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Presunte verità | Una riflessione sul reportage

Se le tue fotografie non sono buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino. Merito o colpa, anche il più autorevole contributo al fotogiornalismo contemporaneo è debitore dell’esperienza di Robert Capa, tanto che la continua urgenza di retrospettive a lui dedicate è legittimata dai diversi dibattiti sul fotoreportage inaugurati con il suo Miliziano colpito a […]

Robert Capa, Death of a loyalist militianman, Cordoba front, early september 1936 - Courtesy Magnum Photos
Robert Capa, Death of a loyalist militianman, Cordoba front, early september 1936 – Courtesy Magnum Photos

Se le tue fotografie non sono buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino. Merito o colpa, anche il più autorevole contributo al fotogiornalismo contemporaneo è debitore dell’esperienza di Robert Capa, tanto che la continua urgenza di retrospettive a lui dedicate è legittimata dai diversi dibattiti sul fotoreportage inaugurati con il suo Miliziano colpito a morte (1936). Da allora verità e onestà dell’immagine, soggettività del fotografo e pericolosità del mestiere si sono distinti come prerequisiti della disciplina, in molti casi costruendo l’artisticità del loro autore. Uno scarto, quello tra reportage e arte, colmato settant’anni fa anche dalla nascita di Magnum Photos, la cui missione ha abbinato la diffusione dei più grandi documenti visivi della storia del Novecento al perfetto virtuosismo nella costruzione delle immagini. Soffermarsi perciò sui dibattiti in merito al valore artistico della fotografia, ha il sapore di una polemica sorpassata.
Ad esser più precisi, però, una genesi è rintracciabile: le immagini iconiche di quei maestri avevano il ruolo cronachistico e informativo delle grandi inchieste, spesso pensate e commissionate per le riviste di settore. Non si trattava, nella maggioranza dei casi, di deliberati atti artistici – cui sono facilmente ricondotti per l’incredibile perfezione compositiva, per le complesse regole di sviluppo ovviamente analogiche o per la forza degli eventi e scenari che raccontano -, ma di potenti immagini mediali.
Infatti la traduzione visiva della notizia permetteva – e lo fa oggi più che mai – la potenziata diffusione della stessa, mentre la sua componente iconica ne accresceva il grado di incisione nella memoria dello spettatore. Così l’immagine diventava mediale nel momento in cui la lontananza dall’evento veniva convertita in vicinanza e il pubblico in testimone, a prescindere dalla sua presenza. Che forse è anche l’altra interpretazione del celebre mantra di Bob Capa e dell’ossessione per l’essere closer – più vicino -, facilmente ereditata dalla Magnum: la prossimità della camera non è solo una necessità spaziale ma una conseguenza figurata, in grado di interpretare la posizione emotiva del fotografo e stimolare quella del suo pubblico.

Robert Capa, People on street lined with ruined buildings, Berlin, August 1945 - Courtesy Magnum Photos
Robert Capa, People on street lined with ruined buildings, Berlin, August 1945 – Courtesy Magnum Photos

Questa operazione di vicinanza è complice di una necessità narrativa, e la fotografia del reportage la interpreta abbinando il valore documentale al racconto. Se infatti l’onestà è cosa importante dall’era del fotoritocco, qualsiasi verità è presunta di fronte alla narrazione. Che la caduta nel miliziano spagnolo sia stata immortalata in presa diretta o inscenata in uno sperduto angolo dell’Andalusia, poco importa. E’ certo piuttosto che l’immagine sia divenuta l’icona della Guerra Civile Spagnola e sia stata espressione dell’opinione del suo autore su un evento, al pari di un testo scritto ma con la potenza esasperata del visivo. Che lo sguardo potente di Bischof sull’India dipenda da un’ottima regia o rispecchi uno spiccato intuito per il momento decisivo, è ininfluente. Ciò che importa è la riflessione sui soggetti, lo sguardo di accesso alle diversità etniche e geopolitiche di un paese in rotta di sviluppo.
Dunque a prescindere dalle varie querelle sulle manipolazioni delle immagini, perlopiù risolte a favore della loro verità, è un fatto che Robert Capa sia stato “il più grande fotografo di guerra al mondo”, così come a Bischof andrà il merito di aver voluto documentare l’uscita dalle macerie.
La maggioranza degli scatti esposti a Bassano, sotto la cura di Chiara Casarin e Denis Curti, rispecchia una selezione sul materiale operata da Richard Whelan (maggior biografo di Capa) e indaga quella componente sensibile della cruda realtà: dalle autentiche immagini della guerra mondiale a quelle della distruzione post-bellica, dai ritratti della sofferenza corale all’orrore nel volto di un bambino. Qui risiede l’immortalità dell’occhio di Capa, nel registrare il conflitto abbattendo la differenza geografica e raccontandolo con la forza della commistione emotiva e tecnica; e pure dove la giustificata mancanza di quest’ultima enfatizza l’angoscia dello sbarco in Normandia, l’artisticità prende il sopravvento e la sfocatura è un ottimo vantaggio estetico.

Quando la caccia ai fatti deve essere il più possibile reale, allora il viaggio è addirittura il mezzo per la verità. Ecco l’immagine chiara di un altro approccio al mezzo fotografico: la poesia visiva che non potrebbe essere altrove se non nelle radici del fatto, della cronaca. Della guerra Bischof aveva visto la ricostruzione, ne aveva abbandonato gli inutili sensazionalismi per cogliere l’essenza e la normalità delle persone, ne aveva indagato la componente sociale.
Così le duecentocinquanta foto ordinate dal figlio a Venezia raccontano i viaggi di un grande maestro, propongono uno sguardo etnografico su un mondo in cui la caccia all’esotico è ancora materia inedita, riportano l’attenzione sul momento irripetibile della composizione perfetta.
Comunque, che si tratti di agghiaccianti immagini di cronaca o di raffinate immagini etnografiche, l’accostamento delle due mostre non è solo il merito di un bel lavoro coordinato tra istituzioni venete. Piuttosto è anche l’allusione motivata da sfortunati intrecci storici: morti a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, i due reporter – chissà se accetterebbero oggi il titolo – hanno rappresentato, come molti altri colleghi di agenzia, quella ibrida congiunzione tra documento e arte, arte e vita.

Robert Capa. Retrospective
Musei Civici Bassano del Grappa
a cura di Chiara Casarin e Denis Curti
sino al 22.01.2018

Werner Bischof. Fotografie 1934-1954
Casa dei Tre Oci, Venezia
a cura di Marco Bischof
sino al 25.02.2018

Robert Capa, US troops assault Omaha Beach during the D day landings, normandy, france, june 6 - courtesy Magnum Photos
Robert Capa, US troops assault Omaha Beach during the D day landings, normandy, france, june 6 – courtesy Magnum Photos
Robert Capa, US troops assault Omaha Beach during the D day landings, normandy, france, june 6 - courtesy Magnum Photos 2
Robert Capa, US troops assault Omaha Beach during the D day landings, normandy, france, june 6 – courtesy Magnum Photos 2
Werner Bischof, Courtyard of the Maiji shrine, Tokyo, Japan, 1951 - Courtesy Magnum Photos
Werner Bischof, Courtyard of the Maiji shrine, Tokyo, Japan, 1951 – Courtesy Magnum Photos
Werner Bischof, Italy, 1946 - Courtesy Magnum Photos
Werner Bischof, Italy, 1946 – Courtesy Magnum Photos
Werner Bischof, Cambodia, 1952 - courtesy Magnum Photos
Werner Bischof, Cambodia, 1952 – courtesy Magnum Photos