[nemus_slider id=”63708″]
ATRII è un’indagine collettiva che indaga, attraverso l’arte contemporanea, il concetto di atrio o androne da un punto di vista processuale e teorico. L’Archivio dei progetti si trova presso la Cittadella degli Archivi di Milano (Archivio Civico del Comune).
Tra gli artisti coinvolti: Gruppo A12, Rebecca Agnes, Davide Allieri, Alex Bellan, Valentina Bonizzi, Casali + Roubini, John Cascone, Umberto Chiodi, Nina Fiocco, Francesco Marilungo, Stefania Migliorati, Gianni Moretti, Fabrizio Perghem, Alice Pedroletti, Serena Porrati, Lucia Veronesi.
Di seguito alcune domande ad Alice Pedroletti, organizzatrice del progetto –
ATP: Come mai hai deciso di focalizzarti su una zona del quotidiano (l’atrio) a cui siamo talmente abituati da non darne quasi mai importanza emotiva? Mi daresti una tua definizione di questo spazio dell’abitare, in base a come lo percepisci tu?
Alice Pedroletti: Gli spazi su cui lavoriamo, gli atrii, sono spazi fisici ma anche in fondo spazi mentali, che si prestano quindi ad una ricerca artistica. Spazi ambigui dove a volte non c’è nulla se non la rampa delle scale. Zone di confine tra pubblico e privato dove l’architettura si svela e protegge allo stesso tempo. Sono diffusi ovunque, conosciuti, spesso liberi e potenzialmente gratuiti. Luoghi che tutti viviamo costantemente, restandone spesso affascinati o disturbati: le luci, le forme, gli odori, i colori. Luoghi in cui un artista si può – e per noi si deve – misurare con il concetto di relazione.
Sono luoghi della collettività.
Per me è quel luogo che ti meraviglia sempre. Ho iniziato a lavorarci con la fotografia e poi in senso più teorico, valutandone potenzialità e funzionalità; ho poi esteso il mio interesse, come dialogo, ad altri artisti.
Usato principalmente come attraversamento, l’atrio è uno spazio-attore perché mostra e dimostra lo status reale, o ipotetico, di chi vive, lavora e abita nel palazzo. E’ come una prima stanza della casa di ognuno di noi: ne possediamo un pezzo che ci mette in relazione all’altro, anche se la percezione della relazione, passando da un rapporto economico e spesso invisibile, è dimenticata.
E poi alla mia casa-studio si accede da un atrio e il Gruppo A12 ha il suo archivio in una portineria di un atrio. Come si dice? Nulla è mai a caso.
ATP: Mi spiegheresti precisamente in cosa consiste ATRII / Sezione Piani?
A.P.: ATRII / Sezione Piani, è un progetto ad inviti che raccoglie in un archivio fisico e digitale le idee di artisti che lavorano sullo spazio dell’atrio (o androne). È quindi un contenitore di progetti, tutti realizzabili, destinati ad un atrio o a più atrii di qualsiasi città. La modalità di lavoro è quella del Collettivo. Vengono proposte e valutate delle idee e ci si muove per attivarle rispettando il lavoro individuale di ogni artista. La visione è condivisa e si manifesta nell’esigenza di un dialogo con il territorio, con le istituzioni e il pubblico, che si trasforma in una committenza e quindi nel riconoscimento del nostro lavoro come tale. Non lavoriamo con curatori per scelta.
È stata una mia proposta progettuale che con il primo gruppo di artisti ha funzionato e che abbiamo quindi deciso di mantenere; è una questione di parità all’interno del gruppo, ma anche parte di una pratica collettiva in cui gli artisti si insegnano a vicenda una modalità di lavoro.
ATP: Come affronti gli eventuali problemi o disaccordi che possono nascere all’interno di un luogo pubblico e “democratico” come quello di un atrio, in cui a fruire dell’opera sono più individui che con essa dovranno entrare in contatto giornalmente e senza possibilità di scelta?
