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Ho steso un lenzuolo per terra | Il progetto-racconto del duo F/Q a Futurdome, Milano

Fino al 22 febbraio negli spazi di Futurdome è possibile percorrere la mostra Ho steso un lenzuolo per terra, progetto site specific degli artisti italiani F/Q. Il progetto è composito, abbraccia fotografia, installazioni, video, oggettistica, lettering e persino letteratura. Si ispira infatti al testo critico Les Chiens dell’affascinante scrittore Hervé Guibert (1955-1991), scritto durante un […]

F/Q, Ho steso un lenzuolo per terra, FuturDome, Milan. Photo, Cosimo Filippini, 2020

Fino al 22 febbraio negli spazi di Futurdome è possibile percorrere la mostra Ho steso un lenzuolo per terra, progetto site specific degli artisti italiani F/Q. Il progetto è composito, abbraccia fotografia, installazioni, video, oggettistica, lettering e persino letteratura. Si ispira infatti al testo critico Les Chiens dell’affascinante scrittore Hervé Guibert (1955-1991), scritto durante un periodo di permanenza all’Isola d’Elba.
Entrando nelle sale di Futurdome, la mostra è subito “incorniciata” dal titolo della mostra, che viene stampato su un lenzuolo bianco. L’ambiente intero restituisce un’atmosfera fredda e trasparente, che rimanda ad alcuni riferimenti pornografici e ad atmosfere difficilmente accettabili dal mondo normato e strutturato, che giocano in un asettico limbo tra amore, crudeltà e riferimenti personali (questa “temperatura” emerge soprattutto nelle fotografie, che richiamano l’immaginario il Portfolio X di Robert Mapplethorpe, complice anche la stampa in bianco e nero). Per realizzare e ideare i lavori esposti il duo ha trascorso un periodo nelle stanze della realtà milanese, all’interno di A-I-R, programma di residenza ideato da Ginevra Bria e Atto Belloli Ardessi.

Nell’intervista che segue la redazione di ATPdiary ha intervistato il duo per entrare più nel vivo del progetto e delle sue relazioni con l’apparato scrittorio. Abbiamo poi rivolto alcune domande anche ai fondatori, cercando di comprendere, attraverso una lettura del progetto dal punto di vista curatoriale, anche le peculiarità e le scelte fondative del programma di residenze.

Segue l’intervista –

Irene Sofia Comi: L’intera mostra è ispirata al romanzo breve di Hervé Guibert intitolato Les Chiens. Da dove nasce la fascinazione per questo racconto, che viene trasposto negli spazi di Futurdome? A chi e a cosa volete dare voce? 

F/Q: Les Chiens è un testo controverso di Hervé Guibert (1955–1991). Ci interessavano diversi aspetti del suo lavoro: la pratica molteplice di Guibert – che passa per la scrittura, la fotografia, la sceneggiatura per il cinema – e la fascinazione per il racconto, che è un testo giovanile, mai ripudiato ma sicuramente trattato dall’autore stesso con un certo imbarazzo, come spiega Owen Heathcote nel testo del catalogo della nostra mostra “Ho steso un lenzuolo per terra”. Il motivo dell’imbarazzo è il carattere pornografico del testo, che nel 1982 era vissuto come scandaloso. Il Portfolio X di Mapplethorpe era stato presentato nel 1978 creando un caso, e la pornografia non era ancora diventata un elemento onnipresente nella cultura visiva e popolare. L’aspetto deflagrante del racconto, su cui si è innestato il nostro lavoro, è la pudicizia – o l’impudicizia, se si vuole – di un autore che descrive in maniera così diretta e a tratti inaccettabile per un lettore medio, una relazione di amore e crudeltà. Non è una lettura per tutti: non tanto per le descrizioni, ma perché espone i lettori a scene di violenza erotica narrate con uno stile magistrale, matematico e ipnotico, che confonde il piano del piacere della scrittura e della lettura con quello del piacere sessuale, annullando i confini morali.
Nel racconto, oltre ai personaggi, i veri attori sono gli oggetti, elevati a feticci: oggetti normali, anonimi e che per noi avevano le forme precise di certi oggetti di design. Ci interessava dare voce al racconto oltre la sua narrazione oggettiva: l’immaginario sotteso al testo, gli oggetti descritti, l’atmosfera suggerita, le sensazioni che aveva vissuto l’autore quando lo ha scritto all’isola d’Elba nel 1981. Ci interessava evocare lo sconforto – lo stesso che altri possono aver provato – di un sentimento così forte e complesso, andando oltre la barriera rappresentata dal carattere pornografico e violento del testo.2

