.
Ailanto è un invito alla multidisciplinarietà e all’ibridazione (alcune installazioni nascono anche dall’utilizzo di materiale vegetale presente all’interno dell’Orto), in questo modo si spiega anche l’abbondanza di oggetti presenti nelle teche del Padiglione Tineo: l’intento è quello di fronteggiare la freddezza artistica del presente. A questo impianto si aggiunge la straordinaria vitalità grafica espressa dai bozzetti di Dado e la sua ricerca in relazione al writing, in mostra sono presenti le tavole originali del suo trattato (di prossima pubblicazione con l’Università di Trento) intitolato Lo stile secondo Dado. Parlare di writing diventa quindi lo spunto per riflettere complessivamente sulla sopravvivenza di quei linguaggi artistici, che, malgrado le riserve della critica ufficiale e del mercato (penso per esempio anche alla New Media Art), riescono a marcare un solco definito rispetto al contesto. Ailanto. Padiglione Tineo asseconda questo agire, è dunque una mostra tendenzialmente anarchica nello spirito, ma con un profondo ordine interiore, che risente delle forze presenti all’interno dell’Orto Botanico di Palermo: testimonianza di come differenti specie vegetali possano coabitare e respirare insieme.
Rossella Moratto: Ailanto si sviluppa in più tappe: come una pianta invasiva colonizza diversi ambienti, vi si insinua, adattandosi e producendo esiti diversi. Lo scorso febbraio alla Biblioteca d’Arte Luigi Poletti di Modena e fino al 2 novembre al Padiglione Tineo di Palermo: mi racconti brevemente le due mostre?
Fulvio Chimento: Ailanto (Ailanthus altissima) realizzata alla Biblioteca Poletti di Modena era una mostra silenziosa, orizzontale, diffusa, in cui le opere andavano fruite nello stesso momento in cui i ragazzi studiavano all’interno dello spazio. I bozzetti di Dado erano inseriti sotto vetro direttamente sui tavoli in cui gli studenti consultavano i libri. La mostra è stata apprezzata anche dai più giovani (nonché dagli stessi writer), attratti dalla possibilità di vedere i bozzetti originali di Dado, probabilmente il più estroso writer italiano. Cuoghi Corsello hanno portato in mostra molto materiale riferito agli anni di Villa Genziana (dove hanno vissuto dal 1989 al 1994), un periodo attualmente meno approfondito dalla critica ma dal quale sono emerse alcune sorprendenti collaborazioni su carta con i loro amici al tempo dell’Accademia di Bologna: Alessandro Pessoli e Pierpaolo Campanini, ma anche i writers Rusty e Dado, oltre alla presenza di corposo materiale fotografico riferito alle fabbriche occupate.
Ailanto. Padiglione Tineo è una mostra che, secondo il mio sguardo esterno, gli artisti hanno vissuto in modo più “viscerale”: l’allestimento di uno spazio di grandi dimensioni interamente dedicato a loro ha richiesto uno sforzo fisico non indifferente, molte delle opere sono state realizzate ad hoc direttamente in loco. Cuoghi Corsello e Dado hanno dato vita a un padiglione unitario, imponente, ma aperto all’esterno, solido, ma costellato di vie di fuga, punti di raccordo e slancio verso l’alto. Una mostra importante – più complessa rispetto a quella modenese – che sembra respirare all’unisono con le specie presenti nell’Orto circostante.
Rossella Moratto: Ogni mostra di Ailanto è sintetizzata da una figura simbolica che descrive un momento dello sviluppo di queste tendenze alternative: a Modena per Ailanto. Ailanthus altissima era l’Appeso, che rappresentava la situazione di stallo vissuta dal writing, mentre in Ailanto. Padiglione Tineo a Palermo l’icona è il Ritratto del Dio Pan, che allude al momento di riscatto e di riscoperta. Perché queste scelte?
Monica Cuoghi: La figura dell’Appeso è nata per la recita che abbiamo organizzato nel 2014 a Gemmano (RN) sulla linea gotica.
In 4 ore si svolgeva un percorso a piedi sulle colline con diverse apparizioni atte a esorcizzare il dolore rimasto in quelle zone.
Prima di arrivare in alto nella chiesa dove un parroco salvò diversi partigiani, si scorgeva appeso sul campanile al posto delle campane la sagoma dell’appeso, arrivati nella chiesa un concerto taumaturgico leniva il dolore così che nel cammino seguente girandosi indietro guardando il campanile l’appeso non si vedeva più (un escamotage prospettico: l’appeso essendo una sagoma di legno bidimensionale si poteva vedere solo all’arrivo, una volta guadata la collina girandosi in dietro il piatto profilo lo occultava).
Per costruire la sceneggiatura di questa recita ho interpellato Dado, un rappresentante della disciplina writing consapevole, gli ho chiesto se anche secondo lui eravamo in un momento di stallo, di perdita, di riflessione, di non azione così che la figura dell’appeso potesse ben identificare quello che stava succedendo, ha risposto positivamente e si è prestato ad essere fotografato con le gambe al cielo mentre scriveva Dado.
Dalla fotografia ho ricavato la sagoma da un truciolare e dipinta di vernice marrone, è stata oltre che alla recita anche al festival di filosofia di Modena a rappresentare la Gloria sempre nel 2014, come voleva la curatrice Patrizia Silingardi, una” Gloria compromessa”.
