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Tre mostre alla GAMeC di Bergamo

[nemus_slider id=”54350″] Sono in corso alla GAMeC di Bergamo tre mostre, disposte ciascuna su un piano del museo. Al primo e al secondo, fino al 15 maggio, sono allestite le personali, rispettivamente, di Rashid Johnson e di Ryan McGinley; mentre al terzo sono state disposte le nuove donazioni fatte alla GAMeC, esposte sino al 27 marzo. […]

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Sono in corso alla GAMeC di Bergamo tre mostre, disposte ciascuna su un piano del museo. Al primo e al secondo, fino al 15 maggio, sono allestite le personali, rispettivamente, di Rashid Johnson e di Ryan McGinley; mentre al terzo sono state disposte le nuove donazioni fatte alla GAMeC, esposte sino al 27 marzo.

La prima mostra ad accogliere il visitatore, curata da Stefano Raimondi,  è Reasons di Rashid Johnson, artista afro-americano residente a New York, conosciuto soprattutto dal 2001 grazie alla sua partecipazione alla mostra liminale Freestyle tenutasi allo Studio Museum di Harlem, curata da Thelma Golden. Attraverso dipinti, fotografie, sculture, video, installazioni e anche performance, Johnson affronta le tematiche a lui più care: l’esperienza della comunità nera in America, il dialogo tra astrazione e figurazione, la relazione tra arte ed identità personale. Il titolo Reasons è omonimo di una canzone del gruppo musicale statunitense Earth, Wind & Fire, il cui testo tratta aspetti molto sentiti dall’artista — I’m in the wrong place to be real; And all our reasons start to fade; All our reasons were a lie; ur feelings won’t / They won’t disappear. Imponente è il lavoro Fatherhood (2015), che cattura subito l’attenzione di chi entra nella prima sala espositiva. E’ una scultura piramidale costituita da strutture d’acciaio di dimensioni differenti, che creano una griglia tridimensionale, riempita poi da una serie di elementi tipici della sua pratica: oggetti famigliari e personali, decine di piante domestiche, lampade da coltivazione, libri vari tra cui numerose copie del best seller Fatherhood di Bill Cosby, massi di burro di karité. Elementi simili sono disposti anche sopra le mensole dell’opera Between Heaven and Hell (2012), uno scaffale nero a muro su cui hanno spazio oggetti appartenenti all’infanzia e formazione di Johnson. Si tratta di vinili del padre, di libri politicizzanti, quali The rage of a privileged class di Ellis Cose, di busti abbozzati in burro di karité. Si nota subito l’impiego costante di certi materiali e l’utilizzo di precisi oggetti in più opere. A Johnson interessano elementi dalla forte connotazione culturale, come la cera, il sapone nero o il burro di karité, diffusamente utilizzati durante la Diaspora Africana e poi connessi all’idea dell’Afrocentrismo negli Stati Uniti verso la fine del XX secolo. Affianco a questa componente, c’è quella personale e famigliare, con i vinili ascoltati quando era piccolo, gli strumenti elettrici del padre, i libri sottratti alla madre. E’ una sorta di messa in scena di un processo di appropriazione di precisi elementi che hanno fatto da stimolo concorrendo alla formazione dell’artista, nonché al processo, in ambito artistico, di appropriazione e ritrasposizione dello spazio domestico. Tuttavia, ogni materiale, sia se portatore di un preciso peso socio-politico sia se strettamente personale, perde ogni sua dimensione specifica, venendo sottratto dal contesto d’origine per venire usato come strumento atto a far scattare meccanismi riflessivi e a dar forma a segni e tracce grafiche. Un’altra serie di opere è costituita da Them (2014), Untitled Anxious Men (2014) e Positions (2015): si tratta di tre pannelli a muro composti da piastrelle diverse, rispettivamente a specchio, bianche e colorate. Su di esse l’artista crea delle figure astratte e solo abbozzate servendosi di sapone nero e cera. In Untitled Anxious Men, ad esempio, si nota un viso appena accennato inciso su una colata di sapone nero sulle piastrelle: emerge, impetuoso, un senso d’ansia, nevrosi e paura, aspetti frequenti nel lavoro dell’artista — basti pensare alla mostra Rashid Johnson: Anxious Men, tenutasi nella galleria di Chicago Drawing Room — che restituiscono i temi della razza e dell’identità politica con un’icasticità impetuosa.

Rashid Johnson - Reasons Veduta dell'installazione - GAMeC,   Bergamo,   2016 Foto Roberto Marossi - Courtesy GAMeC - Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Rashid Johnson – Reasons Veduta dell’installazione – GAMeC, Bergamo, 2016 Foto Roberto Marossi – Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo

