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Giuseppe Penone | Mart

[nemus_slider id=”54286″] Dal 19 marzo al 26 giugno al secondo piano del Mart di Rovereto sarà possibile visitare la mostra Giuseppe Penone. Scultura, dedicata ad uno dei principali artisti contemporanei italiani. Significativa è stata la volontà di far dialogare lo spazio architettonico progettato da Mario Botta con le grandi opere di Penone. Lo spettatore si […]

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Dal 19 marzo al 26 giugno al secondo piano del Mart di Rovereto sarà possibile visitare la mostra Giuseppe Penone. Scultura, dedicata ad uno dei principali artisti contemporanei italiani. Significativa è stata la volontà di far dialogare lo spazio architettonico progettato da Mario Botta con le grandi opere di Penone. Lo spettatore si accorgerà che laddove la mostra è stata allestita si è voluto creare un enorme spazio privo di pareti, in cui lo sguardo possa direzionarsi senz’obblighi per adagiarsi dove meglio crede e sente. Inoltre, peculiare è l’illuminazione naturale, resa grazie all’apertura dei numerosi lucernari a soffitto, che concedono alle opere la possibilità di dialogare col cielo, il vento, il sole, la pioggia… D’altra parte, questa mostra è quasi un giardino di gesti, natura e materia. Alberi, rami, foglie, marmo, acqua, grafite sono gli elementi che compongono le opere di Penone, anzi, sono le sue opere stesse. “Il mondo, quindi, non è rappresentato, ma si fa matrice dell’opera”: così Gianfranco Maraniello, direttore del Mart. O, come suggerisce Penone: “I gesti delle mano sono la matrice di una scultura basata sul tatto e aderente alla realtà della materia e del soggetto, sono la registrazione di un vissuto”. Ho trovato illuminante, l’altro giorno mentre visitavo la mostra dedicata a Joan Mirò al Mudec di Milano, la lettura di una sua frase: “E’ la materia che comanda tutto. Sono contrario a qualsiasi ricerca intellettuale premeditata e morta”, ma anche “Bisogna avere il massimo rispetto per la materia. E’ lei il punto di partenza. E’ lei che detta l’opera, lei che la impone”. Mi sembrano espressioni colme di riferimenti con Penone. Forse niente avviene e viene detto a caso, soprattutto tra i grandi pensatori…

Ritornando al Mart, la misura del corpo dell’artista e l’energia della sua poetica toccano il paesaggio e si confrontano con esso, seguendo i suoi movimenti, atti primordiali della scultura, che non è altro se non la salvaguardia dei segni della sua dita, delle pressioni del suo corpo, gioco di impronte e vuoti. Di prima importanza è la pelle, la superficie di ogni cosa, in quanto limine tra me e te, tra me, te e la natura, con cui riusciamo a dialogare e confrontarci, senza linguaggio e parole, ma esclusivamente col corpo, con i sensi. Ciò che conta è la vitalità, di cui la scultura diventa portavoce. Basti pensare a Soffio di foglie (1979): Penone dà vita e calore ad un accumulo di foglie secche e morte adagiandosi su di esse e scompigliandole col soffio del suo fiato.

L’avvicinamento alla natura e l’intrecciarsi con essa danno origine alle opere. Non c’è mai, spiega lo stesso artista, un’immagine prima e un’opera poi. Ciò che si limita a fare è dialogare con la materia, e solo in questo modo, adagiandosi su di essa, modificandola col proprio tatto, interpretandola con la propria pressione, può nascere, silente e svelandosi poco alla volta, in sordina, un’opera finale. E’ Penone a dire: “La volontà di un rapporto paritario tra la mia persona e le cose è l’origine del mio lavoro. L’uomo non è spettatore o attore ma semplicemente natura”.

In mostra un video proietta l’ambientazione di una delle opere più conosciute dell’artista: Continuerà a crescere, tranne in quel punto (2002-2015). Si tratta della mano dell’artista fusa in bronzo nel gesto di afferrare un tronco di un giovane albero e lì posizionata per sempre. E’ un frammento di un gesto poeticissimo reso immutabile ed eterno: l’opera d’arte diventa misura di un tempo che va oltre la nascita, lo sviluppo e la morte delle cose, il tempo dell’oltre. L’arte interpreta il tentativo di afferrare il segreto più intimo dell’albero, della natura, di ciò che essa ci dona intorno a noi. Così ne parla Maraniello: “La mano che afferra, come ancestrale azione per una primordiale sensazione tattile, inaugura una scissione fondamentale. Nell’attualità del sentire l’uomo si rivela a sé come senziente e, insieme, aliena quell’universo che gli è costitutivo imprimendogli, però, la propria impronta. Trattenendo la presa con la mano divenuta minerale in un’ininterrotta sintonia con i flussi e la forza di espansione del vegetale, si sprofonda nel tempo di crescita dell’albero”.

La mano che fa presa sull’albero viene fatta in bronzo; il punto in cui la mano sfiora il viso della figlia Caterina viene reso mediante piccole maioliche sulla riproduzione in argilla dello stesso; l’impronta della mano attorno ad un accumulo d’argilla viene offerta in grandi sculture di terracotta; la sagoma del corpo sulle foglie si fa opera d’arte…il gesto fa da padrone nella sua pratica. “Fossilizzare i gesti che si sono sviluppati in uno spazio avvicina l’uomo ai vegetali costretti a vivere eternamente sotto il peso dei ‘gesti’ del loro vissuto. Non è permesso all’albero dimenticare […] Produrre una colonna fatta di gesti sovrapposti è come costruire un albero. Forgiare e fissare le linee di forza del soffio in un punto tenendo conto dell’insieme dei soffi reali e probabili che hanno luogo in questo spazio, è produrre una scultura” (Penone).

