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L’era successiva. Conversazione con Mariella Bettineschi

Mauro Zanchi: Nel continuo girare attorno e dentro le questioni (e nelle attuali ricerche di genere), come giungi all’intuizione del raddoppiamento dello sguardo nei volti femminili, nella continuità e nel dialogo tra antico e contemporaneo? Mariella Bettineschi: Il ciclo L’era successiva nasce nel 2008, all’inizio della crisi mondiale che coinvolge le economie di molti paesi. L’ambiente, la cultura, […]

Mariella Bettineschi, L’era successiva (Caravaggio, Giuditta) 2015
Mariella Bettineschi, L’era successiva (Rogier van der Weyden, Ritratto di Signora) 2020

Mauro Zanchi: Nel continuo girare attorno e dentro le questioni (e nelle attuali ricerche di genere), come giungi all’intuizione del raddoppiamento dello sguardo nei volti femminili, nella continuità e nel dialogo tra antico e contemporaneo?

Mariella Bettineschi: Il ciclo L’era successiva nasce nel 2008, all’inizio della crisi mondiale che coinvolge le economie di molti paesi. L’ambiente, la cultura, sono ancora una volta a rischio di sparizione. Io segnalo questo rischio mettendo in primo piano Nature, Biblioteche (i luoghi stessi del vivere e del sapere) invase da presenze misteriose, vapori, gas, che cancellano il centro dell’immagine, lasciandone solo slabbrati contorni.  Confido nelle donne, capaci, oltre che a mettere al mondo il mondo, di salvarlo. Scelgo icone femminili della nostra grande cultura (Fornarina, Giuditta, Dama con ermellino, Maria de Medici…), conosciute in tutto il mondo per la loro forza di penetrazione e per la loro assoluta bellezza e integrità. Raddoppio i loro occhi per segnalare la capacità visionaria delle donne: loro vedono che ambiente, animali, vegetali, minerali, donne e uomini sono tutti collegati in un equilibrio molto fragile. Comprendere e rispettare questo equilibrio è entrare nell’era successiva

MZ: Il raddoppio del loro sguardo ha anche un rimando ipnotico, in rapporto con lo spettatore?

MB: In effetti, a ben guardarli, questi occhi medusei fanno la stessa e inquietante impressione che per Edipo potevano avere quelli della Sfinge, mentre l’uomo attendeva il verdetto finale al suo indovinello. Disturbano e morbosamente attraggono, come la rasoiata di Un chien andalou di Luis Buñuel e Salvador Dalí. Lo spettatore, in un primo momento, è attratto dal loro essere icone dell’arte rinascimentale, improbabili nel contesto espositivo contemporaneo.  Si avvicina sorpreso, ma appena è di fronte all’opera rimane ipnotizzato dalla presenza di quattro occhi che lo guardano. Sono occhi reali che interrogano, ai quali è difficile sottrarsi.

MZ: Le donne che tu immagini nel futuro prossimo o venturo utilizzano altre facoltà, forse psicomagiche, o hanno acuito quei poteri per muovere energie attraverso empatia e telepatia più evolute?

MB: Non dimentichiamo che millenni di misoginia hanno fatto sviluppare nelle donne, per sopravvivere, una grande capacità intuitiva, immaginativa, seduttiva. Quindi le donne del futuro, finalmente libere di evolversi ulteriormente, avranno centuplicato le loro capacità empatiche e telepatiche. Mi auguro che questa evoluzione riguardi anche gli uomini, altrimenti l’asimmetria continuerà a essere fonte di conflitti.

MZ: A proposito della tecnica che utilizzi per realizzare i ritratti femminili de L’era successiva, la tua digital painting ha anche un valore concettuale?

MB: Parto da immagini spesso scansionate da libri o fortunosamente trovate in internet. Sono immagini scelte per la forza dello sguardo, per la postura, per la loro capacità di chiamare la mia attenzione. A questo punto comincia un lungo e paziente lavoro di pulitura dell’immagine che, spesso, vista a pixel reali, risulta gravemente danneggiata. Comincio l’operazione di lifting, ridipingo tutta l’opera togliendo imperfezioni, aggiustando proporzioni. A questo punto taglio il dettaglio che mi serve, quello più giusto a dar risalto agli occhi. Lo porto in bianco e nero e comincio ad azzerare il fondo per togliere il ritratto dalla profondità della storia e portarlo nella contemporaneità. Quando tutto funziona aggiungo una base bianca al ritratto. Questo per dargli forza ed evidenza. Siamo agli ultimi passaggi: aggiungo un punto di luce abbagliante alle pupille e infine, con un gesto femminista, taglio i loro occhi e li raddoppio. Le mie donne, famosissime anonime, ora ci guardano: da oggetti sono diventate soggetti. Il file è pronto e comincia la lunga, estenuante ricerca della stampa perfetta. Nel tempo ho messo a punto una tecnica di stampa digitale, che rende la superficie come se fosse di porcellana dipinta a mano, conferendole una deliziosa e struggente somiglianza ai reverse paintings medioevali. In questo lungo processo la digital painting è lo strumento tecnologico che apre possibilità infinite ad un artista, paragonabile all’invenzione della pittura ad olio. Può sbagliare, provare altre soluzioni, inserire dettagli che l’originale non possiede. Io vengo dalla pittura e riporto la fotografia alla pittura. Una pittura nuova, inventata, marziana.

