ATP DIARY

Castello di Carini, Palermo — Intervista con i curatori

[nemus_slider id=”68116″] — Sabato 15 luglio è stato inaugurato un nuovo centro d’arte contemporanea il Castello La Grua Talamanca di Carini (Palermo). Il nome del luogo è Moon, e si instaura in un edificio simbolo della comunità del luogo, che viene valorizzato e rinnovato con la nuova linea data dal linguaggio del contemporaneo. A dare il via alle danze […]

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Sabato 15 luglio è stato inaugurato un nuovo centro d’arte contemporanea il Castello La Grua Talamanca di Carini (Palermo). Il nome del luogo è Moon, e si instaura in un edificio simbolo della comunità del luogo, che viene valorizzato e rinnovato con la nuova linea data dal linguaggio del contemporaneo. A dare il via alle danze sono tre mostre personali, in corso fino al 15 settembre, rispettivamente di Gianni Politi, Campostabile e Stefania Zocco e Mary Zygouri. I lavori sono stati realizzati ad hoc per il luogo, volendo trasformare e rileggere gli spazi assegnati. “Il Castello, interamente restaurato negli spazi interni ed esterni, si trasforma quindi in spazio espositivo, ma anche in una piattaforma di lavoro che vedrà nel pensiero e nell’operatività artistica il campo di applicazione per l’avvio di un percorso di rilettura della storia e di presa d’atto delle potenzialità di intervento nel presente”.

Questo progetto è a cura di Daniela Bigi, Giuseppe Buzzotta e Gabriella Ciancimino, a cui ATPdiary ha posto le domande che seguono.

ATP: Al Castello di Carini (Palermo) è nato il nuovo centro per l’arte contemporanea MOON. Come mai questo nome e in questo luogo? Come nasce?

Giuseppe Buzzotta, Daniela Bigi, Gabriella Ciancimino: Nasce da un’idea di Giuseppe, che vivendo e lavorando in studio da circa un decennio in questo territorio, ha avuto la possibilità di indagare l’enorme bellezza e il potenziale che vi sono nascosti.
Il Comune di Carini ha deciso di rilanciare questo territorio dopo anni difficili, e attraverso varie call ha cercato di avvicinare progettualità come la nostra, che fortunatamente è stata scelta per la gestione del Castello con una programmazione ambiziosa.
Abbiamo a lungo lavorato a questo progetto, che ha una natura istituzionale, per via della partnership col Comune e con altri compagni di viaggio, come l’Accademia di Palermo o il Made Program di Siracusa, ma è anche pensato come luogo per la ricerca indipendente e libera nel contemporaneo. Il nostro obiettivo è quello di riuscire a influenzare la comunità che ci ospita, senza imporre alcunché, piuttosto scambiando le esperienze con la cittadinanza. Da questo il nome Moon, dal modo di agire della luna sulla vita nel nostro pianeta.

ATP: In occasione della mostra ora in corso, lo spazio del Castello è stato diviso in tre luoghi diversi in cui verranno esposte le opere degli artisti Gianni Politi; Campostabile e Stefania Zocco; l’artista greca Mary Zygouri. Perché avete deciso di dedicare agli artisti mostre personali e non una grande collettiva?

GB, DB, GC: Il Castello ha una superficie calpestabile molto vasta, offre spazi di varia natura, più affascinanti, più nascosti, più difficili, più ufficiali, più regolari, più segnati e così via.
Per questo primo progetto abbiamo scelto di utilizzare alcune sale del piano terra e del primo piano; ci piacerebbe, di volta in volta, individuare gli ambienti più confacenti al lavoro degli artisti che inviteremo, esplorando, progressivamente, le tante possibilità offerte dall’edificio.
Inaugurare con una grande collettiva non ci avrebbe permesso di rendere leggibile la visione che abbiamo in mente, ci avrebbe costretti a un tema, a una logica interna nell’individuazione degli artisti e avrebbe limitato gli spazi da poter dedicare a ciascuno.
Quello che ci premeva era invece procedere con grande libertà negli inviti e nelle modalità di lavoro da adottare con ciascuno, ci interessava proporre degli approfondimenti, volevamo offrire agli artisti uno spazio espositivo ampio. Per Politi e per Zigoury ci è sembrata perfetta la dimensione della personale, di un discorso chiuso, autosufficiente, inteso come sperimentazione per l’uno e come focus per l’altra.
Nel caso di Campostabile e Zocco ci è parso giusto procedere con una doppia personale organizzata secondo un percorso lineare tra le sale. Ci interessava poter attivare un dialogo a una distanza ravvicinata, un parlarsi delle opere senza che le une interferissero sulle altre. A ciascuno il proprio spazio di concentrazione, di progettazione, di visione. Al visitatore il compito di mettere in dialogo i lavori, di rintracciare il filo conduttore.

