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Douze regards obliques | FANTA, Milano

Gli “sguardi obliqui” delle opere esposte al FANTA di Milano fanno luce sulle dinamiche che caratterizzano la società odierna e si soffermano soprattutto sulle contraddizioni delle quali sono intrise. La collettiva, intitolata appunto Douze regards obliques e aperta fino al 21 marzo 2020, coinvolge Stefano Faoro, Simon Lässig, Sam Pulitzer e Gili Tal, quattro artisti […]

Installation view, Douze regards obliques, FANTA-MLN, Milano, 2020, Courtesy the artists and FANTA-MLN, photo by Roberto Marossi

Gli “sguardi obliqui” delle opere esposte al FANTA di Milano fanno luce sulle dinamiche che caratterizzano la società odierna e si soffermano soprattutto sulle contraddizioni delle quali sono intrise. La collettiva, intitolata appunto Douze regards obliques e aperta fino al 21 marzo 2020, coinvolge Stefano Faoro, Simon Lässig, Sam Pulitzer e Gili Tal, quattro artisti provenienti da altrettanti contesti socio-culturali – italiano, tedesco, statunitense e israeliano – che attraverso i loro lavori pongono l’accento sulla condizione dell’uomo contemporaneo.

Nella nostra epoca, l’uomo e le immagini sembra stiano subendo un medesimo processo di mercificazione/svalutazione: così come l’eccessiva produzione di immagini porta ad una progressiva perdita della loro essenza, anche i rapporti umani, apparentemente diventati più saldi e sinceri grazie a internet e alla vetrina dei social network, sembra si stiano svuotando dall’interno. La miriade di connessioni che unisce la fitta rete sociale sta causando uno spaesamento generale: l’individuo sembra perdersi in questo groviglio virtuale con la conseguenza di ritrovarsi completamente solo. È su questi temi che riflettono gli artisti di Douze regards obliques, fornendo una panoramica degli scenari che ci circondano: dietro il loro sguardo freddo e distaccato vi è la forte volontà di indurre al pensiero, di aprire gli occhi a chi si imbatte nelle loro opere così da ragionare su ciò che sta accadendo al mondo d’oggi. A tal proposito, la serie The Premise of a Better Life (2019) di Sam Pulitzer, costituita da fotografie della città di New York, sono accompagnate da frasi tanto criptiche quanto esemplificative. “Do you see yourself as the person for whom you’ll be remembered?”, “Do you identify with the culture into which you are nevertheless grouped?” e “If you knew then what you know now, would it make a difference?” sono solo alcune delle sue riflessioni che non riguardano direttamente la metropoli americana, ma che fanno di essa un fulgido esempio di ciò che sta accadendo alla società contemporanea: ogni abitante sembra perdersi nel proprio labirinto di domande, e più vaga in cerca di una risposta, più gli riesce difficile trovarne una.

Installation view, Douze regards obliques, FANTA-MLN, Milano, 2020, Courtesy the artists and FANTA-MLN, photo by Roberto Marossi
Simon Lässig, Utitled, 2019, (Detail), Courtesy the artist and Felix Gaudlitz, photo by Roberto Marossi
Sam Pulitzer, by the Exit, The Premise of a Better Life, 2019, Courtesy the artist and Francesca Pia, photo by Gunnar Meier

Allo stesso modo, The Eat List di Gili Tal (2020) focalizza l’attenzione su un’altra contraddizione del mondo contemporaneo, ossia quella della libertà illusoria. Le sue grandi stampe richiamano alla mente i classici cartelloni pubblicitari – quasi a sottolineare l’effetto placebo dell’odierna rete di informazioni, efficace all’apparenza ma quasi mai veritiera – e ritraggono momenti di vita quotidiana: uomini immersi in contesti urbani vivono tranquillamente la loro vita, credendo di essere liberi di farlo, quando in realtà non si accorgono di essere profondamente plagiati da schemi sociali preconfezionati e osservati dalle migliaia di occhi elettronici posizionati su PC, tablets e smartphones. La fotografia è anche il mezzo utilizzato da Stefano Faoro: l’anonimato degli oggetti che ritrae si ricollega alla medesima condizione dell’uomo, perso negli spazi che frequenta e per questo mai visibile. I suoi scatti prelevano spicchi di una realtà surreale, silenziosa, svuotata dalla presenza umana: gli oggetti costituiscono l’unica testimonianza rimasta, ma essendo privati di un contesto non possono che rimanere muti, meri prodotti di una società sconosciuta. Sulla stessa linea, il lavoro di Simon Lässig si concentra su altri aspetti della vita quotidiana, ossia quelli della comunicazione e dell’educazione: queste fondamentali componenti della formazione di ogni individuo divengono il pretesto per analizzare la natura dei comportamenti e le dinamiche di interazione tra gli esseri umani.

I lavori di Douze regards obliques innescano dunque dei ragionamenti ai quali è difficile rimanere indifferenti. Il FANTA di Milano si è trasformato per l’occasione in un’enorme specchio nel quale il mondo e la società contemporanea si guardano: l’immagine riflessa che ne deriva – all’inizio offuscata, poi sempre più nitida – è la somma delle loro ambiguità e contraddizioni. Byung-Chul Han, filosofo sudcoreano, afferma che “oggigiorno le persone si consumano mentre pensano di starsi realizzando” e che “l’uomo non è più sovrano di sé stesso ma è il risultato di un algoritmo che lo domina senza farsi percepire”: parole dure, certamente, che però inducono a riflettere e a ragionare su sé stessi, così come fanno le opere di Lässig, Faoro, Tal e Pulitzer.

Stefano Faoro, Simon Lässig, Sam Pulitzer, Gili Tal – Douze regards obliques
FANTA, Milano, via Merano 21
Dal 1 febbraio 2020 al 21 marzo 2020

Stefano Faoro, Untitled (shelves), 2020, Courtesy the artist, photo by Roberto Marossi