MZ: Cosa hai velato (o rivelato) nelle tue opere del ciclo L’era successiva, dove luce, vapori e presenze misteriose avvolgono una parte dei paesaggi naturali e delle biblioteche?

MB: Il gruppo delle Nature è formato da vedute di paesaggi naturali, in prevalenza boschi e sottoboschi, laghi montani, pozze d’acqua circondate da una vegetazione rigogliosa e silente, dove se l’uomo è passato ha dolcemente lanciato un sasso nello stagno. In altri paesaggi, ellissi cosmiche ci suggeriscono che presenze straniere, sguardi d’altri mondi, divinità pagane, possono avere accarezzato l’idea di fermarsi nella frescura, irradiando con una luce acida e lattiginosa la radura circostante. Ho scelto le Biblioteche tra i soggetti de L’era successiva in quanto rappresentano ancor oggi, forse ancor più che nel 2008 in piena crisi identitaria occidentale, dei “granai” del sapere, citando Yourcenar, da tenere quali preziose provviste in epoche di carestia culturale.  Sono famose biblioteche, come la Casanatense di Roma, l’Apostolica in Vaticano, la Trinity College Library di Dublino, la Marciana di Venezia, la Malatestiana di Cesena, la Biblioteca del Monastero dei Benedettini di San Gallo, in Svizzera.  Un silenzio pervade gli ambienti, un vuoto di parole che paiono sospese in quella nube centrale, che si addensa e sfuma in ognuna delle vedute interne. Lo sguardo è costretto a un continuo percorso interno-esterno, dal vuoto che s’accampa fumante al centro, al perimetro dove gli oggetti riprodotti rimangono visibili. Ma anche in questa lateralità, gli occhi sono sollecitati dal fondo riflettente, che ripete e raddoppia i margini delle biblioteche, in un’eco apparentemente infinita di rimandi. Con operazioni di aggressione e mutazione iconiche, attraverso la pittura e il collage digitali, rendo ciascuna immagine a-storica e perturbante, estirpandola da un passato lontano o da un futuro immaginifico e decantato, mettendola sul tavolo anatomico del potenziale presente. Sperimento una fusione di ere potenziali, in una eclettica ed empatica mescolanza di rituale e racconto, visione e veduta, perdizione ed estasi, con uno sguardo onnivoro e metabolico, capace di abbandonarsi a una brezza millenaria o di frugare rapido nei cloud digitali del XXI secolo.

Mariella Bettineschi, L’era successiva (Bronzino, Maria de’ Medici) 2019
Mariella Bettineschi, L’era successiva (Raffaello, Fornarina) 2010

MZ: Italo Calvino ha detto: “Scrivere è sempre nascondere qualcosa sperando che venga poi scoperto “. Questa asserzione riguarda anche le arti figurative? 

MB: Molte mie opere girano intorno al concetto di visibile-invisibile: Piumari, 1980, Erme 1983, su fino alle Nature e le Biblioteche de L’era successiva, 2008.  Uso materiali semitrasparenti: organza, vetri affumicati, stampe su vetro, specchio, sovrapposizione di strati di fogli di carta da lucido, acetati.  Tutti materiali diafani. Il diafano infatti presenta una gamma che va dal fantasma della pura trasparenza al traslucido che lascia filtrare la luce, ma non permette di vedere i contorni né le tracce delle figure dietro lo schermo, fino al torbido e all’opacità più impenetrabile. Il diafano è quel medium attraverso il quale avviene il processo di affioramento alla visibilità di qualcosa di invisibile. Conoscere è andare oltre il velo disegnato dell’apparenza. È necessario attivare uno sguardo doppio per andare oltre la superficie e accedere alle zono oscure.ù

MZ: Come attingi le immagini che ti colpiscono? 

MB: Gli occhi sono per me il primo strumento di conoscenza. Il mondo è immagine. Le immagini mi chiamano, posso accoglierle o no, ma qualcuna è più insistente, continua a tornare e allora la accolgo e la inserisco nel mio archivio mentale, virtuale, fisico, in attesa che diventi un’opera.

MZ: Come conduci la (tua) narrazione al di là dei confini del linguaggio?