A.P.: In realtà è semplice anche se appare come utopico: i progetti possono essere realizzati solo in caso di consenso generale da parte dei condomini. Non mediamo noi le discussioni per ottenerlo, a meno che non sia parte del processo di attivazione dell’opera, perché rifiutiamo l’idea di imporre l’Arte all’interno di spazi così delicati come gli atrii. Nel Pubblico troppo spesso i cittadini subiscono l’Arte (e l’Architettura), mentre la funzione culturale di un’Opera dovrebbe esistere a prescindere. Se in ogni atrio fosse realizzato un progetto, le città diventerebbero musei a cielo aperto e l’arricchimento culturale, a prescindere dal gusto di ognuno di noi, sarebbe talmente variegato da innescare un processo di coscienza critica incredibile. Se i Comuni stimolassero questo processo i cittadini si sentirebbero meno governati e più partecipi e gli artisti avrebbero un ruolo e un riconoscimento a prescindere dalla moda del momento. La legge del 2%, che riguarda l’obbligo di “abbellimenti artistici” e che più volte è stata rimaneggiata dal 1942, avrebbe dovuto tutelare questa possibilità, mentre l’ha spesso complicata. Come facile immaginare la burocrazia crea un eccessivo controllo soprattutto quando il vincolo è legato alle questioni economiche. Sarebbe più facile dare piccoli incentivi sulla base di un reale preventivo e lasciar scegliere ai cittadini, o non partecipare proprio se poi tanto è tutto basato su gare, commissioni e investimenti inaccessibili o imposte nella maggior parte dei casi.
ATP: Se penso ad un’opera adatta ad essere esposta in un atrio, mi viene in mente un lavoro concettualmente in linea con le peculiarità di questo luogo e non qualcosa che sia aggressivo o disturbante. Non è per nulla semplice a mio avviso trovare lavori capaci di essere posti in questo contesto e di dialogare attivamente ma democraticamente con tutti i fruitori. Mi faresti degli esempi di progetti che potrebbero soddisfare questi requisiti?
A.P.: Noi partiamo da alcune considerazioni che sono alla base del progetto e che sono imprescindibili: la relazione con lo spazio e con gli abitanti che sono i nostri ipotetici committenti. Il rispetto e la considerazione del dove vogliamo agire è uno dei vincoli, l’unico in realtà, che gli artisti sono chiamati a rispettare. Nei mesi precedenti alla prima edizione di Milano ho dialogato a lungo con Ugo La Pietra e il Gruppo A12 sul concetto di privato e pubblico e sul ruolo che un artista, nell’accezione più ampia del termine, può e deve avere.
Per risponderti quindi ti potrei dire che tutti i progetti hanno le caratteristiche di cui parli: alcuni sono poetici e quasi surreali anche se molto concreti nella riflessione che innescano (Nina Fiocco, Fabrizio Perghem), altri più specifici e legati a una certa tipologia di atrii (Umberto Chiodi, Serena Porrati). Altri si legano a temi attuali come i flussi di migrazione che rendono l’Italia atrio dell’Europa (Stefania Migliorati) o a quelle comunità che vivono la propria condizione di “diversi” nella segretezza dei propri appartamenti (Gianni Moretti). Ci sono progetti che indagano il vuoto dell’architettura dell’atrio (Davide Allieri) o che innescano una relazione diretta con lo spazio, anche emotivo, attraverso diversi livelli di fruizione dello stesso (Lucia Veronesi, Gruppo A12). Ci sono poi altri artisti con le loro proposte, ognuno diverso dall’altro: Rebecca Agnes, Valentina Bonizzi, Stefano Cagol, Casali+Roubini, John Cascone e ne ho uno anche io, proprio nell’ottica della parità. Siamo tutti coinvolti nello stesso modo, che si tratti di progettare un’opera o curare uno dei workshop.
ATP: L’Archivio dei progetti si trova presso la Cittadella degli Archivi di Milano. Come si struttura e come mai in questo luogo?
A.P.: La Cittadella degli Archivi di Milano è il polo archivistico del Comune di Milano. Ospita 70.000 metri lineari di archivi informatizzati (Archivio Civico Comunale e fondi Archivistici dell’Amministrazione Comunale) e ciò che riguarda toponomastica e urbanistica. Un luogo unico e incredibile, con documenti a partire dal 1865.
La nostra collaborazione è nata circa due anni fa: un’amica curatrice (Rossella Farinotti, ndr) sapendo della mia pratica legata agli archivi, mi ha presentato Francesco Martelli, Direttore della Cittadella. Francesco mi ha invitato a proporre una ricerca che potesse attivare quel luogo in un modo diverso e nuovo.
