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Aleksander Rodčenko al LAC di Lugano

[nemus_slider id=”53464″] Nel campo delle correnti analitiche e razionaliste del primo Novecento — il Suprematismo di Malevi?, il Neoplasticismo di De Stijl, il Funzionalismo del Bauhaus – nel 1920 nasce in Russia il primo gruppo di studio dei costruttivisti, le cui istanze ideologiche sono preannunciate da nomi quali V.E. Tatlin e A.M. Rod?enko. Siamo appena […]

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Nel campo delle correnti analitiche e razionaliste del primo Novecento — il Suprematismo di Malevi?, il Neoplasticismo di De Stijl, il Funzionalismo del Bauhaus – nel 1920 nasce in Russia il primo gruppo di studio dei costruttivisti, le cui istanze ideologiche sono preannunciate da nomi quali V.E. Tatlin e A.M. Rod?enko. Siamo appena dopo il 1917, in quegli anni di fermento politico e lievitazione ideologica scaturiti dalla terminazione del regime zarista e dal figurarsi delle prime e vaghe questioni repubblicane che porteranno nel ’22 alla nascita dell’Unione Sovietica. Siamo, ancora, in quegli anni in cui, sempre in Russia, comincia a mutare la considerazione dell’opera d’arte e, insieme, del concetto stesso di arte. Nomi come A. Gan, Rod?enko, V.F. Stepanova, G. e V. Stenberg hanno inciso irresolubilmente lungo questo percorso, nel considerare l’opera d’arte, se non l’arte stessa, non come rappresentazione, ma costruzione. Il lavoro dell’artista è parte oggettuale e fisica del mondo e nel mondo, è oggetto esso stesso, con una precisa forma che ha una peculiare funzione. La ricerca individuale e solipsistica del proprio concetto di arte, del singolare esprimersi nel mondo, del particolare modo di rappresentare l’io viene sostituita da una ricerca produttivista volta ad un progetto estetico complessivo. Il Costruttivismo si esprime, fino al 1932, nell’ambito della grafica, del design, della fotografia, del cinema, del teatro, della letteratura e dell’architettura. Il suo nucleo vitale di energia creativa si manifesta, nei primi anni Venti, nella concisione di sperimentazione artistica e sociale e nella volontà di fare del pubblico elemento attivo del processo artistico e non solo osservatore passivo dell’opera d’arte finita. Primo obiettivo di critica radicale è l’arte celebrativa e rappresentativa ottocentesca, alla quale si oppone una pratica capace di esaltare una nuova classe sociale, fondata sul proletariato, e le nuove sollecitazioni socialiste.

Al LAC Lugano Arte e Cultura si è aperta lo scorso 27 febbraio una mostra interamente dedicata al lavoro di uno dei principali esponenti di questa corrente artistica, Aleksander Rod?enko. La curatela è di Ol’ga Sviblova, direttrice della Moscow House of Photography / Multimedia Art Museum. Rod?enko, attraverso fotografie, fotomontaggi, collage, stampe offset e costruzioni spaziali — tutti lavori presenti nella mostra, in un numero di almeno 300 opere —, esprime bene l’animo dell’artista progressista e rivoluzionario dei primi del Novecento, in principio fiducioso e speranzoso di cambiamenti epocali, ai vari livelli culturale, artistico, sociale e politico, e poi deluso dallo sgretolarsi dei propositi iniziali. Emblematica e rappresentativa è una sua sentenza, estrapolata dal suo diario, del 12 febbraio 1943: “L’arte è al servizio del popolo, ma il popolo è stato condotto Dio solo sa dove. Voglio guidare il popolo all’arte, non usare l’arte per condurre il popolo chissà dove. Sono stato troppo presto o troppo tardi? L’arte deve prescindere dalla politica…”. Esemplificative sono le fotografie di architetture, attività ginniche, parate sportive, prodotti industriali, scorci cittadini, dove traspare con impeto fiero la fiducia con cui Rod?enko guardava alla modernità e alla vitalità della città all’indomani della Rivoluzione d’ottobre. Con quello che viene chiamato “metodo Rod?enko” — ovvero con il modo di documentare la realtà mediante composizioni diagonali, punti di ripresa insoliti, sguardi dall’alto verso l’alto o viceversa, ma sempre portatori di un carattere emotivo, dinamico e vitale — l’artista ha presentato al grande pubblico immagini di, almeno apparente, coesione sociale, unione di forze, spirito dinamico: nelle parate artificiose e statuarie di uomini e donne in uniforme; nella sincronia di gesti e movimenti in esercizi fisici di gruppo; nella serialità dei prodotti industriali come sintomo di prossimo e incessante benessere economico. E’, d’altra parte, il fidarsi di un uomo che ha vissuto il prima e il dopo di un cambiamento eclatante, che ha potuto, dunque, vivere il confronto e farlo vibrare nei suoi propositi e nei suoi credo, condividendo con altri, intellettuali o meno, un nuovo senso di libertà e unione non ancora pienamente arioso, ma memore delle catene di un passato di regime. E’ l’appiglio speranzoso alle imprese del regime stalinista.