MB: La narrazione nasce da una visione. Il linguaggio è lo strumento utile al racconto di questa visione. Non ha confini, viene inventato ogni volta per essere giusto rispetto alla narrazione. Nasce per cogliere, fra le cose, i rapporti più giusti, più lontani, più misteriosi.

MZ: “Prendere quello che mi prende” è una tua frase che mi ha colpito. Cosa si cela dietro questo desiderio di conoscere il mondo?

MB: Potrei dire scoprire il senso delle cose, ma le cose non hanno un senso. Loro esistono. Noi esistiamo. I miei occhi guardano sempre e qualche volta vedono. Quando vedono conoscono.

MZ: Come fai in modo, nella tua ricerca, che qualcosa avvenga?

MB: Lavoro per accerchiamento. Dispongo trappole lungo il percorso che pian piano stanano l’immagine, la costringono a venire allo scoperto. I miei occhi sono attratti da uno scintillio, da un’ombra, dalla posizione o sovrapposizione di un disegno, da un oggetto. Mi sorprendono perché accoppiate a realtà in apparenza non accoppiabili, su un piano che apparentemente non conviene loro. Tengo tutte queste cose intorno a me, aspetto, non guardo, se non di sguincio. Prima o poi emergono e vengono alla luce, prendono forma, perché incalzate dal mio desiderio. Lentamente rispondono, mi dicono cosa vogliono. Allora le accolgo, presto loro le mie mani, il mio sapere, fino a che trovano la loro possibilità di venire al mondo.

MZ: Quanto è importante la dimensione del gioco nel tuo lavoro?

MB: Il gioco è mettere in prova il lavoro, travasarlo da un medium all’altro, vedere cosa succede se sposto un’immagine, se l’accosto ad un’altra, se cambio un dettaglio, se uso un materiale improprio. Le possibilità sono infinite, il gioco è molto serio, rischia l’errore, il fallimento. Può durare giorni, mesi, anni, per trovare qualche volta, alla fine, solo una soluzione: quella giusta.

MZ: Il sottile equilibrio tra forma (traduzione in forma di un’idea) e proiezione concettuale: come risolvi questo equilibrio?

MB: Sai che amo sia Duchamp sia Picasso. Sembra un ossimoro. Eppure concetto e corpo dell’opera stanno insieme, sono necessari uno all’altra. L’opera deve essere il risultato di un processo inventivo continuo, di carattere più spirituale che culturale o estetico. Ne deriva la rinuncia allo stile o alla riconoscibilità. Questa modalità comporta un’apertura a 360°, essere presi da tutto ciò che il proprio sguardo cattura e dare la forma esatta ad ogni cosa, perché in arte la forma è l’emittente dei significati.

MZ: Che valore dai al rischio?

MB: Il rischio è intrinseco al lavoro dell’artista.  Ogni lavoro è un rischio, altrimenti è maniera, decorazione. Rischi un nuovo passo, una nuova intuizione, lasci indietro la confort zone e metti in prova la nuova visione.

MZ: Come conduci il medium fotografico? E invece quali sono i tuoi lavori metafotografici?

MB: Io vengo dalla pittura e dalla scultura e uso la fotografia, mia o da scansioni di libri, come materiale. Manipolo, taglio, incollo, formo e deformo le immagini, come nella tecnica del collage, per riportarle alla pittura. Poi le stampo su acetato, carta da lucido, vetro o Plexiglas e così accentuo l’ambiguità della visione: l’occhio si perde fra l’immagine e il suo doppio, moltiplicato dallo specchio retrostante. La fotografia quindi per me è uno strumento, è un modo per fissare un riflesso, una luce, uno sguardo. Le immagini arrivano dai confini. Non le scelgo, sono loro che mi chiamano. Sono come l’ombra che si proietta sull’animale, l’animale reagisce di scatto, d’istinto, come di fronte al pericolo, la reazione è immediata, veloce, attiva il livello primitivo di attenzione sulle cose. Tutto questo è materiale su cui lavorare. La mia grammatica compositiva si colloca, oltre che nel collage, nel montaggio. Un montaggio che nel suo essere connotativo, sperimentale, fatto di immagini trovate, scoperte, riemerse, riconosciute nel farsi della ricerca e della vita, è inteso come metodo di estrazione maieutica del profondo, e al contempo approccio conoscitivo e risultato visuale. Questa procedura è metafotografia e alcune volte oltrefotografia.

Mariella Bettineschi, L’era successiva ( Biblioteca Monastero Benedettino, San Gallo) 2015 .
Mariella Bettineschi, L’era successiva (Trinity College Library, Dublino) 2015

MZ: Nel lungo processo di studio, ricerca e traduzione formale di intuizioni, visto che le migliori opere predicono qualcosa che non è ancora totalmente chiaro quando si sta dentro l’atto creativo, ci sono state tue opere e quelle di altri artisti che ti hanno rivelato qualcosa che hai compreso solo a distanza di tempo?

