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Le linee strategiche di Fondazione Modena Arti Visive, volte alla valorizzazione e al sostenimento dei giovani artisti, hanno visto il coinvolgimento di Adelita Husni-Bey, classe 1985 e il cui curriculum comprende numerose esposizioni in musei internazionali e la partecipazione alla Biennale di Venezia del 2015 nel Padiglione Italia, a cura di Cecilia Alemani. La mostra Adunanza – a cura di Diana Baldon e Serena Goldoni – ha inaugurato venerdì 8 giugno 2018 alla Galleria Civica di Modena, nella sede della Palazzina dei Giardini.
Il lavoro di Husni-Bey ha le radici nella pedagogia, e restituisce al pubblico adulto una visione diretta sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, di cui si conservano ricordi deboli e sfuocati. L’artista propone un esercizio di immersione in mondi già vissuti e una conseguente visione caratterizzata da estrema concretezza. In mostra sono riuniti video, ma anche risultati di performance e disegni realizzati da Adelita negli ultimi dieci anni. Un corpus eterogeneo che mette in risalto macro tematiche come quelle della metodologia educativa, del linguaggio e della ridistribuzione dei poteri nelle collettività.
Al centro del percorso, Postcards from the Desert Island, un video nato in seguito a un seminario di tre settimane che l’artista ha svolto con i bambini dell’Ecole Vitruve di Parigi, istituto pubblico elementare sperimentale che adotta modelli educativi basati sulla cooperazione e sulla non competitività. Invitata a costruire un’isola deserta nella propria aula scolastica e prendendo a prestito gli scenari del romanzo Il signore delle mosche di William Golding, la classe ha vissuto un momento di auto-gestione durante il quale sono emerse questioni legate alla lotta per il potere, l’immigrazione, il significato dello spazio pubblico e la disobbedienza civile. Il punto di partenza per l’artista è la creazione di un’opera condivisa, generatasi dall’interazione e dal lavoro di un gruppo di persone, la restituzione è un documento dalla funzione pedagogica.
The council è un lavoro commissionato dal MoMA e che ha invitato un gruppo di ragazzi delle scuole superiori a ripensare il museo stesso. Divisi in gruppi i partecipanti hanno riempito metaforicamente il MoMA, come se fosse una scatola vuota. Attraverso il linguaggio Husni-Bey incentiva la connessione, l’incontro e lo scambio tra le persone, che genera nuove utopie e mondi possibili.
In Agency è stato coinvolto un gruppo di ragazzi della stessa fascia di età, ma al quale è stato chiesto di reagire a un titolo di giornale vestendo i panni di politici, banchieri, attivisti, giornalisti e lavoratori. Ogni gruppo doveva rispondere allo scenario proposto dai media e la categoria dei giornalisti aveva il duplice compito di reagire alle notizie e tenere aggiornati gli altri rispetto alle reazioni della piccola comunità creatasi per l’occasione. In base al lavoro svolto, venivano assegnati dei punti premio al gruppo ritenuto più meritevole e ne venivano discusse collettivamente le motivazioni.
A Utrecht invece l’artista ha collaborato con un gruppo di avvocati giuristi e migranti, per scrivere una legge sull’utilizzo dello spazio vuoto, cercando di accogliere le esigenze della cittadinanza e provando a liberare il linguaggio legale dalla prigionia che lo caratterizza. Questo intervento di riscrittura ha avuto un seguito in altre città e ogni volta ha portato a risultati differenti, nei quali l’utilizzo sociale dello spazio pubblico ha preponderanza rispetto al suo valore di scambio.
Ugualmente centrale è la tematica del corpo e alla sua percezione. Dal punto di vista americano in particolare, lo sport è metafora di un’intera esistenza costellata da aspirazioni di classe, sofferenze e competizioni che facilitano una carriera di successo e portano alla felicità. Nel video After the Finish Line la competizione e lo sport vengono descritte da voci di giovanissimi ragazzi che per riuscire a entrare in una buona scuola o per sentirsi riconosciuti a livello sociale, hanno fanno del successo in ambito sportivo la loro unica ragione di vita. Voci che raccontano di sfide e traguardi raggiunti in passato, ma che oggi devono fare i conti con la disabilità e di conseguenza con il fallimento, la fine di un sogno. E così per Shower, un’installazione realizzata in collaborazione con l’artista Park McArthur, che invita il visitatore a sedersi su sgabelli per doccia spesso utilizzati da persone con ridotta mobilità fisica e a leggere un immaginario dialogo tra due disabili durante il gesto quotidiano del lavarsi, sotto lo scrosciante getto dell’acqua. Encontrers on pain (Incontri sul dolore) sono un ulteriore analisi del tema del dolore che da corporeo diventa mentale. Sagome di corpi disegnati su carta medica costellati di macchie rosse fluttuano sospese a mezz’aria. Dolori localizzati in parti completamente opposte rispetto alla diagnosi medica dei pazienti sottopostosi alla seduta. Un archivio sui dolori della contemporaneità, che quasi sistematicamente si ripetono, come una logica conseguenza della nostra epoca.