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Con le mostre PER SEMPRE e Amanti, Giovanni Copelli prosegue la saga dell’amore e del mito, giocando con il falso archeologico, mescolando e sovrapponendo i contenuti della cultura alta e della cultura popolare in un gioco ironico e beffardo, fatto di travestimenti di residui mitici e riscrittura della memoria. Giovanni Copelli orchestra abilmente lo scambio di informazioni tra il passato e il presente, utilizzando le risorse del nostro archivio culturale, nel tentativo di individuare delle “immagini simboliche”, per offrire delle chiavi di lettura fatte appunto di nuovi personaggi, metafore e archetipi narrativi. Con PER SEMPRE l’interno di Edicola Radetzky viene trasformato nella vetrina di un museo archeologico, dove è esposta una coppia di mummie: due figure immobili nel loro bizzarro decesso, testimonianza di una conclusione mai arrivata. Con la mostra Amanti, invece, trasforma le sale di Operativa Arte Contemporanea in quelle di un museo immaginario, approfondendo la relazione mitologica-leggendaria degli amanti Marte e Venere, in un confronto con la tradizione filosofica neoplatonica rinascimentale, che vede nell’unione amorosa delle due divinità romane la capacità di risolvere le due forze antagoniste in un circolo bilanciato e armonico.
Simona Squadrito: Nel mese di ottobre hai presentato ben due progetti personali: a Milano l’opera PER SEMPRE, inserita all’interno di Edicola Radetzky e a Roma, la mostra Amanti presso Operativa Arte Contemporanea. Questi due progetti espositivi sono l’uno il pendant dell’altro, mi puoi raccontare in che modo si relazionano tra loro?
Giovanni Copelli: Amanti è una mostra a cui ho dedicato moltissima ricerca, a cui ho lavorato per circa un anno, è una mostra molto elaborata, in tutti i sensi. PER SEMPRE è una specie di spin-off di questa mostra ma è anche il risultato dell’elaborazione di un’idea molto rapida che avevo avuto già prima di dedicarmi al progetto romano. Era già da molto tempo che volevo lavorare con l’immagine della mummia. A livello narrativo le due mostre sono legate, in quanto entrambe presentano lavori che suggeriscono dei ritrovamenti archeologici. Tutti e due i progetti presentano oggetti che potrebbero provenire dallo stesso luogo. Amanti mostra l’apparato decorativo di un sito archeologico ipotetico, mentre PER SEMPRE fa riferimento, in senso letterale, a dei resti umani. Il tema degli amanti è il soggetto di entrambe le mostre, solo che nel caso di Amanti il tema è rappresentato nella forma del mito: una storia leggendaria il cui sviluppo è ricostruibile attraverso una serie di artefatti, mentre nel caso di PER SEMPRE, gli amanti sono rappresentati attraverso i corpi di due “veri” amanti mummificati e bloccati in un abbraccio eterno.
SS: La rivisitazione in chiave contemporanea del mito, le tematiche legate all’amore e alla sessualità sono soggetto della tua ricerca e poetica, vorresti parlarmene?
GC: Più che pensare alla rivisitazione del mito preferisco pensare nei termini di rivisitazione delle immagini. Preferisco porre la questione in questo modo perché mi aiuta a far comprendere meglio qual’è il mio punto di partenza. In Italia siamo sommersi da reperti e immagini che arrivano dal passato, e uno dei bisogni che motiva il mio lavoro è trovare un senso personale a questo materiale. Il mito greco-romano, che storicamente ha trovato così tanto spazio nel nostro immaginario collettivo, ha trovato necessariamente spazio anche nel mio immaginario, e quindi me ne servo. Ma è accaduto lo stesso anche con altri tipi di stimoli culturali, così che a volte non so dire con certezza quale immaginario o cultura attragga di più la mia attenzione, tant’è che il mio lavoro si presenta piuttosto eterogeneo. In questo confronto entrano in gioco gli interessi strettamente personali: le fascinazioni, le ossessioni, le mie particolari fantasie si riflettono in certe immagini che trovo, e questo fa si che io mi appropri di alcune immagini piuttosto che di altre.
