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Kishio Suga | Hangar Bicocca

[nemus_slider id=”59532″] Kishio Suga è un artista nato a Marioka nel 1944, appartenente al movimento artistico del Mono-ha, corrente di pensiero (letteralmente “Scuola delle cose”) nata tra gli anni ’60 e ’70 in Giappone, come risposta “orientale” ai discorsi e alle ricerche portate avanti in quegli anni dalla Post-Minimal Art, dalla Land Art e dall’Arte […]

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Kishio Suga è un artista nato a Marioka nel 1944, appartenente al movimento artistico del Mono-ha, corrente di pensiero (letteralmente “Scuola delle cose”) nata tra gli anni ’60 e ’70 in Giappone, come risposta “orientale” ai discorsi e alle ricerche portate avanti in quegli anni dalla Post-Minimal Art, dalla Land Art e dall’Arte Povera. Il nome indica l’oggetto primo e principale della ricerca del gruppo di artisti che la costituisce (Enokura Koji, Yoshida Katsuro, Sekine Nobuo, Takayama Noboru, Haraguch, etc.): sondare con spirito critico la percezione che l’uomo ha dei materiali e delle situazioni che lo circondano, capendo come e quando questi perdono pregnanza sull’immaginario delle persone, divenendo scenario abituale privo di significato. Pezzi di legno, corde, cemento, plinti in ferro… tutto assume un valore autentico e intimo se viene distaccato dal contesto consueto in cui solitamente è inserito e reso parte di un’installazione o di una situazione che garantisce l’osservazione critica e consapevole del materiale stesso. Il discorso non verte tanto sul valore ideologico ed estetico dell’opera d’arte, ma sul materiale con cui questa è costituita, che viene selezionato e allestito per diventare oggetto primo della riflessione dello spettatore: il materiale è l’opera d’arte.

Il requisito fondamentale del lavoro di Kishio Suga è quello di tradurre le opere in eloquenti dispositivi capaci di parlare di sé, delle proprie qualità e dello spazio che li circonda. Ne è un esempio Soft concrete, opera costituita da quattro lastre di metallo accostate a formare un rettangolo, sostenute da della ghiaia, ricoperta poi da cemento mescolato ad olio di motore, che impedisce la rapida solidificazione dello stesso (ottenibile dopo più di un anno di posa). Il contrasto tra la verticalità, la rigidezza e la geometria ben definita delle lastre e la morbidezza, l’irregolarità e la malleabilità della colata di cemento è in sé un meccanismo automatico che parla involontariamente del proprio essere: della differenza dei materiali (esaltata dall’uniformità cromatica) che lo compongono, della loro unione in un organismo autonomo, della diversa relazione dei componenti con lo spazio. Suga ci vuole portare a pensare a come tutti gli elementi in natura, anche i più diversi, siano tra loro collegati e comunicanti: “Sebbene esistano diverse classificazioni di questi oggetti, potremmo dire che sono in uno stato di ‘connessione ’fino a formare un insieme di elementi in continuità l’uno con l’altro”. Oppure, è sufficiente prendere in esame Infinite Situation III (door), opera costituita da un’asse di legno posta obliquamente tra i due angoli opposti di una porta dello spazio dell’Hangar, che vuole essere il traslato fisico della funzionalità della porta stessa: dispositivo di collegamento e “frontiera” tra interno ed esterno. L’artista vuole rendere fisici e corporei gli stati delle cose, le loro qualità intrinseche, i meccanismi in cui lo spazio comunica con ciò che lo circonda. Un punto importante del suo pensiero è la considerazione dei rapporti d’equilibrio che regolano e scandiscono l’esistenza delle cose in natura e, soprattutto, le relazioni che queste instaurano vicendevolmente. Diagonal Phase è un’opera costituita da un’asse e una trave di legno assieme a piccole pietre, che costituiscono un sistema in equilibrio incerto, definito precariamente da giochi minimi di relazioni e incastri tra i materiali. La scelta di accostare e unire materiali semplicissimi e privi di valore estetico o iconografico porta a fare dell’opera d’arte un meccanismo sofisticato e teso per indagare l’equilibrio vago e transitorio dei diversi rapporti che regolano lo stare al mondo delle cose.

La mostra all’Hangar Bicocca porta in Italia il pensiero di un artista che prende in esame materiali naturali ed artificiali, percepiti come occasioni in cui riflettere sui concetti di soglia, confine, equilibrio, precarietà, illusione, contrasto e relazione. Tutti elementi che traducono la pratica di Suga grazie alla creazione di ambienti e situazioni in cui l’uomo può interagire e vivere. Ecco che l’installazione diventa parte integrante dell’opera, nel caso sia capace di accogliere il visitatore e renderlo parte viva del complesso. Forse la disposizione delle opere in due colonne parallele nella navata principale ha impedito il vero coinvolgimento nel lavoro, proponendo dello stesso una sequenza di diverse traduzioni, in modo più compilativo e presentativo che immersivo.

Kishio Suga “Situations”,   veduta della mostra,   Pirelli HangarBicocca,   2016. Courtesy of Pirelli HangarBicocca,   Milano Foto: Agostino Osio
Kishio Suga “Situations”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, 2016. Courtesy of Pirelli HangarBicocca, Milano Foto: Agostino Osio
Kishio Suga Perimeter,   1985/1989. Courtesy dell’artista,   Tomio Koyama Gallery,   Tokyo e Pirelli HangarBicocca,   Milano Foto: Agostino Osio
Kishio Suga Perimeter, 1985/1989. Courtesy dell’artista, Tomio Koyama Gallery, Tokyo e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto: Agostino Osio
Kishio Suga Condition of Situated Units,   1975/2016. Courtesy dell’artista,   Tomio Koyama Gallery,   Tokyo e Pirelli HangarBicocca,   Milano Foto: Agostino Osio
Kishio Suga Condition of Situated Units, 1975/2016. Courtesy dell’artista, Tomio Koyama Gallery, Tokyo e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto: Agostino Osio
Kishio Suga Abandoned Situation,   1971/2016. Courtesy dell’artista,   Blum & Poe,   Los Angeles/New York/Tokyo e Pirelli HangarBicocca,   Milano Foto: Agostino Osio
Kishio Suga Abandoned Situation, 1971/2016. Courtesy dell’artista, Blum & Poe, Los Angeles/New York/Tokyo e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto: Agostino Osio