ATP DIARY

Live Works 2016 pt. 2 | Vincitore e guest performers

[nemus_slider id=”58212″] La performance dell’artista vincitore di LIVE WORKS Performance Act Award_Vol.4, Maxime Bichon (Saint-Nazaire, 1989), è stato un viaggio iper suggestivo nel mondo del volo, e dell’impossibile: ACT III: Like a flag within a frame. Servendosi di testi e oggetti estremamente evocativi, spunti di uno scenario poetico, Maxime ha portato lo sguardo verso un […]

[nemus_slider id=”58212″]

La performance dell’artista vincitore di LIVE WORKS Performance Act Award_Vol.4, Maxime Bichon (Saint-Nazaire, 1989), è stato un viaggio iper suggestivo nel mondo del volo, e dell’impossibile: ACT III: Like a flag within a frame. Servendosi di testi e oggetti estremamente evocativi, spunti di uno scenario poetico, Maxime ha portato lo sguardo verso un dato oggettivo, verso gli ingredienti principali di un viaggio, che è un volo, o almeno un suo tentativo. Tutta la performace vedeva la proiezione di piccoli frammenti video precedentemente realizzati ed altri che erano la riproduzione di ciò che lui e il pubblico stavano vedendo e vivendo in quel momento. Tutto concorreva alla realizzazione di un film, di una soap opera degli oggetti, una storia a puntate che vuole raccontare e rappresentare l’atto del cadere, la capacità di volare e la scienza legata alla pratica dello spazio. Per questo tutto parte dallo studio della pratica sportiva del paracadutismo, nonché delle due peculiarità che secondo Maxime la caratterizzano: ondulazione e stabilizzazione. La capacità dell’artista è stata quello di unire dentro e fuori, pensiero e pratica, ricerca lirica e studio scientifico; di fare dell’ondulazione e della stabilizzazione un modo di agire e lavorare; di interagire intimamente con l’ambiente e i suoi abitanti; di creare un processo che non ha fine e forse mai ne troverà una. Il contesto agisce come un “loose frame”; il parlato e il testo supportano le azioni, che portano alla creazione di un decoupage spaziale fatto di oggetti scenici. Maxime Bichon ha voluto rimettere nella realtà e ridare al mondo una fantasia che è troppo fantasia: il tentativo di volare.

Maxime Bichon. Act III Like a flag within a frame. ph Alessandro Sala / Cesura per Centrale Fies
Maxime Bichon. Act III Like a flag within a frame. ph Alessandro Sala / Cesura per Centrale Fies

Tra i guest performers, il primo ad esibirsi lunedì 25 luglio è stato l’artista angolano Nástio Mosquito. La sua performance, Respectable Thief (Ladro Rispettabile), era una sorta di gospel cantato in un Merzbau alla Kurt Schwitters, in cui immagini, video, musica, testi e canzoni composte dall’artista stesso portavano ad una fruizione dell’opera in modo totale. Passando da toni pacati a veri e propri atti rabbiosi, Mosquito vuole riformulare il mondo e le parole per ritrovare un modo e un luogo in cui vivere in comunità e con un senso di gioia comune. Utilizzando gli elementi video come quinta teatrale, rispetto a cui l’artista poteva stare davanti o dietro, l’opera non crea una distanza tra pubblico e palcoscenico, ma diventa un tutt’uno con gli astanti, coinvolgendoli nell’icasticità del messaggio, nell’immersività del parlato e in domande vere e proprie ad essi rivolte. Tutto parte dalla volontà di indagare i campi dell’autorialità, della rivendicazione di diritto e dell’appropriazione, o, in generale, l’atto del rubare, in senso culturale, genetico, emotivo, esperienziale. Tutti rubiamo, impossessarci di idee e attività altrui è ciò che consente di crescere e di maturare. Almeno per una certa scuola di pensiero. Forse tutto parte dall’essere quei nani sulle spalle dei giganti, forse tutto parte dalla consapevolezza che i piccoli per diventare grandi devono rubare, e rubare ai grandi. Rubare non è emulare, come imitazione inconscia senza ammissione, ma consapevole atto di apprendimento, senza possibilità di cambiamento. Tutto ciò è giusto o sbagliato? A noi capirlo.