La mostra si divide in diverse sezioni, a seconda della tipologia di opere che vengono esposte. Una parte è dedicata alla grafica e al fotomontaggio, in cui c’è compresenza di immagini e testo di memoria cubofuturista, resi con semplicità geometrica e massima efficacia comunicativa. Si passa poi alla più corposa sezione dell’esposizione, quella dedicata alla fotografia: architetture o parti di esse; ritratti; scene teatrali; manifestazioni di gruppo; allenamenti ginnici; prodotti dell’industria e del lavoro. Il tutto termina con le Costruzioni spaziali del 1920 e 1921, sculture appese a soffitto realizzate a partire da un solo foglio di metallo o di compensato, poi ritagliato ottenendo sagome ovali, esagonali o quadrate, via via più piccole. E’ la trasposizione, in un’opera d’arte, di quei procedimenti essenziali e ripetitivi propri della produzione industriale.

Fino all’8 maggio 2016.

Rodchenko,   Radio-listener,   1929,   Collezione del Moscow House of Photography Museum
Rodchenko, Radio-listener, 1929, Collezione del Moscow House of Photography Museum

Di seguito le parole della curatrice Ol’ga Sviblova, presente alla conferenza stampa di presentazione.

L’opera di Rod?enko è oggi ancora attuale. Si è trattato di un artista, in termini moderni, multimediale. E’ approdato alla fotografia attraverso la grafica e la pittura, di cui ha grande esperienza. E’ convinto che l’arte e la cultura abbiano la forza di cambiare la vita stessa, ed è per questo che se ne serve. Rod?enko non fu solo un artista, ma anche un teorico. Fu autore di manifesti, quindi opere non solo di carattere visivo, ma anche riflessivo e concettuale.

Rod?enko non credeva che l’arte fosse un’aggiunta alla vita, ma era convinto della sua capacità di trasformare la vita in toto. La sua missione, come quella di tutti gli artisti del suo periodo, era quella di creare un futuro migliore, di incidere su di esso.

La diagonale, la visione dall’alto in basso, sono tratti distintivi della sua opera e testimoniano la volontà di guardare alla vita con punti di vista non convenzionali. Questa speranza è una cosa che, agli inizi degli anni ’20, lui e i suoi colleghi credono di poter fare assieme abbracciando le nuove istanze politiche. C’era una forte coincidenza tra sperimentazione artistica, sociale e politica.

I fotomontaggi sono una delle espressioni più significative dell’opera di Rod?enko, negli anni ’20 si crede molto nella forza di suggestione della fotografia. Lo stesso Lenin pensa che sia un’arma con cui poter cambiare l’opinione del popolo. Siamo negli anni in cui la Russia è un paese impoverito, in gran parte analfabeta e le immagini possono avere una grande forza incisiva. Questa combinazione di immagini e di testo permette di proporre messaggi che ne indirizzino il potere suggestivo. Quando si osservano le foto di Rod?enko si deve immaginare che siano state spesso pensate per essere poi pubblicate o inserite in pubblicazioni. In mostra, infatti, abbiamo voluto evidenziare il Rod?enko fotografo e impaginatore, accostando le fotografie e il materiale a stampa a cui erano destinate.

Il rapporto tra potere sovietico e avanguardia artistica avrà breve vita perché in pochi anni si afferma il regime socialista. Artisti come Rod?enko vengono arrestati e mandati nei gulag. Lo stesso Rod?enko è accusato di formalismo e decide allora di allinearsi alla linea meno trasgressiva e scatta delle fotografie che documentano la costruzione (che non avrà buon fine) del canale tra il Mar Baltico e il Mar Bianco, una delle prime imprese dello stalinismo realizzata con mezzi di fortuna e con prigionieri politici, tra i quali sa che potrebbe esserci benissimo lui stesso. In questo periodo nell’Unione Sovietica l’unico committente è il regime sovietico. Trova una via di fuga nelle immagini del teatro e del circo, che rappresentano uno spazio di libertà. Si serve della tecnica pittorialistica: immagini sfumate, dai contorni con aloni un po’ magici che sottolineano il carattere onirico delle fotografie. Questo numero non vedrà mai la luce perché ad interrompere la pubblicazione sarà lo scoppio della seconda guerra mondiale.

Il percorso espositivo della mostra è anche una riflessione sul percorso dell’artista: si apre con grandi speranze e termina con la chiusura in un universo personale. Questa vita così tragica rappresenta ancora oggi un esempio significativo di cosa significhi essere un artista e, soprattutto, del desiderio di incidere sulla realtà.

Rodchenko,   Stairs,   1930,   Collezione del Moscow House of Photography Museum
Rodchenko, Stairs, 1930, Collezione del Moscow House of Photography Museum