DURA MADRE suite, a cura di Lucia Longhi, è il titolo dell’ultima personale di Graziano Folata presso marina bastianello gallery.
Fino al 19 dicembre 2020 sarà possibile scoprire le opere scultoree inedite, realizzate da Folata appositamente per l’esposizione, in cui i fenomeni geologici, chimici e fisici naturali – legati in particolare al paesaggio e alla geografia del territorio sardo – diventano metafora del processo di creazione artistica. Lo sguardo assume un ruolo fondamentale nella percezione dei lavori, sguardo inteso come genesi e gesto che dà vita e origine a qualcosa di nuovo. Graziano Folata ha risposto alle nostre domande per raccontare la sua poetica e pratica artistica.
Veronica Pillon: DURA MADRE suite è la terza personale presso marina bastianello gallery: qual è il tuo rapporto con la città di Venezia e come ha influenzato la tua produzione artistica?
Graziano Folata: Amo sentirmi un segreto tra i segreti di Venezia.
VP: Le tue creazioni sono fortemente materiche e guardano a processi geologici, fisici e chimici: che cosa rappresenta per te la natura e quanto delle tue radici, in particolare della Sardegna, è presente nei tuoi lavori?
GF: Alcune di queste forme prendono origine da luoghi sardi, altre provengono da terre diverse, altre ancora sono frutto di suggestioni derivanti dall’insieme delle due precedenti; quindi, per alcune opere si potrebbe ritrovare una sorta d’indicazione geografica, (ad esempio le foreste fossili tra Perfugas e Martis, a nord di Sassari), mentre altre immagini che presento sono sviluppi indipendenti, mete dalla partenza estranea ai luoghi, forme risultanti dallo studio dei fenomeni. Occorre il riconoscimento delle specificità della materia per rendere possibile quelle proposizioni poietiche capaci di generare senso, mutando il loro stato fisico in virtù del valore plastico cui tendono. Penso ad un caso rappresentativo come “Efirae (culture flesse)”, composte da elementi di fusioni a cera persa in bronzo e colonne di cemento: ho raccolto, spiaggiatasi dopo le mareggiate, litri e litri di meduse che, fatte successivamente sciogliere, ho poi utilizzato al posto dell’acqua nelle gettate con il cemento, di modo da formarle in una colonna quale paradigma metaforico dell’architettura. Le meduse vengono qui utilizzate in virtù del loro carattere simbolico, e ragionate sulla potenza specifica della materia dalla quale sono composte, sostituendosi all’acqua quale comune elemento di composizione edile. Si apre quindi la prospettiva di una potenza formativa ideale, che permette la coniugazione a connotazioni poetiche ulteriori, associando il dato naturale dalle proprietà fisiche particolari, ad un nuovo senso estetico e allegorico, utile alla concettualità e alla visività dell’opera.
VP: La curatrice Lucia Longhi definisce il tuo lavoro come “un arcipelago, una cosmogonia che avviene dall’atto del vedere”. Che ruolo ha per te lo sguardo nel processo artistico?
GF: La risposta a questa domanda è da ritrovarsi nella mostra stessa. Nei lavori esposti ho voluto presentare, da soli o unitariamente, quanto credo: che l’atto formativo si componga nel gesto che dà corpo a un’opera, la rende salvifica, cioè ci sottrae al comune dominio degli oggetti vacui. L’opera ci traghetta oltre gli stati di opposizione della materia, ci trasporta nell’esperienza metafisica attraverso il mito, governato dalla forza senza tempo degli archetipi. Mi chiedo se esista più grande mistero nel processo artistico, di quello che pone due persone a leggere lo stesso libro, la stessa pagina, la stessa riga pure con gli stessi protagonisti, in medesimi luoghi, ma percepiti inevitabilmente differenti, da lettore a lettore. Differenti i visi, gli aspetti immaginali delle cose lette e tutto ciò che rimane nell’ombra degl’interstizi non esplicitati dalla scrittura. Quale misteriosa forza metafisica è in grado di rendere diverse tra loro le immagini che creiamo dentro di noi, partendo dai nostri punti comuni? Non è a suo modo anche questo un atto della potenza del “vedere”?