Per quanto riguarda Ryan McGinley, Stefano Raimondi ha curato la disposizione di numerose fotografie, tutte di medie-grandi dimensioni, andando ad allestire la mostra The Four Seasons. Specifica Raimondi: “La scelta di fare riferimento alle quattro stagioni sin dal titolo si motiva con la necessità di trasmettere in maniera immediata uno scenario universale, quello della natura, a cui le stagioni sono ancora oggi direttamente collegate, e quello della musica, che attraversa le opere”. Ovviamente il riferimento ai quattro concerti per violino di Vivaldi non può che essere immediato. Ma d’altra parte sembrerebbe, nel visitare la mostra, di imbattersi proprio in una sorta di musicalità armoniosa, che si innesta nei colori, nei soggetti, nelle proporzioni delle fotografie esposte. Il titolo ci dà una chiara indicazione anche di come l’esposizione ha preso forma, ovvero suddivisa in quattro diverse sale, ognuna dedicata ad una stagione. Ciò che è esposto nelle sezioni Inverno ed Autunno è frutto di un lavoro recente, a differenza delle due sezioni rimanenti che espongono lavori nati da una ricerca decennale. Le dominanti tematiche sono ben evidenti: la natura selvaggia e spesso incontaminata; l’uomo, ritratto nudo e in azioni semplici; il colore, che si differenzia sala per sala e, quindi, stagione per stagione; l’armonia tra uomo e natura, frutto di una precisa linea di pensiero, quella, come suggerisce l’artista, di Thoreau (1817-1862) che vede l’uomo immerso in un cammino sul limine tra società e natura. Il rapporto che l’essere umano instaura col paesaggio circostante non porta segni di conflitto, ansietà, disagio, ma al contrario è tutto votato ad un connubio pacifico e perfettamente vissuto. Emerge un voluttuoso inseguimento della spensieratezza e della libertà, in un rivisitato mito dell’eterna giovinezza o del buon selvaggio. E l’enfasi del colore sembra proprio far da interprete dello slancio vitale che i soggetti esprimono, presente in ogni stagione: sia in un’arrampicata pacifica su un ghiacciaio o nel riposo sereno sulla neve; sia in momenti più vivi e intensi, come le ferite sul corpo nudo o l’appoggiarsi quasi in segno di preghiera contro una roccia fredda e spigolosa. La primavera, con i verdi tenui, i marroni luminosi e i rosa pesca, trasuda sobrietà, armonia piena, incommensurabile salubrità. Sono i corpi maschili fluttuanti tra liane spugnose, giovani ragazzi e ragazze tra le acque di lagune e torrenti, o tra le erbe fresche di prati nascenti… E da qui si passa ai movimenti intensi e agli scatti di corpi atletici su sfondi di fuoco e acqua rosso-arancio-gialli dell’estate, sino a giungere ai toni più profondi e pieni dell’autunno, con verdi accesi a contrasto con le foglie rosse degli alberi declinanti verso l’inverno, i cieli nuvolosi bassi e cupi, la giovinezza che si sprigiona in una natura, invece, pronta a sopirsi.

Ryan McGinley - The Four Seasons. Veduta dell'installazione - GAMeC,   Bergamo,   2016. Foto Francesca Ferrandi Courtesy GAMeC,   Bergamo
Ryan McGinley – The Four Seasons. Veduta dell’installazione – GAMeC, Bergamo, 2016. Foto Francesca Ferrandi Courtesy GAMeC, Bergamo

La terza esposizione, invece, si intitola Atlante delle immagini e delle forme. Le nuove donazioni per la GAMeC, e “non vuole essere una mostra tematica ma una testimonianza della memoria espositiva e culturale della GAMeC, da un lato, e, dall’altro, della generosità dei donatori, un attestato di stima nei confronti del museo”, come precisa Giacinto Di Pietrantonio, che, insieme a M. Cristina Rodeschini, ha curato l’allestimento. Sono qui esposti i lavori di diciassette artisti italiani e stranieri attivi dagli anni sessanta ad oggi, testimonianza di un interesse per l’arte contemporanea ormai affermata ma anche per un “lavoro di scandaglio internazionale” e “per i giovani artisti”, come sottolinea la Rodeschini. Entrando nella prima sala della mostra si viene accolti dalle numerose, lunghe e colorate alghe di Stefano Arienti realizzate tagliando sacchetti di plastica in modo tale da far esaltare peculiarità del materiale prima invisibili. A seguire si incontrano tre installazioni di Josh Tonsfeldt; una Superficie a testura variabile (1972) di Getulio Alviani; il monocromo blu (2011-12) di Remco Torenbosch con cui riflette sul cambiamento politico e socio-economico dell’Europa, della cui bandiera riprende il colore privandolo delle stelle che rappresentano gli stati; l’opera No titolo (si potrebbe supporre…) (2006) di Luciano Fabro; il manifesto (2012) di Emilio Prini realizzato in occasione della mostra Arte Povera in città. La sala successiva presenta esclusivamente lavori-video, con opere di Sarah Sparkers, Renaud Jerez, Invernomuto, Ken Okiishi. La sala a seguire ospita i monumentali Plasticine Paintings (2013) di Dan Rees, che riprendono formalmente gli archi dei matronei della Basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo, restituiti attraverso grumose superfici realizzate con 400 chili di plastilina industriale. L’ultima stanza tratta i tema del ritratto, affrontato dai lavori Arcangel e Dreams (2015) di Cory Arcangel; Giovani che guardano Giulio Paolini (2014) di Adrian Paci; Atelier, scena III (2013) di Ferrario Frères; Sala d’attesa (Bergamo, inverno 1944-45) (2012) di Giulio Paolini; L’era successiva (Caravaggio Giuditta) (2015) di Mariella Bettineschi. Da “collante” tra le diverse mostre c’è Amore amore (1998) di Corrado Levi, un’opera che, sui muri che portano da un piano all’altro, scrive gli infiniti amore culturali dell’artista: “Amore Boetti”, “Amore Accardi”, “Amore Ontani”, …

Atlante delle immagini e delle forme. Le nuove donazioni per la GAMeC.Veduta dell'installazione - GAMeC,   Bergamo,   2016 - Foto Francesca Ferrandi - Courtesy GAMeC - Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Atlante delle immagini e delle forme. Le nuove donazioni per la GAMeC.Veduta dell’installazione – GAMeC, Bergamo, 2016 – Foto Francesca Ferrandi – Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo