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Lo schermo dell’arte | Intervista con Silvia Lucchesi e Leonardo Bigazzi

Dal 13 al 17 novembre torna a Firenze Lo schermo dell’arte con un programma di proiezioni, incontri e tavole rotonde che portano nel capoluogo toscano artisti, registi e studiosi per esplorare e indagare le relazioni tra arte e cinema. Ad aprire l’evento l’ultimo progetto di Philippe Parreno No More Reality Whereabouts, un “film di film” […]

Quello che verrà è solo una promessa del collettivo Flatform

Dal 13 al 17 novembre torna a Firenze Lo schermo dell’arte con un programma di proiezioni, incontri e tavole rotonde che portano nel capoluogo toscano artisti, registi e studiosi per esplorare e indagare le relazioni tra arte e cinema. Ad aprire l’evento l’ultimo progetto di Philippe Parreno No More Reality Whereabouts, un “film di film” nel qual reale e immaginario si mescolano concepito per una sala cinematografica e non per uno spazio espositivo.
Tra le pellicole film d’artista dunque, ma anche documentari come Welcome Palermo del duo MASBEDO e Cy Dear di Andrea Bettinetti su Cy Twombly. Nell’intervista che segue Silvia Lucchesi racconta questa dodicesima edizione segnalando gli eventi imperdibili. Insieme a lei Leonardo Bigazzi, curatore di VISIO. Moving Images After Post-Internet, il progetto espositivo dedicato al ruolo della tecnologia video nelle pratiche artistiche delle nuove generazioni.

Guendalina Piselli. Ad aprire il festival sarà No More Reality Whereabouts (2019) di Philippe Parreno, un progetto cinematografico vero e proprio concepito dall’artista per una sala e non per uno spazio espositivo….

Silvia Lucchesi. Siamo molto felici che Philippe Parreno, anche grazie all’aiuto dell’amico Andrea Lissoni che ci ha introdotto, abbia accettato di partecipare con questo suo ultimo lavoro allo Schermo dell’arte. È la seconda volta che No More Reality Whereabouts viene presentato, dopo la prima del Festival di Rotterdam. E’ quindi un’occasione unica e straordinaria per il mondo dell’arte italiano, e non solo, di poterlo vedere. Riunisce estratti di lavori realizzati da Parreno in vent’anni, ri-editati per dar vita ad una sorta di “film di film”, una forma ibrida, sospesa tra la retrospettiva e una nuova opera. Ma questo suo ultimo progetto è molto più di un film. Così come Parreno ci ha abituato con le sue mostre che hanno rivoluzionato l’esperienza stessa di esposizione, lo spettatore vive un’esperienza d’arte totale in cui la visione è strettamente legata ad una parte performativa rappresentata dalle musiche eseguite al piano da Mikhail Rudy, a lungo suo collaboratore. Tale riferimento alle radici del cinema introduce nello spazio della sala elementi magici e rituali che sono alla base di quest’arte. Inoltre, come è nella sua poetica, i confini tra reale e immaginario si confondono e si combinano tra loro. Questa soglia indefinita è sottolineata dalla presenza di un Dhalang, maestro del teatro tradizionale delle ombre indonesiano, che introduce la proiezione con la lettura di un testo. No More Reality Whereabouts riflette sul ruolo dell’immagine nella società contemporanea e sull’impossibilità di conferire ad essa un significato univoco.

GP. Tra proiezioni, incontri e tavole rotonde, quali sono gli appuntamenti imperdibili di questa XII edizione?

SL. Ogni anno dedichiamo un approfondimento ad un artista la cui opera si distingue per l’originalità e la novità del linguaggio utilizzato. Jeremy Deller, Turner Prize nel 2004, è l’artista del Focus 2019. Presenteremo 4 film tra i quali il suo ultimo Putin’s Happy, girato tra gennaio e marzo di quest’anno nel corso di varie manifestazioni pro Brexit, tenutesi nei pressi di Parliament Square a Londra. Deller raccoglie le parole dei manifestanti interpretando il linguaggio di questo movimento per lasciare l’Unione Europea che non è così diverso dai movimenti di stampo nazionalista che stanno prendendo piede negli ultimi anni nella stessa Europa e in altri paesi del mondo.
In questa edizione del Festival trovano ampio spazio i film d’artista e i documentari italiani a riprova della vivacità di questi settori di produzione nel nostro paese. Presentiamo i nuovissimi film di Luca Vitone, viaggio alla ricerca dei luoghi di provenienza del popolo Rom, un lungometraggio che è parte del suo progetto Romanistan con il quale ha vinto nel 2018 da IV edizione del bando Italian Council, di MASBEDO che con Welcome Palermo raccontano il rapporto della città siciliana con il cinema attraverso interviste e riprese in luoghi iconici tra i quali la sala da ballo di Palazzo Gangi, set della scena finale del Gattopardo, di Flatform che hanno girato nell’isola di Funafuti, nell’arcipelago polinesiano di Tuvalu, un film che è un lungo piano sequenza sugli effetti del riscaldamento globale; i documentari Ettore Spalletti. di Alessandra Galletta che, all’indomani della scomparsa del maestro abruzzese, è una testimonianza preziosa della sua arte di spirito e luce, e Cy Dear di Andrea Bettinetti sul Cy Twombly, uno degli artisti più influenti del XX secolo. Sono solo alcune indicazioni sul programma di questa 12ma edizione. Abbiamo cercato di selezionare quelle che per noi sono le migliori produzioni di quest’ultimo anno. Speriamo che le nostre scelte siano condivise anche dal pubblico.

