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COSMESI FA UN DISCO – COSMESI FA UN LIVE

Claudia Santeroni: In quanto a musica vi definite analfabeti, ma allo stesso tempo ascoltatori bulimici e frequentatori assidui di concerti. Come si può definire il vostro rapporto con la musica in ambito strettamente artistico? Che potenzialità vi offre per quanto riguarda la vostra ricerca? Eva: La musica ha un sacco di livelli di percezione. E’ […]

Cosmesi Fa Un Live © Eleonora Tinti
Cosmesi Fa Un Live © Eleonora Tinti

Claudia Santeroni: In quanto a musica vi definite analfabeti, ma allo stesso tempo ascoltatori bulimici e frequentatori assidui di concerti. Come si può definire il vostro rapporto con la musica in ambito strettamente artistico? Che potenzialità vi offre per quanto riguarda la vostra ricerca?

Eva: La musica ha un sacco di livelli di percezione. E’ un linguaggio complicatissimo perché all’interno c’è anche tutto un emotivo ed un soggettivo che spesso facciamo fatica a veicolare. Ad esempio c’è l’imbarazzo, io spesso mi imbarazzo a vedere cantare o suonare chi amo, ed è razionalmente insensato; è una sensazione che non riesco a normalizzare. E sono certa che non succede solo a me, e non è relativa al risultato della performance, è relativa ad un’esposizione intima che non so condividere forse o accettare. E’ un imbarazzo infantile ed eccitante e non ha a che fare con la ragionevolezza. C’è lo stupore anche, la fisicità del suono dello strumento: sono questioni della musica e dei concerti che mi interessano il corpo e le reazioni.

Così, per iniziare e fare il disco, abbiamo cercato dentro al linguaggio del pop: se avessimo deciso di registrare qualcosa di noise-avanguardista-arti-dark-checazzoneso-post-sperimentale-punk-rumorista non avremmo dovuto ingaggiare nessuna battaglia. Decidere di costruire una canzone senza saperlo fare è una sfida mega grossa. E’ un’imitazione che deve collassare nel vero.

Nicola: La musica è sempre stato un elemento importante e nel corso di questi 15 anni abbiamo coinvolto nei nostri progetti molti amici musicisti. Ovviamente decidere di dedicarsi personalmente alla musica ha imposto un radicale cambio di prospettiva e una nuova ripartizione dei ruoli. Nello specifico di COSMESI FA UN LIVE, la precarietà delle nostre esecuzioni musicali era il ‘cammino con vista sul precipizio, per tutti noi indispensabile per dare senso alla performance dal vivo; la potenzialità che abbiamo deciso di preservare fino all’incoscienza assoluta, decidendo di mettere un limite alla pratica, alle prove di esecuzione. Diciamo che iniziare un brano non sapendo se il giro dell’ukulele ti riuscirà e se malgrado gli errori riuscirai a seguire il tempo della base registrata (un flusso di battute senza alcuna pietà che ci accompagna per tutto il live), è un po’ il centro del lavoro: lo stato d’ansia perenne con cui abbiamo deciso di dover convivere. L’imbarazzo, mio o di Eva, nel cantare è reale ed è l’ospite a sorpresa che accompagna il pubblico per tutto il concerto; ospite che normalmente nessun performer è abituato a dover gestire in uno spettacolo di musica dal vivo. Ovviamente è anche estremamente divertente.

Cosmesi Fa Un Live © Roberta Segata
Cosmesi Fa Un Live © Roberta Segata

CS: COSMESI FA UN DISCO è un lavoro che tocca da diversi punti di vista il tema della finzione: travestimento, artificio, mimesi. Persino il vinile originale che viene prodotto è un giocattolo che fa da solo supporto per il codice digitale downlodabile. E questo carattere  fake  viene traslato anche nel live sul palco (COSMESI FA UN LIVE) dove infatti suonate in compagnia di 14 cartonati di musicisti in scala reale.
Come avete vissuto questo ruolo da interpreti kamikaze (“come buttarsi da una collina con i pattini…)?