F/Q, Ho steso un lenzuolo per terra, FuturDome, Milan. Photo, Cosimo Filippini, 2020

ISC: L’interesse per il rapporto tra la scrittura e l’immagine è evidente. Mi interessa proprio perché ho notato un certo tipo di direzione. Mi spiego meglio: in questa mostra il rapporto canonico di ekphrasis viene invertito, ossia sono gli oggetti a “descrivere” un immaginario che trova la sua origine nel testo scritto. Cosa ne pensate?

F/Q: È proprio così – l’intenzione era circondare il pubblico degli oggetti descritti nel testo prima ancora che ci si potesse accorgere di qual era il loro ruolo nella mostra e nel racconto. Alludiamo al testo in diversi modi: con il video del monologo di Stipe Kostanic per la regia di Bojan Djordjev, con la lettura performativa di Davide Savorani che si è tenuta durante la vernice, con la traduzione inedita del testo impressa su un lenzuolo, e infine con il testo originale.
Se la trama del racconto è insostenibile alla lettura, l’insieme degli oggetti descritti è quasi banale, e per noi rappresenta una sfida verso il pubblico. Viceversa, non volevamo rappresentare il tono scandaloso del testo: ci sembra l’aspetto meno interessante ed era un impegno preso con gli eredi di Hervé Guibert. Il tema centrale è il punto esatto in cui l’amore si trasforma in violenza, senza snaturarsi. L’obiettivo è quello di dare forma ad una costellazione di stimoli rappresentati dai vari oggetti disseminati nella mostra: gli oggetti ci hanno permesso di portare il pubblico all’interno di un universo sconosciuto, senza utilizzare la stessa virulenza del testo.
Oltre agli oggetti ci sono le immagini: quelle di Guibert stesso e quelle a cui si è ispirato in maniera più o meno dichiarata, come Bacon e Hogarth. E ci sono le immagini che abbiamo prodotto noi, a partire dal racconto, per la mostra e per il catalogo.

ISC: Al tempo stesso, però, è presente anche una forte componente testuale, che lega uno dei lavori esposti al titolo della mostra. Questo elemento torna anche in alcune lettere sparse per lo spazio, che sembrano accompagnare, isolate l’una dall’altra, i lavori. Come mai questa scelta? Sapreste dirmi qualcosa di più? 

F/Q: L’io narrante di Les Chiens descrive un atto fondamentale che da anche il titolo della mostra: “Ho steso un lenzuolo per terra, e sulla sua superficie bianca, con un pennarello, ho disegnato una specie di cartografia”. Su un lenzuolo abbiamo stampato la traduzione del racconto: la lettura in mostra è volutamente scomoda – idealmente vorremmo che ciascuno potesse portare il lavoro a letto con sé per leggere il racconto, perché nessun editore italiano cui abbiamo offerto la traduzione (a titolo gratuito) ha voluto pubblicarlo. Ho steso un lenzuolo per terra è quindi l’edizione italiana di Les Chiens, in una tiratura limitata di tre copie su licenza di Les Editions de Minuit di Parigi.Per bilanciare questa situazione di riferimento “scomodo” al testo, abbiamo immaginato tutti i lavori e i pezzi in mostra come una sequenza contrassegnata da lettere da A a Z, come un abbecedario ideale ed esatto del mondo limitato in cui si muovono i personaggi – e il pubblico insieme a noi. C’è ovviamente la fascinazione per il linguaggio e per la nominazione delle cose. Catalogando i vari oggetti volevamo costruire una mappa di questo amore violento che rimandasse a quella “specie di cartografia” citata nel racconto e che fosse al tempo stesso una legenda per comprenderla. La scelta delle lettere nasce anche dal desiderio di un allestimento e una rappresentazione asettica, matematica come lo stile narrativo.