Ammetto che la prima cosa che ho fatto è stata cercare mio nonno, che è stato artista e insegnante d’Arte in un liceo Comunale, morto quando ero piccola. Questa cosa mi ha emozionato e fatto riflettere: l’ho trovato perché ha lavorato in un luogo specifico di questa città.
Un archivio del genere è di fondamentale importanza per i cittadini e quindi ho ragionato al suo essere potenzialmente di tutti e a come un artista potesse inserirsi in un contesto così burocratico e politico non in modo individuale, senza strumentalizzarlo o esserne risucchiato.
Perché quindi, non entrare da vivi in un archivio che per definizione conserva la memoria del passato, progettando opere d’arte ancora da realizzare per luoghi specifici che durano nel tempo?
E viste le caratteristiche del luogo ospitante, perché non farlo in forma di gruppo o meglio Collettivo? Il progetto Atrii / Sezione Piani aveva (e ha) le caratteristiche adatte, così l’ho proposto.
Del resto alla Cittadella sono depositati i progetti di tutti gli edifici e dei relativi atrii, perché quindi non partire da quello? Così siamo il primo Archivio vivente ad entrare in un Archivio Istituzionale: un primo piccolo passo per cercare di ristabilire una relazione contemporanea con il territorio dal punto di vista di ruolo. Gli artisti infatti sono da sempre stati coinvolti in commissioni pubbliche e in archivio ci sono documenti che lo raccontano.
La cosa divertente è che quando le Opere saranno realizzate, saremo archiviati nuovamente, come modifiche dei palazzi interessati.
L’Archivio è in costante aggiornamento e la proprietà resta degli artisti che possono scegliere cosa depositare liberamente, a seconda del progetto su cui lavorano. L’unico vincolo è che il materiale sia di dimensioni (appunto) archiviabili. C’è una scheda su cui sono indicati i costi del progetto compreso il fee dell’artista, i materiali, la tipologia di atrio prevista, un titolo e una spiegazione semplice. In aggiunta c’è un testo più completo e i materiali di ricerca. C’è chi lascia piccole sculture, collages, mockup di lavori, ritagli, libri, fotocopie, disegni, prove d’artista. L’Archivio è consultabile previo appuntamento, esattamente come tutto il resto del materiale presente alla Cittadella.
Parallelamente abbiamo un sito che svolge la funzione di Archivio digitale.
ATP: Che progetti avete per il futuro? Come state portando avanti la vostra pratica e i workshop?
A.P.: La modalità con cui ci presentiamo cambia sempre. Lavoriamo con gallerie, Associazioni, Fondazioni, Musei o con privati. L’importante è che venga data la possibilità agli artisti di lavorare liberamente e in gruppo, possibilmente sul territorio ospitante e in dialogo con chi vive i luoghi con cui ci relazioniamo. L’Archivio viene attivato ogni volta, chiamando alcuni artisti a proseguire il progetto, affiancando così i nuovi artisti, condividendo una pratica e un percorso.
Ad aprile saremo a Venezia per un nuovo workshop curato da Lucia Veronesi e in collaborazione con Istituzione Fondazione Bevilacqua La Masa. Gli artisti saranno ospitati a Palazzetto Tito, sede della Fondazione, dove sarà allestito uno spazio di lavoro temporaneo. La tematica che affronteremo è quella dell’atrio veneziano e della sua doppia fruizione terra-acqua. Sarà un workshop di stampo teorico oltre che pratico: io affianco Lucia e seguo gli artisti dell’archivio (Davide Allieri, Stefania Migliorati, Gianni Moretti), mentre lei si sta occupando della ricerca sul territorio, dei seminari e dei nuovi artisti: Giuseppe Abate, Chiara Campanile, Matteo Fato e Andrea Grotto. A maggio invece saremo in Albania, edizione curata con Valentina Bonizzi e l’anno prossimo in Messico, con Nina Fiocco. Stiamo dialogando con altre quattro città italiane oltre a Milano, ovviamente, dove lavoriamo costantemente con gli artisti, il territorio e la Cittadella degli Archivi del Comune.