Si dice spesso che ci si accorge dell’importanza di qualcuno (o di qualcosa) solo dopo averla persa. Un’espressione utilizzata il più delle volte in campo sentimentale, ma che sembra oggi assumere una portata di riferimento più ampia, toccando aspetti tremendamente quotidiani. Tra questi, a Santarcangelo di Romagna in occasione del Festival, un elemento ha assunto nuove vesti: l’attesa. Generatrice di nervosismo alla fila per la Posta, eccitazione in occasione di una più o meno lieta notizia, l’attesa ha ri-trovato a Santarcangelo la sua forma migliore, quella palpabile poco prima dell’inizio di uno spettacolo.
Si torna finalmente insieme come pubblico e come operatori culturali, ad osservare, creare nuove sinergie e produrre nuove energie, proprio come i giovani protagonisti de Il trattamento delle onde, seminario di movimento ritmico di Claudia Castellucci Societas. Immerso nel verde tra gli arbusti di ulivi del convento dei Cappuccini di Santarcangelo, un gruppo di bambini esegue ad ogni rintocco delle campane in sottofondo una nuova azione. E’ una scena bucolica, un ritorno al ritmo naturale delle mondo, un esercizio di ascolto per rendere visibile l’invisibile. Equipaggiati solo di un bastoncello, i bambini tracciano nell’aria le grandi oscillazioni, colpiscono e attendono, mettendo in pratica una nuova ginnastica per ri-misurare il mondo, costruire una nuova architettura del pensiero a partire dal passato e contemporaneamente dal futuro.
Gioca con il tempo, e anche con lo spazio, Se respira en el jardin como en un bosque azione per una sola persona ideata e realizzata da El conde de torrefiel, la compagnia spagnola il cui progetto è stato ripensato proprio per l’impossibilità dei performers di raggiungere fisicamente Santarcangelo. Chi partecipa assume alternativamente il ruolo delle due figure principali e necessarie del teatro: l’attore e il pubblico. Guidato da una voce che impartisce semplici comandi da eseguire con cieca fiducia, lo spettatore è inserito in un gioco scenico tessuto da una narrazione e sostenuto da semplici movimenti. A fare da collante, a sostenere l’intera operazione performativa, è l’elemento generatore dell’azione teatrale stessa: l’immaginazione. Un’operazione che mette in gioco le basi stesse del teatro, svelandone i meccanismi e creando una riflessione sulla comprensione della realtà, sulla capacità di costruirla e di osservarla in silenzio. Non è forse osservando e immaginando che l’essere umano ha creato la realtà circostante assegnando nomi e colori, costruendo utensili e macchinari?
I meccanismi dell’immaginazione sono il motore anche di Anubi III di Zapruder, annunciato proprio durante il weekend del Festival tra i progetti vincitori dell’Italian Council. Luogo preparato e costruito con proprie regole, Anubi III mette in scena l’incontro di giovani motociclisti i cui suoni e movimenti vengono amplificati e ripetuti in un loop sonoro che circonda lo spettatore. Il cinema guarda il teatro e il teatro guarda il cinema in uno sconfinamento, in una collisione per immaginare utopicamente un futuro nel quale le arti si incontrano e si fondono. Come il montaggio opera sul tempo lineare trasformando ciò che accade nel set in qualcosa di narrabile che è il film, così il suono prodotto dalle moto rende visibile qualcosa che solo l’immaginazione può creare. Il motore diventa elemento altro, punto di partenza e contemporaneamente di arrivo. Seduto in macchina in modalità drive in, il pubblico è allo stesso tempo partecipante e osservatore, inconsapevole comparsa e cosciente spettatore.
Un duplice ruolo che trova spazio anche in Fake uniforms di Sara Leghissa Strasse, una conferenza pubblica temporanea nella quale la parola scopre nella forma scritta l’unico mezzo per essere condivisa. Esplorando alcune pratiche illegali presenti nella nostra vita quotidiana, Leghissa Strasse invita il pubblico a prende posizione e relazionarsi direttamente con il confine tra ciò che è legale e ciò che non lo è. A partire dall’azione stessa, quella di occupare le bacheche pubbliche considerata illegale, svolta normalmente di notte e che a Santarcangelo avviene alla luce del giorno di fronte a spettatori consapevoli. Il testo, sviluppato a partire da interviste con persone incontrate in diversi Paesi, invita a considerare la legalità come un parametro fluido, che cambia a seconda del contesto, del periodo storico e dei privilegi. Mescolando e deformando la dimensione pubblica e quella privata, Fake uniforms propone un modo per agire nello spazio pubblico per suggerire possibili forme di complicità e resistenza.Ed è il pubblico stesso, chiuso in occasione della seconda replica all’interno di un negozio sfitto, a mettere in atto un cambiamento. All’impossibilità di seguire frontalmente l’azione, alcuni spettatori reagiscono alzandosi e avvicinandosi alla vetrina, altri timidamente uscendo dalla struttura per seguire l’azione in strada, qualcuno abbandonando il proprio posto faticosamente conquistato grazie ad un biglietto dimenticando i propri averi, altri ancora rimanendo seduti quasi a rispettare in modo devozionale il posto assegnato.
Ripensare dunque lo spazio, il tempo, il linguaggio e l’architettura del pensiero contemporaneo per vedere il presente da un’altra prospettiva, attrezzarsi per sopravvivere e per immaginare altri mondi. Un futuro costruito a partire dal presente ripercorrendo gli scenari del passato per generare nuovi legami e immaginari. Un mondo che Benjamin Kahn immagina possibile attraverso la rimozione di tutti gli stereotipi e che mette in scena grazie a Sorry, But I Feel Slightly Disidentified… solo performance creata per Cheris Menzo. Sul palco allestito in mezzo al bosco de Nello spazio, la Menzo di sveste (letteralmente) di tutti gli stereotipi in un viaggio caleidoscopico attraverso la storia della danza e del costume: dalle danze e abiti tradizionali all’hip hop passando per il twerking e il vogue. Movimenti che metto in scena il ritratto di uno di noi, o uno di loro, di “noi giovani, noi neri, noi bianchi, noi donne, noi proletari, noi animali, noi omosessuali, noi umani”, ripercorrendo modelli legati a genere e rappresentazioni, ai concetti di esotismo ed erotismo. Un immaginario fatto a pezzi dal corpo stesso che si trasforma in un pugno contro il sistema: la voce assume la nuova forma di un rigurgito, la danza e il teatro rifiutano qualsiasi convenzione comunemente riconosciuta, e il sistema prestabilito, il marcio, viene espulso.
Ancora una volta il corpo ritrova il proprio tempo e il proprio spazio, riscopre il proprio ruolo politico per rompere i confini, per offuscare i limiti, per fare della crisi un terreno fertile di ibridazione e nuovi innesti culturali, sociali, politici ed etici, verso un futuro fantastico.