MB: Certo, molte volte. Si capisce poco per volta, si capisce solo quello che il tuo livello di crescita ti permette di comprendere.  A distanza di anni ho trovato fotografie di miei lavori che avevo distrutto. Lì c’erano molte cose in nuce che si sarebbero sviluppate più tardi, ma io in quel momento non l’avevo capito. Il lavoro era più avanti di me. Ora so che sono opere solitarie che vengono dalla periferia della coscienza, che contengono qualcosa di nuovo, che non sempre l’artista sa cogliere o meglio ha paura di assumere. In questo periodo di isolamento ho riletto alcuni libri, fra i quali Aforismi di Brancusi a cura di Paola Nola. Mi sono sentita molto vicina alla assoluta fede di Brancusi nel lavoro, al suo coraggio, alla sua capacità di vivere in solitudine la sua arte.  Ora sto leggendo i tuoi libri, mi stanno aprendo orizzonti nuovi. Sono contenta. Come per il regalo di Sara Benaglia: Calibano e la strega di Silvia Federici. Anche qui sto scoprendo cose che non conoscevo.

MZ: Nel 1971, Carla Lonzi scrive Assenza della donna dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile, che è una presa di coscienza circa la relazione tra creatività e patriarcato.  Quali difficoltà hai incontrato o subíto nel tuo percorso di ricerca? Alla luce della tua esperienza quale storia dell’arte faresti studiare alle bambine delle attuali e future generazioni?

MB: Potrei scrivere un libro sulle difficoltà che ho incontrato lavorando in un sistema dell’arte, per la mia generazione, quasi esclusivamente maschile! Dalle molestie, alle aggressività, al  continuo farti sentire irrilevante.  Per fortuna sono nata in una famiglia senza pregiudizi (anche senza giudizi) e questo mi ha fatto crescere libera da condizionamenti religiosi e patriarcali. Non ho dovuto abbattere barriere, anzi costruire muri di protezione. Anche per questo mi sono chiusa e ho continuato il mio percorso in solitudine. Per quanto riguarda la storia dell’arte delle donne è necessario uno studio approfondito della loro pratica. È necessario toglierle dall’ombra. È ancora un lavoro molto lungo. Le donne sono sempre esistite come creatrici. Vanno svelate le loro opere, i loro pensieri, le loro ricerche. Molte donne hanno combattuto, hanno fatto rivoluzioni, hanno costruito la propria identità femminile, hanno trovato linguaggi nuovi. Ora bisogna passare dalla rivoluzione all’evoluzione (soprattutto dell’uomo), è necessario un cambio culturale, prendere coscienza che per la prima volta nella storia dell’umanità le donne (certo non tutte purtroppo!) hanno gli strumenti intellettuali ed economici, per essere padrone della             propria vita. Negli ultimi anni però qualcosa è successo: il mercato si è accorto di noi, sta scoprendo quanto siamo brave e numerose, sparpagliate in tutto il mondo, con culture e storie diverse, ma piene di energia e capacità di esserci con linguaggi nuovi, nostri. E questa è la grande novità: l’arte delle donne riempirà la Terra! Per quanto riguarda le bambine, vanno sollecitate ad esprimersi, a guardar tutto ciò che è stato fatto dalle donne e dagli uomini, in modo laico, senza pregiudizi, ad essere coraggiose, a pensare che sono persone libere e indipendenti, sollecitarle a diventare economicamente autosufficienti, perché la prima indipendenza è quella economica. Per le bambine e i bambini è anche necessaria una nuova educazione sentimentale, dalle fiabe, alla scuola, a come si rapportano sentimentalmente fra loro. Le bambine devono smetterla di leggere storie sul principe azzurro che le salva. Devono imparare a salvarsi da sole, solo             così potranno pretendere rispetto e un rapporto fra pari con i loro compagni.

MZ: Le cose che non conosciamo non ci sono, ma in realtà sono lì ad attendere che qualcuno le scopra. Cosa hai scoperto attraverso la tua ricerca e la tua vita?

MB: Ho scoperto che io sono. Che le donne sono. Che le donne sono sapienti. Capaci di creare, trasformare, condurre la vita di questa Terra. Sanno da millenni, hanno retto da millenni la fatica della vita. Nell’ombra, in solitudine, escluse. E mi chiedo: PERCHÉ? Perché metà umanità è stata così umiliata?  Non ho risposte e vorrei che un uomo mi rispondesse. Perché?  Quale paura li ha portati a questo?

Mariella Bettineschi, L’era successiva – Natura, 2019
Mariella Bettineschi, L’era successiva (Natura) 2010
Mariella Bettineschi, L’era successiva (Natura) 2019