VP: Dal punto di vista filosofico, letterario e artistico quali sono le opere che sono state per te essenziali nell’elaborazione della tua poetica e della tua visione del mondo?
GF: Non mi sarebbe difficile ritornare a pensare agli autori che mi hanno influenzato, ma perché stilare una top ten? In questo momento mi trovo davanti alla mia libreria e osservo i cataloghi, i testi e i libri di fotografia, quelli di racconti, i romanzi e i saggi, in ordine o impilati, e quelli che non sono qui presenti, posso andarli a visitare mentalmente, sugli scaffali della mia memoria, all’interno della biblioteca che ho frequentato da ragazzino e poi più grande; di più: con un piccolo sforzo posso attingere con il pensiero alle librerie come il Libraccio, dove ho passato ore a cercare le linee misteriose del futuro nei libri usati; e poi gli scaffali in case di persone a me care, collezionisti di fotografia ad esempio, oppure artisti intenti a tracciare la genealogia dei visionari che li precedevano, intenti nel collezionismo, nella contemplazione e nella creazioni di immagini. In questi luoghi visibili a me solo, l’indice si amplia, e quasi per magia anche se la disposizione dei corridoi nella vita reale cambiasse, dentro di me saprei dove andare a recuperare quell’autore piuttosto che un altro. La luce tra i corridoi immaginari che mi permette di ricordare, non è una luce che proviene da fuori, è una luce che arriva dall’interiorità più intima, filtra tra le finestre apparenti e illumina i dorsi dei libri, mi guida attraverso l’ordine esatto dove sono riposti i volumi che ho amato. Sono convinto che anche se la biblioteca reale bruciasse, in quest’altra immateriale tutto resterebbe immutato fintanto che la luce non sfumi sul fondo degli anni a venire.
VP: Questo 2020 ha sovvertito la nostra quotidianità e il nostro rapporto con l’ambiente e il mondo che ci circonda, facendoci riflettere sulla necessità di un cambiamento. Per te, che ruolo possono svolgere la cultura e gli artisti nel definire questa nuova era, più sostenibile e umana?
GF: Pare esserci sempre l’urgenza nella ricerca di nuovi eroi. All’inizio della pandemia sono stati i medici, poi i lavoratori nei supermercati, poi quelli dei trasporti, perfino i calciatori… Non so se è tempo degli eroi nell’arte… Qual è il gesto eroico che si richiede all’artista? Forse quello di divertire? Quello di sollevare il morale? Forse che sia il ruolo dei musicisti del Titanic, che suonavano fino all’inabissarsi della nave? Forse ci troviamo a consumare prodotti-eroi? Rimpiazzabili con altre categorie altrettanto eroiche a seconda dei bisogni che vogliamo soddisfare. La domanda iniziale merita come risposta, una serie di domande sospese, come sospesi (ma non dimenticati) sembrano essere i sogni legittimi e le legittime prospettive del benessere di ognuno. Associazionismo tra artisti? Può essere. Vasi comunicanti di stanze chiuse. Chiedere a Sisifo di imparare a palleggiare. Chiedere ai propri nervi uno slancio aereo da violinista. Ricordarsi dei corpi. Personalmente ciò che mi preme è cercare di osservare aldilà della linea d’ombra, immaginare un modo per superare il sospetto: un tarlo, che rode gli occhi, negli occhi degli altri; intravedere una via per superare il sospetto, vuol dire tentare di anticipare il pregiudizio, da qui tutto quello che ne consegue verticalmente nelle disuguaglianze. Rendere, nonostante tutto, comprensibile la bellezza in tutte le sue forme, perché comprendere la bellezza vuol dire offrire la possibilità di una scelta anche a chi non sa dell’esistenza di questa scelta. E non lasciare disinnescare il proprio potenziale dalle paure, nonostante queste ci cingano d’assedio. Avevano scritto che siamo tutti nati nel fango, ma alcuni di noi guardano le stelle, ebbene credo che sia il momento di vincere il sospetto e indicare e anche insegnare a indicare ad altri la direzione per guardare le stelle.
DURA MADRE suite – Graziano Folata
A cura di Lucia Longhi
marina bastianello gallery
Via pascoli 9 c, 30100, Mestre (VE) Fino al 19 dicembre 2020