Gianni Politi, Vussurìa Installation view - Castello di Carini, Palermo - Photo Courtesy Alessandro Di giugno
Gianni Politi, Vussurìa Installation view – Castello di Carini, Palermo – Photo Courtesy Alessandro Di giugno

ATP: Invece, quali sono le ragioni che vi hanno portato a scegliere questi artisti per inaugurare questo nuovo polo dell’arte contemporanea? 

GB, DB, GC: Abbiamo voluto dare un primo spaccato delle direzioni di lavoro che intraprenderemo. Gli artisti invitati hanno interessi differenti, e quindi processi di lavoro ed esiti formali molto distanti. Rappresentano ambiti della ricerca artistica contemporanea che spesso non entrano in contatto, afferiscono a circuiti che di solito non dialogano tra loro. A noi interessa muoverci tra queste differenze, svincolarci dai percorsi obbligati, deduttivi, imbalsamati. Siamo un centro indipendente dentro una cornice istituzionale. Ci piace ragionare a partire da alcune asimmetrie, alcuni gap, rispetto ad un sistema che tende ad irreggimentare il fare e a rendere impermeabili i percorsi di esperienza dell’arte.
A Carini al momento abbiamo un pubblico che viene da Palermo, un pubblico legato al turismo internazionale e un pubblico locale. Siamo intenzionati a intrecciare questi pubblici e ad offrire una prospettiva dell’arte composita, che dalle specificità espresse dal territorio (ovvero una Palermo sempre più vivace e credibile) abbracci le riflessioni che emergono dalla scena internazionale, facendo perno sul contesto europeo. Mettendo insieme riflessione politica e processualità del fare artistico. Ci sembra necessario indagare, valorizzare ma anche catalizzare il potenziale dell’arte in modo aperto a partire da un contesto sociale dato.

ATP: “Immaginandosi artigiano di corte, l’artista ha creato quattro oggetti decorativi e funzionali come delle ipotetiche tende. In una sorta di elogio manieristico al tempo umano, queste tende sono dipinte secondo le tematiche delle quattro stagioni e la loro cromatica” (da CS). Mi spieghereste questa frase? Come si relaziona la pittura di Politi agli affreschi della sala in cui è esposta?

GB, DB, GC: Le opere di Politi, grandi tele (3,5 x 2 m) che Gianni ha voluto immaginare come preziose tende dipinte per l’appartamento del piano nobile del Castello, danno vita ad un percorso tra le sale che cromaticamente rimanda al susseguirsi delle stagioni. Ciascuna delle sale, oltre che dagli affreschi, è caratterizzata da una grande apertura che dialoga con il paesaggio secondo orientamenti cardinali differenti, e gli affreschi, come vuole la tradizione, offrono numerosi inserti paesaggistici quando non sono addirittura del tutto incentrati sul canonico dialogo spazio interno / spazio esterno.
L’astratto ma cromaticamente credibile rimando al susseguirsi delle stagioni porta quasi tautologicamente con sé una riflessione sul tempo. Un tempo lontano ma ciclicamente sempre uguale che intesse e lega diacronicamente le esistenze dei singoli ma anche un tempo dell’arte, che vive invece di fratture, di strappi, di ricomposizioni in assetti ogni volta differenti, ogni volta riconquistati. Tempo della natura e tempo della storia avrebbe detto uno dei più stimati storici dell’arte del nostro Novecento.
E certo la coniugazione di un tempo individuale con un tempo collettivo, per non parlare poi di un tempo universale, rimane questione necessariamente sempre aperta e riscrivibile.
Le grandi tende solo collocate, imponenti, nel mezzo delle sale, fungendo ora da perno ora da quinta a seconda del varco dal quale si accede ai singoli ambienti. Delle lacerazioni significative delle tele portano via, in ciascuno dei lavori, il colore dominante della stagione precedente, parlano di una mancanza, di una sottrazione all’immediatezza della percezione; solo la memoria, o lo spostamento fisico tra le sale, permette di ricostituire la totalità della visione. Ma quegli strappi funzionano al contempo anche come inquadratura, rendono possibile un attraversamento dello sguardo, sovrappongono in una sola immagine alcuni brani della decorazione muraria con la trama pittorica di ogni tela. Una sovrapposizione che fa scattare un meccanismo di ricomposizione, come accade da tempo nel lavoro di Politi. Questa volta, però, non vi si assiste dalla bidimensionalità fissa del quadro ma dalla tridimensionalità accidentalmente mutevole di uno spazio affrescato in un altro tempo.