E: E’ particolare lavorare una performance che si dimena attorno al fallimento, perché per quanto strutturato e razionalizzato (non sappiamo e non vogliamo imparare a suonare, vogliamo scontrarci al momento con quello che abbiamo prodotto in studio) la delusione e l’impotenza è padrona. Mi interessa tutto quello che sposta la realtà normata. Il giocattolo non è un giocattolo visto con gli occhi di chi gioca: è una trasposizione reale del desiderio credo. Inventarsi una vita che trabocca, scrivere e comporre un disco bhe, non sono “prove” ma un processo differente da tutto quello che abbiamo fatto finora in vita, un segreto che non si può vedere, un accadimento sotterraneo che poterà a galla un risultato.

N: Il tema della finzione e del travestimento, è il terreno del nostro precedente progetto teatrale, DI NATURA VIOLENTA. Un confronto complicato tra due opere, due personaggi, due scelte estreme, simili ma non convergenti: Henry David Thoreau e Theodore Kaczynski (aka: Unabomber) ed il loro isolarsi nella natura selvaggia, abbandonare le prese sicure, chiamarsi fuori e mettersi in gioco in prima persona nella solitudine e nell’autonomia.

Quello che più ci ha affascinato e che è rimasto come suggestione profonda nel DISCO è questo loro necessità di fare esperienza in prima persona, senza freni, senza filtri, senza sconti. Abbiamo invidiato profondamente quella radicalità, le esperienze totalizzanti, estreme, incoscienti. DI NATURA VIOLENTA è stato inoltre un banco di prova per questo gruppo di lavoro, con Marcello Batelli a crearne le musiche e Alberto Merlin le grafiche video. Un’esperienza vissuta in totale condivisione, che ha permesso a tutti di sentire poi COSMESI FA UN DISCO come la più naturale delle evoluzioni pazze.

Cosmesi Fa Un Live © Roberta Segata
Cosmesi Fa Un Live © Roberta Segata

CS: COSMESI FA UN DISCO / COSMESI FA UN LIVE: sia il nome del vostro duo associato all’atto pratico del “fare un disco” / “fare un live” sia un gioco di parole, un’alterazione di “come si fa”… tutto è una macchinazione.

E: …e poi Cosmesi fa un video, Cosmesi fa una presentazione, Cosmesi fa un party, Cosmesi fa un dj set e perché no, Cosmesi fa un libro, Cosmesi fa una barca, Cosmesi fa una marca di scarpe, Cosmesi fa un orto, Cosmesi fa un attentato…
Questo progetto è nato ad Atene, dopo aver presentato il nostro spettacolo al MIR Festival siamo usciti nella città a cercare un locale, per bere e per ballare. E ci siamo infilati in un clubbino, un posto stretto e lungo nascosto dietro grosse porte, con una bella musica e pieno di gente. Quando ci avviciniamo al bancone per bere capiamo che la giovane donna che prepara i drink è la stessa che mixa i dischi e fa gli scontrini. Una meravigliosa Kali, artefice di tutto, interprete di tutti i ruoli necessari senza soluzione di continuità, un’espressione prismatica del fare nel suo incedere senza stress, senza scatti.

Abbiamo iniziato a discutere tutti e tre (io Nicola e Marcello) sulla condizione del lavoro, del fare in generale, su quello che è continuamente richiesto alle nostre esistenze precarie. Su come io passo tutti i giorni in quella mimesi schizofrenica, in quello scambio di ruoli, su quello che c’è dietro e quello che appare… E di lì alla potenza vertiginosa di trovarsi a fare qualcosa che non si sa fare, interpretare un ruolo senza conoscerlo, preparare un Old Fashioned senza averlo mai fatto.