Nastio Moquito,   Respectable thief,   ph Andrea Pizzalis per Centrale Fies
Nastio Moquito, Respectable thief, ph Andrea Pizzalis per Centrale Fies

Come seconda guest performer è stata chiamata Pauline Curnier Jardin, che ha presentato The Resurrection Plot. Il lavoro vede quattro performer che si aggirano in una scenografia fosca simile ad un inedito paesaggio lunare, dove,  coperti da pesanti mantelli neri di plastica vinilica, si muovono come sperduti, privi del dono della parola, capaci solo di comunicare tramite gesti. Poi cominciano poche parole elementari e la voglia animalesca di scoprire e cercare sotto la terra. Scoprono così oggetti nuovi, mai visti, dalle forme e colori inconsueti: le reazioni sono esageratamente bambinesche, di estrema felicità. Ma poi si va progressivamente verso la scoperta del corpo, col denudarsi dei mantelli scuri per presentarsi coperti da attillati vestiti di plastica color pelle, quasi delle tutine sadomaso. Coperti di sudore, questi corpi cominciano ad annusarsi (l’olfatto è alla base di tutta la performance), ad approcciarsi, a toccarsi e a procrearsi. Si passa a travestimenti che vanno dalla lumaca, al serpente, alla lucertola: ciò che interessa all’artista è il concetto del cambiare pelle, modificarsi, mutare forma, partendo dalle idee di rinnovamento, rinascita e rigenerazioni promulgate durante il Rinascimento. Tutto questo viene filtrato e rilesso tramite il pensiero dell’anatomista tedesco Gunther von Hagens (inventore della plastinazione) e del filosofo francese Michel Foucault (forse in particolare il suo Sorvegliare e punire). In questo contesto la pelle diventa osservazione e, insieme, luogo di un gioco masochistico, in un atto performativo che cerca un rinnovamento epidermico, però attraverso un istinto primordiale, animale, di paura, sottomissione, trasformazione. Non per niente l’intero gioco è condotto da una terrificante Medusa che incute paura e parla di plastinazione e conservazione del corpo servendosi, in sordina, anche del mito della pietrificazione legato al suo nome. L’intera performance è accompagnata dalla voce candita, pura e virginale di una corista, posta a seno nudo e cinta da un drappo rosso su un piedistallo, quasi rappresentazione della natura madre (matrigna).

Pauline Curnier Jardin,   Resurrection Plot,   ph Andrea Pizzalis per Centrale Fies
Pauline Curnier Jardin, Resurrection Plot, ph Andrea Pizzalis per Centrale Fies

Marzia Migliora insieme ad Elena Pugliese sono state invitate a presentare uno spunto di un lavoro che sarà completato e presentato a Centrale Fies l’anno prossimo. Lo spettatore era invitato ad entrare nell’unica parte ancora attiva di Centrale Fies, dove due operai del posto lo accoglievano fornendolo di un registratore con due cuffie. Davanti si trovava solo un tavolo con sopra l’attrezzatura tecnica usata giornalmente per salire su un traliccio ad alta tensione. L’audio trasmetteva per circa dieci minuti le istruzioni necessarie a svolgere lavori ad alta quota in campo elettrico, per evitare rischi e ferimenti. La concentrazione era rivolta principlamente al problema della caduta dall’alto, al momento dell’impatto, al pericolo del suolo in quelle circostanze: le imbracature servono non per impedire la caduta, ma per evitare l’atterraggio.

Marzia Migliora e Elena Pugliese,   Alta tensione,   ph Alessandro Sala / Cesura per Centrale- ies.
Marzia Migliora e Elena Pugliese, Alta tensione, ph Alessandro Sala / Cesura per Centrale- ies.
Nastio Moquito,   Respectable thief,   ph Andrea Pizzalis per Centrale Fies
Nastio Moquito, Respectable thief, ph Andrea Pizzalis per Centrale Fies
Pauline Curnier Jardin,   Resurrection Plot,   ph Andrea Pizzalis per Centrale Fies
Pauline Curnier Jardin, Resurrection Plot, ph Andrea Pizzalis per Centrale Fies
Emanuele-Cerutti-Collezione-Maramotti-2024