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Fino all’11 maggio, presso la Project Room del MAMbo – Museo Arte Moderna di Bologna documenti, video, costumi e oggetti di scena compongono una retrospettiva a cura di Caterina Molteni dedicata al percorso artistico della danzatrice e coreografa Valeria Magli (Bologna, 1952). La mostra pone l’accento soprattutto sull’attenzione che l’artista riserva da sempre alla sfera del femminile.
Federico Abate: Il titolo scelto per la tua mostra, MORBID, gioca sulla doppia accezione che il termine può assumere se interpretato in assonanza con l’italiano “morbido”, oppure se tradotto dall’inglese o dal tedesco, con il significato di “morboso”. Cosa si cela dietro questa ambivalenza semantica, nel momento in cui, come è consuetudine nella tua pratica, il soggetto a cui si riferisce è la donna?
Valeria Magli: Morbid è riferito alla donna ma “banana” all’uomo. Direi che è un mix tra un gioco semantico e il modo di scherzare tipico bolognese che, parlando dell’aspetto femminile fa spesso riferimenti tra cibo e sesso. Qui lo si fa per il maschile. E poi mi piace molto giocare con le parole, morbid riferito alla donna è come la realtà che ci circonda, spesso ambivalente. Il termine richiama la morbida femminilità e insieme il femminicidio morboso.
FA: La mostra fa il punto su tre decenni di lavoro, dagli anni Settanta ai primi anni Duemila, ripercorrendo la tua ricerca performativa sulla femminilità. Nel tempo hai vestito i panni di tante alter-ego: La signorina Richmond, Le Milleuna, Banana morbid, Banana lumière, Pupilla… Cosa significa per te costruire e impersonare un’altra identità? In che modo ciò influenza la tua espressività corporea?
VM: Preciso subito che la mia ricerca è severa, ilare, ma non performativa, è circense, danzerina, vocale, musicante, ma tutt’altro che performativa. Riguardo alla domanda direi che il costruire un’altra identità è tipico di tutto lo spettacolo che sia teatro, cinema, lirica. Il mio grande vantaggio è che non ho solo interpretato queste “alter-ego” ma le ho pensate, costruite e mostrate.
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FA: Negli anni hai spesso ricercato un dialogo attivo e mai didascalico con la poesia, sia come fonte di ispirazione sia come elemento della messinscena che entra in relazione con le tue coreografie, offrendo ulteriori livelli di lettura. Puoi parlarci di come ti interfacci con il dato poetico, anche in relazione alla tua ricerca, che mi pare presentare dei connotati femministi?
VM: La mia ricerca non è mai stata femminista razionalmente o consciamente. In realtà questa connessione l’hanno trovate le giovani ragazze, che amano e studiano la mia opera di un tempo. Per me il femminismo era legato agli anni dell’università, non pensavo di averlo trasferito nel lavoro, ma evidentemente quegli anni hanno lavorato bene sottotraccia.
FA: Rispetto alle specifiche peculiarità espressive della poesia e della danza, cosa pensi che si possa ottenere unicamente con la compresenza e l’interazione tra parola e corpo che altrimenti resterebbe inespresso?
VM: In effetti la peculiarità della mia ricerca di quel periodo è di avere aggiunto alle moderne poesia sonora, poesia concreta, poesia visiva, la poesia danzata cioè la poesia ballerina.
FA: Tipica della tua pratica è la commistione di linguaggi corporei afferenti al canone della danza classica, alla ginnastica artistica, al cabaret e al music hall. In particolare, è proprio la gamma espressiva del mondo dell’intrattenimento da varietà a marcare più decisamente i tuoi lavori, connotandoli in una chiave ironica e a tratti seducente, che però mantiene sempre sottotraccia una riflessione sulla società. Cosa ti interessa di quel mondo? Cosa ti permette di esprimere?
VM: Di quel mondo mi interessa proprio l’intrattenimento: circo, music-hall, cabaret, varietà. Sono quei mondi a porre grande attenzione a tutte le componenti dello spettacolo: luci, scene, costumi, oggetti. Penso che da questa mostra salti fuori.
Cover: Valeria Magli, Pupilla | Foto di Carla Cerati
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