F/Q, Ho steso un lenzuolo per terra, FuturDome, Milan. Photo, Cosimo Filippini, 2020
F/Q, Ho steso un lenzuolo per terra, FuturDome, Milan. Photo, Cosimo Filippini, 2020

ISC: Ginevra e Atto, mi farebbe piacere sottoporvi un paio di domande. Come interpretate il rapporto del duo F/Q con la pratica narrativa? Attraverso la vostra visione, come si declina all’interno del panorama più ampio della loro ricerca? Ve lo chiedo anche alla luce della scelta di invitare il duo a partecipare al programma di residenza A-I-R, qual è stato il ragionamento “a monte”? 

Ginevra Bria e Atto Belloli Ardessi: Quasi due anni fa, il progetto ci aveva colpito profondamente, sebbene fosse ancora su carta. E ci aveva impressionato, per la chiarezza con la quale ci era arrivato. In questa premessa non è inclusa solo la limpidezza con la quale ci era stata trasmessa la ricerca retrostante il percorso espositivo, ma anche la compattezza e l’integrità dei diversi codici, dei registri che la prima personale del duo F/Q portava con sé.
 Ho steso un lenzuolo per terra ripercorre l’attraversamento di uno sguardo che nella letteratura, nella fotografia, nel cinema e nella filosofia amplifica, tornando reale. Nel momento in cui due artisti emergenti, regolamentano con la vedova di Hervè Guibert i diritti d’autore di un romanzo inedito, in Italia come Les Chiens, si passa dall’opacità dei documenti alla trasparenza delle perdite ad essi legate. Ma anche nel giornalismo, nella critica in perdita, come insegna Guibert stesso, non c’è trasparenza; ci sono ferite da curare, manipolazione, vuoto e dolore in potenza.
 Partendo dalla consapevolezza che qualsiasi riscoperta o trasposizione al di fuori delle parole di un autore non sia mai neutrale, l’obiettività, la validità e la significatività dei sistemi di catalogazione del pensiero che Ho steso un lenzuolo per terra rievoca, a livello narrativo, mettono in discussione un immaginario incentrato sulla deriva del rapporto tra oggetto e soggetto dello sguardo. La pratica di liberazione della conoscenza dall’immobilità e dalla fragilità delle gerarchie di genere, riscatta le parole di Guibert dalla loro rigida, necessaria codificazione, organizzata in metaforiche cartelle, scatole, alchimie o alberi di navigazione. Mettere in discussione e sovvertire l’archivio del tempo di Guibert, le sue battaglie, così come i gesti ossessivi, almeno quanto l’organizzazione delle tassonomie, diventa con F/Q parte di un più ampio processo di ridefinizione di pratiche e attitudini, che, grazie alla residenza artistica appena cominciata, è ancora in corso. Esercitare, rivelare una pars destruens, in questo processo di attivazione dello spazio in funzione della letteratura, è sempre necessario, in qualsiasi lettura, prima di iniziare a impalcare uno scenario a partire da nuove prospettive e intenzioni.
 Nel lavoro di F/Q, oltre alla creazione di archivi intenzionali della memoria (fotografie, sculture, installazioni olfattive e oggetti) c’è anche la preservazione di giacimenti non intenzionali, che si definiscono sempre più come costellazioni di contributi spontanei; omaggi che provengono da altri individui, come nel caso della performance di Les Chiens in croato, messa in atto da Stipe Kostanic e Bojan Djordjev (nel 2012, allo Zagreb Queer Festival), poi condivisa collettivamente, in FuturDome, attraverso un video. In generale, questa mostra, come una sorta di rivitalizzatore innesca una traccia mnestica la cui organizzazione percettiva si svela principalmente attraverso la riesumazione di un corpo diffuso; che, senza volto, monitora e accoglie un’inquietudine intra ed extra-diegetica.