Campostabile, installation view - Castello di Carini, Palermo - Photo Courtesy Alessandro Di giugno
Campostabile, installation view – Castello di Carini, Palermo – Photo Courtesy Alessandro Di giugno

ATP: Invece, Mary Zygouri proporrà tre video di tre diverse performance: Symbiosis (2007), La Decadenza (2008), Bath of Constitution. Ci parlate di questi lavori? Che ruolo hanno l’allegoria e la site-specificness in essi?

GB, DB, GC: Mary Zygouri applica il concetto di site-specificness alle sue performance, per le quali coinvolge attivamente il pubblico. È il pubblico che cambia di volta in volta a rendere “site-specific” le azioni collettive. L’artista ritiene se stessa regista e il pubblico coautore.
L’attitudine all’allegoria è propria del suo linguaggio, è una caratteristica che probabilmente deriva dalle sue radici geografiche e quindi anche dal continuo confronto con il Mito.
Attraverso le similitudini, i livelli e i sottolivelli verbali, gestuali e visivi Mary affronta tematiche non ancora esaurite, principalmente il rapporto con l’Altro, la comunicazione, la compenetrazione e lo scambio tra diverse individualità che costituiscono differenti comunità.
Per Allegorical Humanities abbiamo scelto 3 video che a nostro avviso possono essere considerati un ottimo esempio del processo analitico e circolare che, secondo l’artista,  contraddistingue il rapporto tra essere umano e potere.
L’allegoria di Symbiosis (2007) si riferisce alla reazione al potere presistente e all’impegno collettivo a sovvertirlo proponendo nuovi diritti e doveri. Ne La Decadenza (2008) questo nuovo potere – frutto di rivolta – diviene decadente perché divenuto tirannico. In Bath of Constitution (2015) l’allegoria sottintende il ritorno al pathos umano come reazione alla repressione e alla sudditanza.

ATP: La terza mostra, invece, vede un dialogo tra il duo CAMPOSTABILE e Stefania Zocco. Perché in questo caso avete fatto comunicare due personalità diverse? Come si struttura la mostra?

GB, DB, GC: Abbiamo pensato a questa mostra come alla prima tappa di una indagine sulla scena siciliana, e abbiamo deciso di partire da figure emerse negli ultimi anni. Ci piaceva l’idea che ciascuno avesse un ampio spazio a disposizione per realizzare delle opere significative, per confrontarsi con un sito difficile ma anche generoso. Ci è sembrato che la modalità della doppia personale potesse essere una giusta via soprattutto per i più giovani, perché permette di offrire un approfondimento sulle singole poetiche ma anche una prospettiva che, attraverso il confronto, raggiunge una sintesi tra posizioni differenti ma che attingono ad un orizzonte di pensiero condiviso.
Il percorso espositivo si snoda lungo 5 ambienti di ampiezza e caratteristiche differenti, ed è accessibile dai due estremi. Abbiamo pensato di collocare alle due estremità le installazioni scultoree di Campostabile, che hanno lavorato su macro e microscala in funzione dei due spazi ad apertura e chiusura della mostra. Sculture che giocano in un equilibrio molto precario ma convincente tra bidimensionalità e tridimensionalità, tra cromie accese di collages digitali (pattern costituiti da giustapposizioni di particolari di tessuti e abiti di moda) e monocromaticità di materiali/supporti (argilla e gesso modellati a mano), tra virtuosismo dell’artificio tecnico-industriale e radicalità del pensare e costruire artigianale.
Nel cuore del percorso, abbracciato dalle forme impattanti dei Campostabile, abbiamo individuato uno spazio silenzioso, articolato, protetto, che fosse adatto ad accogliere la pratica del disegno a matita su muro di Stefania Zocco. Tre ambienti piccoli e suggestivi in cui l’artista ha lavorato immaginando l’affioramento di muffe di varia origine, con configurazioni formali e cromatiche inattese. Una trama di segni fitti e di lacune che rende visibili alcuni immaginari ma plausibili processi di alterazione di quei materiali che, in varie epoche e su vari strati, hanno coperto i muri originari del Castello durante ristrutturazioni e restauri. Attraverso quelle muffe sembrano parlare le strutture originarie, che cercano un respiro, dichiarando una inesausta vitalità.

Mary Zygouri, Allegorical Humanities, 2017 - Installation view - Castello di Carini, Palermo - Photo Courtesy Alessandro Di giugno
Mary Zygouri, Allegorical Humanities, 2017 – Installation view – Castello di Carini, Palermo – Photo Courtesy Alessandro Di giugno