N: Ciò che sicuramente ci interessa sempre di più non è il cosa stiamo andando a fare, ma il come. Rifiutiamo da sempre le forme di finanziamento ministeriale e simili con le loro oramai parodiche perversioni: le famose finte Enpals, le date di replica fittizie, gli scambi con cachet azzerati, etc. L’autoproduzione per noi è un dogma ed una libertà che implica la volontà di reinvestire tutto partendo da sé e con l’assunzione di rischio in prima persona. Un’attitudine che è una pratica di pensiero: quella dell’uscire dalle zone sicure, dall’avere un qualche orizzonte di rifermento: teatro, arte, musica, scrittura, grafica, design, architettura… Forzarsi ad abbandonare molte cose per strada, il più possibile. Cerchiamo a fatica di trovare un nostro modo di stare assieme, di assecondare i nostri tempi e le esigenze di tutti noi, di dare ascolto alle le nostre priorità anche quando ci paralizzano.
Forzarsi a stare fuori da tutto è un modo per viaggiare leggeri e per essere il più possibile comunque pronti a tutto.

Cosmesi Fa Un Live © Roberta Segata
Cosmesi Fa Un Live © Roberta Segata

CS: COSMESI FA UN LIVE vi ha portati direttamente sul palco: produrre un disco dietro le quinte ed esibirsi dal vivo sono due esperienze differenti. Dichiarate “eseguiremo dal vivo i brani originali creati da noi che non sapremo mai suonare”, eppure sul palco siete efficaci, il pubblico è coinvolto, l’ascolto piacevole, il video clip riuscitissimo. E’ davvero un buon fake, perché non sembra tale!

E: Grazie.

N: E’ l’estremizzazione di quello che è mimesi e travestimento, cose che accadono ma non ci sono. La musica POP ha veramente una vita a sé stante e semplicemente ci siamo divertiti tantissimo. ‘The show must go on’ malgrado noi… Sul palco del LIVE sei fagocitato il dispositivo è potentissimo, ti travolge, ti fa suo. Ci è capitato di incrociare i nostri sguardi quasi intimoriti… Una vera liturgia in cui tutti sanno che parte interpretare.

5 – COSMESI FA UN DISCO/COSMESI FA UN LIVE è una ricerca che dialoga con la musica, un progetto ibrido tra performance e teatro. L’organizzazione del palco era una vera e propria scenografia, un’installazione.

E: La costruzione dello spazio è sempre stata fondamentale nei nostri lavori perché ci interessa, ci accudisce e fa spostare i pensieri tramite la visione. Abbiamo tutti e due una formazione da artisti visivi, lavoriamo dentro il teatro senza davvero conoscerlo, ci occupiamo di invenzioni più che di drammaturgia: e questo ribalta le cose perché il fare e lo scrivere il teatro affiora da visioni altre, diventa una lente di lettura. L’inizio del teatro per noi è la modificazione dell’ambiente attorno, la costruzione di un posto da abitare, il contesto in cui agire: e questo è un gioco che potrebbe non avere fine. E? indispensabile perché quasi sempre i luoghi di lavoro sono ricavati da altre sale e altri contesti: detesto fare le prove con i neon, vedere un corpo che cammina in uno spazio con uno sfondo trascurato, la sciatteria dell’accoglienza. (anche nei sottoscala umidi dove ci capita di stare)

N: Ciò che ci ha interessati fin da subito era pensare di entrare sul palco mettendo ordine a modo nostro tra la dotazione tecnica di un live: in parte per la necessità di dover far suonare due scimmie ammaestrate quali noi siamo; in parte perché il palco è realmente la nostra scenografia e tutti i dettagli per noi hanno un senso preciso: gli oggetti non sono semplicemente una rappresentazione, ma anche si fanno rappresentazione.
Ci siamo imposti di adattarci alle dotazioni standard da concerto e con Sarah Chiarcos di usare alcune delle convenzioni per le luci a nostro vantaggio, che hanno garantito un’enfasi fortemente teatrale al concerto.