F/Q, Ho steso un lenzuolo per terra, FuturDome, Milan. Photo, Cosimo Filippini, 2020
F/Q, Ho steso un lenzuolo per terra, FuturDome, Milan. Photo, Cosimo Filippini, 2020

ISC: E invece per quanto riguarda la scelta degli spazi espositivi? Mi spiego meglio: la mostra si dispiega attraverso tre ambienti ideali, in una dimensione molto più raccolta rispetto ad alcune delle mostre che ho potuto vedere a FuturDome, caratterizzata da grandi percorsi e più livelli. Come mai avete pensato a questo rapporto più intimo con lo spazio? Mi piacerebbe avere una tua lettura di questo aspetto, e di come si legano, nella tua visione, le opere e lo spazio. 

GB e ABA: In FuturDome, le residenze e gli studi d’artista, dal 2016, hanno accolto autori dalle pratiche più distanti tra loro (Jason Gomez, Andrè Komatsu, Marcelo Cidade, Alessandro Di Pietro, Marco Siciliano, Larsen Albedo etc.). Ma è la prima volta che selezioniamo un progetto espositivo strutturato, e dunque già delineato in previsione di un futuro sviluppo legato alle potenzialità di un duo emergente.
F/Q, con Ho steso un lenzuolo per terra , sono alla loro prima esperienza espositiva, in assoluto: si tratta di un duo che non si è mai pubblicamente affacciato sulla scena dell’arte contemporanea italiana. FuturDome ha dunque voluto accoglierli e offrire loro il corretto terreno per presentare un universo perfettamente centrato e condensato, senza che questo venisse soffocato da superfici monumentali, o, ancor peggio, venisse sfalsato, slabbrato da pratiche e meccanismi espositivi ipertrofici, compulsivi o di maniera. Ma in questo caso, come abbiamo sorprendentemente scoperto negli ultimi mesi, F/Q aveva già perfettamente incamerato i parametri spaziali per creare il perfetto incubatore di una visione aperta come Les Chiens di Guibert.
 Come curatori del programma FuturDome A-I-R (Artist In Residence) abbiamo dovuto imporre limiti che, in realtà, ci erano stati suggeriti, a loro volta, dai diversi artisti incontrati. Negli anni, abbiamo raccolto fonti, compiuto studio visit e dialogato continuamente con ogni singolo individuo, in modo da arrivare, con il tempo, a formare una collettività, una comunità. Ciascuno di loro, proprio come ci insegna F/Q, rappresenta un archivio che abbiamo consultato e che ci è apparso come un organismo con un’anima. Oltre a riportare i risultati della ricerca svolta, spesso, è necessario trovare il giusto spazio per ascrivere il profilo di ciascuno delle personalità e delle pratiche coinvolte.

A-I-R, con la sua logica interna di selezione, ricerca, organizzazione, accessibilità, comprende molti campi diversi: curatela e museologia, politiche culturali, politiche di genere, tecnologie multimediali e digitali, beni comuni e creativi open source, pratiche collettive e artistiche (principalmente basate sul tempo), e più in generale tutto ciò è legato all’accesso e alla partecipazione alla costruzione della conoscenza. E di questo ce ne darà un nuovo esempio Andrea Bocca (1996, Crema), che sta già sviluppando una residenza, in previsione della sua prima personale milanese, pronta per essere inaugurata il prossimo 15 aprile in FuturDome. 

F/Q, Ho steso un lenzuolo per terra, FuturDome, Milan. Photo, Cosimo Filippini, 2020

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