
Ci sono tesi, antitesi e sintesi. La prima è che il bello non esista: che la sua ricerca sia fallace, figurarsi la sua creazione. La seconda è che il bello sia condizione reale o di ricerca essenziale. La terza è più complessa, ma le è dedicata l’intera ricerca artistica di Giulio Paolini e un’altra ipotesi risolutiva che è l’essenza della mostra a Casa Parravicini: il bello è ideale, collocato su una fuga prospettica così distante che pesi e figure si sospendono e qualsiasi suo riconoscimento è accettabile e raggiungibile.
E se la prospettiva è la condizione spaziale, il tempo è complice e si interiorizza e poi eternizza, sovrastando l’opera unica per diventare tutte le opere. Allora è ammesso che tutta la ricerca di Paolini sia un unico progetto continuo, che l’invito di Stocchi costruisca la forza sincronica dell’immagine e che qualsiasi oggetto nei tre piani della Fondazione sia un ritrovamento o una traccia dell’archeologo Paolini.
Dal ritratto all’autoritratto, dagli studi spaziali alle iconografie classiche, l’autore non esiste, si astrae a favore del Bello ideale per lasciarlo emergere, sbozzarlo e restituirlo all’osservatore. Affacciato al balcone della sua abitazione e incorniciato nell’inquadratura della finestra (Delfo IV, 1997), Paolini definisce il suo osservatorio privilegiato sull’arte e sulla storia: dall’alto, interrompe qualsiasi dimensione spaziale e cronologica a favore dei percorsi mentali che emergono dal folto materiale reale. Nuove e vecchie immagini coesistono nel mito senza gerarchie mentre statue, gessi e frammenti rivivono in una prospettiva originale, al di là della contemporaneità che li coglie.


Una questione di posizioni tra osservatore e osservato, tra artista e paesaggio che si risolve nel processo di inquadratura, nel senso dell’ordine di cui la prospettiva è simbolo: la rappresentazione nasce dalla griglia dove il reale si dispone teatralmente diventando verosimile.
A questo servono le scenografie di Margherita Palli, autorevole interprete di questa antologia ragionata. Delle piccole nicchie perfettamente mimetizzate nel continuum della mostra emergono come “pensatoi prospettici” verso i riferimenti di Paolini, mimano posizioni d’osservazione privilegiata e risolvono il dubbio che il bello non esista, concedendo di trovarlo nelle costruzioni oniriche di uno studiolo o nel potere introspettivo di un autoritratto di de Chirico (Se ipsum, 1948).
Siamo ancora e sempre nell’ideale, dove il Bello è il solo capace di sollevarci dal baratro degli abbellimenti ad effetto.
Giulio Paolini
Del Bello ideale
A cura di Francesco Stocchi
con interventi scenografici di Margherita Palli
26 ottobre 2018 – 10 febbraio 2019
Fondazione Carriero