Pinocchio Taken Down by Security di David Horvitz e Lukas Geronimas

GP. Quest’anno il festival ospita un progetto speciale “Lo scherzo dell’arte” curato da Roberto  Fassone e Kasia Fudakoswki che combina video e performance per analizzare i meccanismi dell’ironia come la ripetizione, il gioco, l’inganno e il camouflage. Si può insomma ancora ridere della realtà attraverso l’arte?

SL. Già il titolo del progetto di Roberto e Kasia non può che far sorridere: è sì un gioco di parole con il nostro nome ma è esso stesso un progetto autonomo sul tema dell’ironia nell’arte contemporanea. Sono due artisti che conoscono bene Lo schermo dell’arte perché hanno entrambi partecipato ai nostri progetti, l’uno a VISIO, l’altra a Feature Expanded. Abbiamo quindi accolto la loro proposta con grande piacere. Lo scherzo dell’arte è un film festival in miniatura il cui programma è composto da sette opere video, o estratti di video, di artisti tra i quali Julian Rosefeldt, sul ruolo dell’umorismo e della comicità nell’arte contemporanea. La stessa modalità di fruizione è anticonvenzionale. Prevede una visione molto “intima”: i due artisti sorreggano lo schermo con un costume appositamente realizzato che li copre totalmente, come stessero sotto una tenda. Lo spettatore entra sotto questa sorta di tenda e guarda i video cheek-to cheek con l’artista.  Quindi, per rispondere alla sua domanda: sì, si può ancora ridere della realtà attraverso l’arte.

GP. VISIO conferma anche una volta l’impegno e l’attenzione verso le nuove generazioni. La mostra risultante dall’open call di questa edizione offre uno sguardo sulla produzione di una generazione di artisti che ha assistito all’ascesa della cosiddetta “condizione post-internet”. Un termine che diventa in realtà ogni anno meno circoscrivibile data la velocità di aggiornamento delle tecnologie. Cosa significa oggi per un artista fare i conti con un linguaggio così mutevole?

Leonardo Bigazzi. Oggi l’uso del termine post-internet è diventato obsoleto e controverso, riducendosi per lo più alla categorizzazione, spesso dispregiativa, di una vasta tipologia formale di opere. Ma non c’è dubbio che la rivoluzione digitale abbia profondamente trasformato il linguaggio delle moving images e i suoi modelli produttivi, distributivi ed espositivi. Quello su cui mi interessava riflettere con questa mostra è l’impatto che queste trasformazioni globali hanno avuto su una generazione che ha vissuto questa “condizione” durante gli anni della propria formazione. A mio avviso lavorare oggi con un medium come il video nello spazio espositivo vuol dire necessariamente confrontarsi, anche in termini concettuali, con le sue potenzialità. Per questo si ritrovano in mostra artisti che lavorano con la realtà virtuale (VR), utilizzano immagini CGI e che hanno addirittura prodotto dei videogiochi, ma anche artisti che volutamente decidono di distanziarsi da questo tipo di estetica e che utilizzano tecniche cinematografiche o girano ancora in pellicola. Quello che a mio avviso si può notare nelle nuove generazioni di artisti è proprio questo: una maggiore consapevolezza del potenziale del linguaggio video e la capacità di muoversi con più sicurezza tra il white cube e la sala cinematografica.

GP. Il programma è riservato agli artisti under 35. Nel corso di questi anni, proprio per la velocità di trasformazione del mondo di Internet, il gap generazionale tende a diminuire?

LB. Dipende a che livello ci si riferisce. Un artista che lavora oggi con il video è probabile che si tenga costantemente aggiornato sulle nuove tecnologie disponibili. Da un punto di vista di padronanza del mezzo quindi non vedo grandi differenze tra artisti della prima edizione di VISIO, che oggi hanno circa 40 anni, e i più giovani delle ultime due edizioni. Il gap generazionale tende invece ad aumentare se si analizzano alcuni riferimenti concettuali e formali. L’estetica di Instagram e la cultura dei videogiochi, solo per fare due esempi, hanno certamente avuto un impatto maggiore su questa generazione aumentando il divario con la precedente.

Dal 13 al 17 novembre torna a Firenze Lo schermo dell’arte con un programma di proiezioni, incontri e tavole rotonde che portano nel capoluogo toscano artisti, registi e studiosi per esplorare e indagare le relazioni tra arte e cinema. Ad aprire l’evento l’ultimo progetto di Philippe Parreno No More Reality Whereabouts, un “film di film” nel qual reale e immaginario si mescolano concepito per una sala cinematografica e non per uno spazio espositivo. Tra le pellicole film d’artista dunque, ma anche documentari come Welcome Palermo del duo MASBEDO e Cy Dear di Andrea Bettinetti su Cy Twombly.
Nell’intervista che segue Silvia Lucchesi, direttore del festival, racconta questa dodicesima edizione del festival segnalando gli eventi imperdibili. Insieme a lei Leonardo Bigazzi, curatore di VISIO. Moving Images After Post-Internet, il progetto espositivo dedicato al ruolo della tecnologia video nelle pratiche artistiche delle nuove generazioni.

Mother di Martin Skauen

Guendalina Piselli. Ad aprire il festival sarà No More Reality Whereabouts (2019) di Philippe Parreno, un progetto cinematografico vero e proprio concepito dall’artista per una sala e non per uno spazio espositivo….

Silvia Lucchesi. Siamo molto felici che Philippe Parreno, anche grazie all’aiuto dell’amico Andrea Lissoni che ci ha introdotto, abbia accettato di partecipare con questo suo ultimo lavoro allo Schermo dell’arte. È la seconda volta che No More Reality Whereabouts viene presentato, dopo la prima del Festival di Rotterdam. E’ quindi un’occasione unica e straordinaria per il mondo dell’arte italiano, e non solo, di poterlo vedere. Riunisce estratti di lavori realizzati da Parreno in vent’anni, ri-editati per dar vita ad una sorta di “film di film”, una forma ibrida, sospesa tra la retrospettiva e una nuova opera. Ma questo suo ultimo progetto è molto più di un film. Così come Parreno ci ha abituato con le sue mostre che hanno rivoluzionato l’esperienza stessa di esposizione, lo spettatore vive un’esperienza d’arte totale in cui la visione è strettamente legata ad una parte performativa rappresentata dalle musiche eseguite al piano da Mikhail Rudy, a lungo suo collaboratore. Tale riferimento alle radici del cinema introduce nello spazio della sala elementi magici e rituali che sono alla base di quest’arte. Inoltre, come è nella sua poetica, i confini tra reale e immaginario si confondono e si combinano tra loro. Questa soglia indefinita è sottolineata dalla presenza di un Dhalang, maestro del teatro tradizionale delle ombre indonesiano, che introduce la proiezione con la lettura di un testo. No More Reality Whereabouts riflette sul ruolo dell’immagine nella società contemporanea e sull’impossibilità di conferire ad essa un significato univoco.

GP. Tra proiezioni, incontri e tavole rotonde, quali sono gli appuntamenti imperdibili di questa XII edizione?

SL. Ogni anno dedichiamo un approfondimento ad un artista la cui opera si distingue per l’originalità e la novità del linguaggio utilizzato. Jeremy Deller, Turner Prize nel 2004, è l’artista del Focus 2019. Presenteremo 4 film tra i quali il suo ultimo Putin’s Happy, girato tra gennaio e marzo di quest’anno nel corso di varie manifestazioni pro Brexit, tenutesi nei pressi di Parliament Square a Londra. Deller raccoglie le parole dei manifestanti interpretando il linguaggio di questo movimento per lasciare l’Unione Europea che non è così diverso dai movimenti di stampo nazionalista che stanno prendendo piede negli ultimi anni nella stessa Europa e in altri paesi del mondo.
In questa edizione del Festival trovano ampio spazio i film d’artista e i documentari italiani a riprova della vivacità di questi settori di produzione nel nostro paese. Presentiamo i nuovissimi film di Luca Vitone, viaggio alla ricerca dei luoghi di provenienza del popolo Rom, un lungometraggio che è parte del suo progetto Romanistan con il quale ha vinto nel 2018 da IV edizione del bando Italian Council, di MASBEDO che con Welcome Palermo raccontano il rapporto della città siciliana con il cinema attraverso interviste e riprese in luoghi iconici tra i quali la sala da ballo di Palazzo Gangi, set della scena finale del Gattopardo, di Flatform che hanno girato nell’isola di Funafuti, nell’arcipelago polinesiano di Tuvalu, un film che è un lungo piano sequenza sugli effetti del riscaldamento globale; i documentari Ettore Spalletti. di Alessandra Galletta che, all’indomani della scomparsa del maestro abruzzese, è una testimonianza preziosa della sua arte di spirito e luce, e Cy Dear di Andrea Bettinetti sul Cy Twombly, uno degli artisti più influenti del XX secolo. Sono solo alcune indicazioni sul programma di questa 12ma edizione. Abbiamo cercato di selezionare quelle che per noi sono le migliori produzioni di quest’ultimo anno. Speriamo che le nostre scelte siano condivise anche dal pubblico.

GP. Quest’anno il festival ospita un progetto speciale “Lo scherzo dell’arte” curato da Roberto  Fassone e Kasia Fudakoswki che combina video e performance per analizzare i meccanismi dell’ironia come la ripetizione, il gioco, l’inganno e il camouflage. Si può insomma ancora ridere della realtà attraverso l’arte?

SL. Già il titolo del progetto di Roberto e Kasia non può che far sorridere: è sì un gioco di parole con il nostro nome ma è esso stesso un progetto autonomo sul tema dell’ironia nell’arte contemporanea. Sono due artisti che conoscono bene Lo schermo dell’arte perché hanno entrambi partecipato ai nostri progetti, l’uno a VISIO, l’altra a Feature Expanded. Abbiamo quindi accolto la loro proposta con grande piacere. Lo scherzo dell’arte è un film festival in miniatura il cui programma è composto da sette opere video, o estratti di video, di artisti tra i quali Julian Rosefeldt, sul ruolo dell’umorismo e della comicità nell’arte contemporanea. La stessa modalità di fruizione è anticonvenzionale. Prevede una visione molto “intima”: i due artisti sorreggano lo schermo con un costume appositamente realizzato che li copre totalmente, come stessero sotto una tenda. Lo spettatore entra sotto questa sorta di tenda e guarda i video cheek-to cheek con l’artista.  Quindi, per rispondere alla sua domanda: sì, si può ancora ridere della realtà attraverso l’arte.

Broken Tv and_or DVD Player di Kasia Fudakowski

GP. VISIO conferma anche una volta l’impegno e l’attenzione verso le nuove generazioni. La mostra risultante dall’open call di questa edizione offre uno sguardo sulla produzione di una generazione di artisti che ha assistito all’ascesa della cosiddetta “condizione post-internet”. Un termine che diventa in realtà ogni anno meno circoscrivibile data la velocità di aggiornamento delle tecnologie. Cosa significa oggi per un artista fare i conti con un linguaggio così mutevole?

Leonardo Bigazzi. Oggi l’uso del termine post-internet è diventato obsoleto e controverso, riducendosi per lo più alla categorizzazione, spesso dispregiativa, di una vasta tipologia formale di opere. Ma non c’è dubbio che la rivoluzione digitale abbia profondamente trasformato il linguaggio delle moving images e i suoi modelli produttivi, distributivi ed espositivi. Quello su cui mi interessava riflettere con questa mostra è l’impatto che queste trasformazioni globali hanno avuto su una generazione che ha vissuto questa “condizione” durante gli anni della propria formazione. A mio avviso lavorare oggi con un medium come il video nello spazio espositivo vuol dire necessariamente confrontarsi, anche in termini concettuali, con le sue potenzialità. Per questo si ritrovano in mostra artisti che lavorano con la realtà virtuale (VR), utilizzano immagini CGI e che hanno addirittura prodotto dei videogiochi, ma anche artisti che volutamente decidono di distanziarsi da questo tipo di estetica e che utilizzano tecniche cinematografiche o girano ancora in pellicola. Quello che a mio avviso si può notare nelle nuove generazioni di artisti è proprio questo: una maggiore consapevolezza del potenziale del linguaggio video e la capacità di muoversi con più sicurezza tra il white cube e la sala cinematografica.

GP. Il programma è riservato agli artisti under 35. Nel corso di questi anni, proprio per la velocità di trasformazione del mondo di Internet, il gap generazionale tende a diminuire?

LB. Dipende a che livello ci si riferisce. Un artista che lavora oggi con il video è probabile che si tenga costantemente aggiornato sulle nuove tecnologie disponibili. Da un punto di vista di padronanza del mezzo quindi non vedo grandi differenze tra artisti della prima edizione di VISIO, che oggi hanno circa 40 anni, e i più giovani delle ultime due edizioni. Il gap generazionale tende invece ad aumentare se si analizzano alcuni riferimenti concettuali e formali. L’estetica di Instagram e la cultura dei videogiochi, solo per fare due esempi, hanno certamente avuto un impatto maggiore su questa generazione aumentando il divario con la precedente.

Guido di Roberto Fassone