L’amore e la sessualità mi interessano perché mi interessa l’essere umano. Volendo rispondere al bisogno di rappresentare l’umano mi sono posto il problema di rappresentare anche l’amore e il sesso, ma le cose stanno evolvendo piuttosto rapidamente. Se inizialmente ho cercato un argomento preciso, come ad esempio quello dell’amore, ora mi rendo conto di volermi confrontare con qualcosa dai confini più ampi. Nel mio caso penso si possa parlare di dare vita a dei personaggi o maschere complementari che incarnano certi tratti dell’uomo o che fanno riferimento a certi momenti topici della vita.
Non c’è amore senza odio e guerra, non c’è vita senza morte e così via, tutti questi temi sono collegati. Il mito è la forma teatrale attraverso cui questi temi trovano una rappresentazione, e semplificando al massimo posso dire che qualsiasi forma artistica è in sé mitologica.
SS: Ho notato come ci sia stato nella tua ricerca un importante cambiamento, una svolta, mi riferisco in particolar modo all’approccio ai materiali. Per farti un esempio concreto: se per la mostra L’amore vince tutto hai utilizzato soprattutto materiali come la plastica, la vernice spray o il polistirolo, nelle ultime due mostre, sia quella milanese che quella romana, hai preferito utilizzare materiali più “tradizionali”, come la tempera all’uovo e il gesso. Cosa ha influito questo cambiamento? In che relazione si pone la scelta dei materiali rispetto alla tua ricerca ?
Giovanni Copelli: A Dimora Artica ho presentato una scenografia totalmente composta di materiali economici o riciclati e perlopiù artificiali. Finita la mostra mi sono trovato con tutto questo polistirolo, plastica e cartapesta che erano fondamentalmente inutilizzabili. Ho così deciso di cambiare materiali e ho cominciato a usare il gesso, i pigmenti puri e la canapa. Ho iniziato a utilizzare la tempera all’uovo per un’esigenza pratica: cercavo una tecnica all’acqua che mi consentisse di ottenere una pittura più grafica, più vicina al disegno e alla resa della pittura murale.
La scelta dei pigmenti da me utilizzati è diventata man mano anch’essa un aspetto della narrativa legata alle due mostre. Volendo riprendere il tema alchemico ho deciso di rappresentare le due figure di Marte e Venere anche attraverso gli elementi che essi rappresentano, che sono rispettivamente quelli del ferro e del rame. I rossi, i gialli e i bruni da me utilizzati sono ossidi di ferro, mentre i verdi e i blu sono ossidi di rame.
SS: Dopo questi progetti pensi di proseguire la tua ricerca sui temi legati all’amore e alla sessualità, o hai in cantiere un altro progetto, nuovi interessi?
GC: Il fatto che io lavori con delle maschere fa sì che la narrazione che filtra attraverso il lavoro possa cambiare facilmente registro. La mostra di Roma ha come protagonisti Venere e Marte interpretati in un certo modo; in un prossimo progetto so che queste maschere diranno facilmente qualcos’altro. Non posso dire che abbandonerò il tema dell’amore e della sessualità perché mi rendo conto che i temi rimangono sempre in qualche modo trasversali, magari può cambiare l’accento, la caratterizzazione dei personaggi. In questo momento so che vorrei portare avanti un aspetto un po’ più oscuro della mia narrazione, e approfondire una ricerca sui nostri lati caratteriali più bestiali e primordiali, come ad esempio la violenza.
SS: Come tu stesso hai dichiarato, la tua ricerca si caratterizza anche attraverso l’uso di tecniche e linguaggi abbastanza eterogenei. Vorrei chiederti come pensi che sia la relazione tra la tua ricerca pittorica e quella prettamente scultorea e plastica?
GC: Non sento una grande distinzione tra lavoro pittorico e lavoro plastico, o meglio le sculture che realizzo le vedo come una continuazione della pittura e viceversa. La pittura e la scultura per me formano un apparato unitario, un’architettura. I miei quadri singoli e le mie sculture singole li vedo come degli studi o dei frammenti da inquadrare all’interno di un ambiente che è capace di restituire una visione d’insieme: un’unica scena.