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Nicola Di Giorgio. La deposizione del vuoto | MAXXI, Roma

"La Deposizione del vuoto" si articola come un agglomerato di tre lavori distinti che insieme formano una struttura di senso stratificata, dove la fotografia si innesta nella materia come traccia, prova e residuo.

Con La deposizione del vuoto, mostra personale di Nicola Di Giorgio (Palermo, 1994), il MAXXI accoglie la maturazione di una ricerca che da anni interroga il rapporto tra materia e immagine, abitare e scomparire, nel segno del calcestruzzo come archivio della storia italiana recente. A cura di Simona Antonacci, la mostra — esito del Premio Graziadei per la Fotografia 2025 — costruisce una narrazione verticale nello spazio del Centro Archivi: un pentagramma di immagini, documenti e sculture che misura la distanza tra l’intimità dell’artista e il paesaggio collettivo italiano.

La Deposizione del vuoto si articola come un agglomerato di tre lavori distinti —  Calcestruzzo (2020-ongoing), Ci interrompiamo in qualunque momento (2025) e Modulatore del pieno e del vuoto I (2025) — che insieme formano una struttura di senso stratificata, dove la fotografia si innesta nella materia come traccia, prova e residuo.
All’ingresso, il Modulatore del pieno e del vuoto I, una torre mobile che è scultura, display e autobiografia. Custodisce archivi, progetti, tracce, e traduce in forma plastica quella condizione di precarietà che accomuna chi abita, studia, lavora “fuori sede”.
Le fotografie dedicate a Scampia, realizzate poco prima della demolizione delle Vele, pongono la questione della perdita e del lutto urbano, restituendo una comunità ridotta a segno, a numero, a scritta muraria. I “vuoti neri” delle finestre rimandano al Giudizio Universale di Beato Angelico: tombe urbane che si fanno icone, reliquie di un’architettura destinata alla polvere.
E proprio la polvere attraversa la mostra come sostanza metafisica. Nei tavoli rotondi con i mucchi d’aggregato provenienti dai laboratori di Italcementi – oggi smantellati – il gesto scientifico si traduce in allegoria: polvere siamo e polvere ritorneremo. A questa deriva materica si oppone il carotaggio romano di un calcestruzzo marittimo ancora intatto dopo secoli: un ossimoro di resistenza e impermanenza che lega l’origine del calcestruzzo alla sua crisi contemporanea.

Nicola Di Giorgio, Calcestruzzo, Laboratorio Italcementi, Bergamo, 2023 Courtesy Heidelberg Materials Italia (già Italcementi)
Nicola Di Giorgio, Calcestruzzo, Vele di Scampia, Napoli, 2024

Nella scultura fotografica su vetro, un pilastro alto 1,77 metri si fa autoritratto e test di resistenza. L’immagine ingloba una prova sclerometrica e una memoria familiare: la voce infantile che raccontava di corpi murati nei pilastri delle nuove costruzioni dei quartieri bene di Palermo. Il calcestruzzo, da corpo collettivo, diventa qui corpo biografico, fragile, attraversato da storie di boom economico e violenza.
Tra gli assemblage emergono cartoline, frammenti di giornali, vedute di cementerie, fotografie d’archivio: resti che rivelano la trama culturale e simbolica di un Paese costruito sulla rimozione. Una fotografia dell’Archivio Bicocca di Milanomostra documenti dormienti come in un sarcofago, mentre un piccolo taccuino di Pier Luigi Nervi, con il disegno di un Autogrill, riporta la modernità alla sua genesi progettuale.
Al centro dello spazio, un video rielabora immagini di repertorio dedicate all’incidente del Grattacielo Pirelli del 2002, quando un piccolo aereo da turismo si schiantò contro il 26° piano dell’edificio. L’artista rimonta un frammento del TG4 di Emilio Fede, dissolvendo la retorica mediatica nell’ambiguità del trauma: un cortocircuito tra tragedia e spettacolo, che trasforma l’impatto del velivolo in metafora del collasso stesso del moderno.
La mostra si chiude con un’immagine scattata dal padre dell’artista, geometra, su un cantiere del paese originario dello stesso: una strada che sembra interrompersi e invece continua, come la genealogia che lega le generazioni del costruire.
In La deposizione del vuoto, Di Giorgio mette in scena una topografia della fragilità, dove il calcestruzzo tiene insieme progresso e mafia, crescita e corruzione, le contraddizioni strutturali di un Paese che si fonda sulle proprie crepe. La fotografia agisce come strumento di saggio, carotaggio, memoria, scavando nella materia del reale per rivelare ciò che resta — e ciò che ancora si deposita — del nostro abitare.

Nicola Di Giorgio | La deposizione del vuoto
A cura di Simona Antonacci
MAXXI, Roma
19.09-02.11.2025

Cover: Nicola Di Giorgio, Calcestruzzo, Trasformazione in rotabile della strada vicinale “sticca”, 1990-1991, Roccamena (Sicilia), 2020

Nicola Di Giorgio, Ci interrompiamo in qualunque momento, 2025, Film, HD 4:3, 14 min
Nicola Di Giorgio, Calcestruzzo,“Ho chiesto al mondo il bene eterno”, 2025
Nicola Di Giorgio, Calcestruzzo, Prove sclerometriche, Milano, 2023