Il gesto è anche quello che consente di realizzare l’enorme frottage esposto in mostra, Le radici del verde del bosco (1987), con cui l’artista riproduce la superficie del bosco così come l’ha trovata: “Catturare il verde del bosco. Percorrere con il gesto il verde del bosco. Strofinare il verde del bosco. Sovrapporre il verde del bosco al bosco”. La vitalità di cui parlavo sopra prende corpo anche in opere quali Pelle del monte (2012), lastre di marmo su cui Penone mette in evidenza le venature proprie della materia, rendendole tattili, viventi, pulsanti come le vene di una mano. Anzi, queste lastre appaiono quasi come frammenti di un derma: “Nella pietra c’è il cuore che smuove le fluide masse di intere catene montuose, che crea le vene e pulsa nel corpo la rigidità della vetta del monte”. Ma, si ricordi, non è la pelle dell’uomo: è la pelle della natura, della montagna. E’ la natura con cui Penone dialoga e che rende protagonista dei suoi lavori. Monumentale, nello spazio espositivo c’è anche Sigillo, un cilindro di marmo con delle “vene” in superficie, che vengono impresse in negativo, girando, su una lunga lastra anch’essa in marmo: “Il disegno che imprime con la sua rotazione il cilindro, se seguito con lo sguardo ci conduce con la sua ciclicità verso l’idea di uno spazio infinito”.

Invece, fuori dalle grandi sale che ospitano la mostra, a ridosso della scalinata che collega i diversi piani del Mart, è stato fissato a parete un enorme tronco di albero fuso in bronzo — materiale che ha fermato, nel calco, la crescita del fusto (Spazio di luce, 2008). Questo, però, non è riprodotto nella sua interezza, ma scomposto in otto segmenti di circa due metri l’uno, disposti a 60 cm tra di loro. E’ come se il tronco fosse passato attraverso una fase di potatura: e si sa, la potatura rende l’albero più forte, energico. Non per nulla, l’interno del tronco in bronzo, che è cavo, è stato ricoperto di foglie d’oro zecchino, raccoglitori di tutta quell’energia che Penone, nell’albero, trova. E’ come se l’artista adoperasse un metaplasmo, dalla natura alla metafisica: la fotosintesi clorofilliana, piena di luce, vita ed energia, si fa fotosintesi alchemica, tutta intrisa nell’oro interno al tronco. Usando delle parole di Maraniello, si può parlare de: “Il darsi alla luce dell’invisibile”; “Lalbero si è nutrito di luce”. Penone riflette sul fatto che l’albero è intrinsecamente collegato alla luce: “La forma dell’albero è data dal luogo in cui è nato e dalle condizioni di luce esistenti. L’intera sua vita è legata alla luce. L’albero sviluppa la sua forma alla ricerca della luce”. E conclude: “Osservandone il suo interno [ricoperto di foglie d’oro] il nostro sguardo percorre lo spazio di luce occupato dall’albero e diventa albero”.

Sono presenti in mostra anche Gesti vegetali (1983.84), sculture bronzee riproducenti figure umane intrecciate a piante vere in vaso; Pelle di grafite – riflesso della fronte (2005), disegno fatto in grafite su carta; diversi disegni e acquerelli preparatori; Anatomia (1994), un rigagnolo d’acqua uscente da una sagoma irregolare e sinuosa in marmo di Carrara; Spine d’acacia – contatto, giugno 2006 (2006), tavola ricoperta da centinaia di spine d’acacia; Il vuoto del vaso (2005), sculture che testimoniano la cavità di vasi di terra cotta, riempiti d’argilla poi cotta in forno, che conserva le impronte dell’artista, gli spazi rimasti, …come tracce dell’invisibile.

Giuseppe Penone,   Spazio di luce,   2008,   Collezione Privata. Foto Æ Mart,   Archivio fotografico e mediateca/Carlo Baroni
Giuseppe Penone, Spazio di luce, 2008, Collezione Privata. Foto Æ Mart, Archivio fotografico e mediateca/Carlo Baroni
Giuseppe Penone,   Trattenere 6 anni di crescita (continuerà a crescere tranne che in quel punto),   2004-2010,   Collezione Privata. Trattenere 8 anni di crescita (continuerà a crescere tranne che in quel punto),   2004-2012,   Collezione Privata. Trattenere 12 anni di crescita (continuerà a crescere tranne che in quel punto),   2004-2016,   Collezione Privata Foto Æ Mart,   Archivio fotografico e mediateca/Carlo Baroni
Giuseppe Penone, Trattenere 6 anni di crescita (continuerà a crescere tranne che in quel punto), 2004-2010, Collezione Privata. Trattenere 8 anni di crescita (continuerà a crescere tranne che in quel punto), 2004-2012, Collezione Privata. Trattenere 12 anni di crescita (continuerà a crescere tranne che in quel punto), 2004-2016, Collezione Privata
Foto Æ Mart, Archivio fotografico e mediateca/Carlo Baroni
Giuseppe Penone,   Avvolgere la terra - corteccia,   2014,   Collezione Privata e Avvolgere la terra - Rising Earth,   2014,   Collezione Privata. Foto Æ Mart,   Archivio fotografico e mediateca/Carlo Baroni
Giuseppe Penone, Avvolgere la terra – corteccia, 2014, Collezione Privata e Avvolgere la terra – Rising Earth, 2014, Collezione Privata. Foto Æ Mart, Archivio fotografico e mediateca/Carlo Baroni