Quando Fulvio ci ha chiesto di partecipare alla prima mostra di Ailanto insieme a Dado e parlare di questa disciplina è stato facile pensare a questo lavoro.
Essendo esso richiesto in anticipo a Bergamo in una collettiva sui tarocchi, abbiamo installato per un breve periodo a Modena al suo posto un abito con delle antiche lampadine, la sagoma dell’appeso per un gioco di luci nella Biblioteca Poletti appariva appeso in alto senza ombre così da ricordarci istantaneamente Peter Pan, anche Dado come personaggio è in comunione con questo bambino, e l’abito luminoso azzurro ci ha portati a pensare a Trilly.
Nella mostra al Padiglione Tineo nell’Orto Botanico di Palermo da questi elementi il pensiero è andato al Dio Pan, una “pitturaccia” mai esposta che ho eseguito nel 2002.
Nelle bacheche al piano superiore Dado ha scientificamente portato delle sue teorie tassonomiche sul writing, tavole di disegni suoi e di altri, con interessanti soluzioni artistiche didattiche, mentre il piano sotto con le bacheche più grandi le nostre composizioni come forze dentro alla terra, alberi-pilastri che sostengono le emotività della nuova arte del writing, come antichi pensieri del mondo.
Il Dio Pan rappresenta la carta vincente che secondo noi potrebbe avere la disciplina per un riscatto dal suo formalismo, l’energia primaria sessuale della creazione che Dado in ogni sua espressione ne sembra portare l’esemplificazione, così che dall’umile appeso nella prima mostra di Ailanto, diventa qui il Dio Pan attraverso la forza della libertà del sogno di Peter Pan.
Con un contatto diretto allo spirito vivo anomalo panteistico destrutturante e simbolico della natura, il writing sta riconquistando la strada tornandone prode attraverso le forme affascinanti e tutte diverse che ora divampano in tutte le città: i throw-up.
Rossella Moratto: Quali saranno le caratteristiche delle tappe successive della mostra Ailanto? Qualche anticipazione?
Fulvio Chimento: Vorremmo portarla a Roma nel 2017 per dare l’impressione che la mostra stessa sia diventata infestante come la pianta, in questo modo Ailanto sarebbe stata allestita al Nord (Modena), al Sud (Palermo), e nel Centro Italia (Roma). Una volta concluso questo percorso ci piacerebbe riportare i semi del nostro discorso artistico nelle relative terre d’origine. Organizzare dunque un’esposizione in Oriente, terra di provenienza dell’Ailanto, importato in Europa dalla Cina nel 1700 per sostituire il gelso nella produzione della seta (il primo orto botanico a ospitare questa specie fu proprio quello di Padova), e negli Stati Uniti, luogo in cui nascono i semi del writing, che vengono sparsi ovunque negli anni Ottanta.
Rossella Moratto: La mostra mi sembra interessante anche alla luce dei cambiamenti in atto nelle modalità di produzione e fruizione dell’arte contemporanea, mi riferisco alle numerose esperienze di spazi indipendenti e artist run space, attive in Italia e all’estero, che portano avanti percorsi divergenti e sperimentali al punto da diventare un importante segmento della vita artistica a cui anche il mercato ufficiale guarda (e al quale delega l’attività di “scouting”). Quindi una grande vitalità periferica, indipendente e resistente: secondo te si può usare la stessa metafora dell’ailanto anche per descrivere questa situazione?
Fulvio Chimento: La metafora dell’ailanto può essere estesa agli spazi indipendenti e anche alla ricerca artistica che viene portata avanti in modo spontaneo senza condizionamenti o particolari strategie. L’ailanto è simbolo di una diversità artistica che si pone quale alternativa all’arte “ufficiale”, propensa quindi ad “ailantizzarsi”, a innestarsi e diffondersi rapidamente negli ambienti più disparati e a differenti latitudini, come il writing e altri fenomeni artistici che nascono per necessità impellente da semi spontanei. Uno dei motti di Nonno Degrado, un personaggio ideato da Cuoghi Corsello, è “Periferia asociale”: ben si sposa con la mostra Ailanto (una stampa con questa scritta è presente all’interno del percorso espositivo), a voler rimarcare una certa autonomia e indifferenza delle esperienze periferiche rispetto a quelle dominanti. Esistono artisti che avvertono l’esigenza di esibirsi di fronte al grande pubblico, altri che continuano a lavorare anche se il pubblico ha già iniziato a sfollare. Il writer, per esempio, agisce nello spazio urbano con la consapevolezza che in pochi saranno in grado di riconoscere i suoi segni, anche se solitamente li realizza in luoghi che dovrebbero garantirgli visibilità. Allo stesso modo una mostra può sorreggersi su equilibri sottili non riconoscibili a un primo sguardo, esistono, infatti, delle parti di senso ondeggianti e rivelatrici che si iscrivono tra luce e ombra, tra visibilità e indeterminazione; Ailanto. Padiglione Tineo gioca anche con questi riflessi.
Claudio Corsello: Il writer è criptico, ma ambisce alla maggior visibilità, e anche noi ci troviamo a nostro agio nella marginalità della periferia come nell’ufficialità più pomposa.