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Visita di cortesia | Giuseppe De Mattia in mostra alla Galleria Banquet, Milano

La mostra, come spesso accade nella ricerca di De Mattia, è stata concepita come un'unica architettura, dove ogni opera concorre per un’unica narrazione.

Come scrive il curatore Enrico Camprini, le opere «si collocano in una zona grigia tra differenti linguaggi con i quali l’artista si confronta in modo non convenzionale – a partire dalla pittura, la cui presenza ambigua assume un ruolo centrale – componendo una costellazione di elementi funzionali da un lato, esplicitamente decorativi dall’altro, che rappresentano lo sviluppo ulteriore di una ricerca su riferimenti visivi e culturali ormai consolidata».

Il titolo della mostra alla Galleria Banquet, Visita di cortesia, si riferisce alle brevi visite che i rappresentanti commerciali porta a porta effettuano nelle abitazioni dopo un acquisto. È un’immagine che richiama la domesticità e un omaggio a tradizioni ancora vive nel Sud Italia.
Gli spazi della galleria, articolati su due livelli, sono pensati come un’ipotetica abitazione. Al primo piano, visibile dalla strada attraverso grandi vetrine, pochi elementi ben calibrati suggeriscono l’idea del salotto buono, quello di rappresentanza. In questo ambiente trovano posto tre grandi tele realizzate dall’artista a partire da tessuti di corredo acquistati nei mercati, come lenzuola ricamate o tende, a cui ha applicato una mano di gesso, quasi a voler sottolineare i ricami cancellandone al contempo la presenza. Un’operazione, quella dello sbiancamento, che l’artista stesso afferma aver compiuto con fatica, come se con quel gesto, andasse a sbiadire quella tradizione ancora sentita nel Meridione. 
La serie di dipinti, intitolata Fazzoletti da naso, ha come unico elemento pittorico, oltre allo sbiancamento, una squadratura blu, che richiama una decorazione minima di un fazzoletto da naso. A questo si aggiungono le iniziali dell’artista, una sorta di autoritratto: come lui stesso racconta, l’elemento della scrittura, molto presente nella sua ricerca, diventa qui anche un segno, un marchio.
Al centro della sala si trova un comodino antico, di fattura artigianale, su cui l’artista ha dipinto un colibrì con una tecnica che ricorda gli antichi ex voto popolari. Il colibrì è un ricordo di un’esperienza lavorativa in Centro America, ma anche un amuleto porta fortuna, come suggerisce il titolo Colibrì porta fortuna per Vignola. L’artista racconta che il piccolo uccello gli faceva visita ogni sera. Il racconto di questa amicizia è custodito in una lettera riposta all’interno del cassetto del comodino.
Elemento centrale di questo ambiente è una grande ciotola, Coppa Nuziale, con una decorazione che ricorda l’artigiano delle ceramiche pugliesi, decorata all’interno con l’immagine di una coppia, presumibilmente di sposi, e all’esterno con motivi di ghirlande tipiche dei giorni di festa.
Scendendo al piano inferiore della galleria, ci accoglie una grande tavolata apparecchiata con dodici posti, una sorta di “quadro trappola” alla Spoerri. Sono presenti le tracce di un banchetto: piatti (decorati a mano dall’artista) sporchi, macchiati di cibo e unti. Si tratta di una sorta di fermo immagine di una cena consumata il giorno prima dell’inaugurazione della mostra, un momento conviviale vissuto come un happening, al quale sono stati invitati gli amici di De Mattia.

Giuseppe De Mattia, Colibrì porta fortuna per Vignola, manoscritto, dettaglio. Courtesy Galleria Banquet, Milano

I resti di cibo, olio, aglio e peperoncino sono gli unici ingredienti utilizzati dall’artista per cucinare la pasta offerta ai commensali. Anche in questo caso, l’opera si colloca nel dominio della tradizione e dell’intimità, trattandosi di una ricetta chiamata “sugo alla trappittara”, tramandata dal suocero dell’artista, una figura che De Mattia ricorda come paterna e significativa. Una treccia d’aglio e una di peperoncino sono appese ai due pilastri della galleria, tra i quali, quasi nascosti, si trovano una testa d’aglio e un peperoncino in ceramica, elementi che spesso ricorrono nella  sua ricerca.
Ciò che conta davvero in questa mise en place, come scrive il curatore, è che «questa mostra è stata strutturata attorno a qualcosa che lo spettatore non può vedere, su cui non può né deve sapere più di quanto abbia letto poco sopra, da cui è sostanzialmente escluso. Rimangono a disposizione del suo sguardo solo rimanenze, arrangiate in un’installazione involontaria, di certo povera. Le posate, tutte diverse; i piatti, decorati come volti sorridenti (o sornioni con lo spettatore?), realizzati trascinando il colore sulla superficie, simulando il gesto della “scarpetta” e lasciando tracce invece di rimuoverle. Insieme a ciò, un insieme di altri elementi pittorici e scultorei, tra piano superiore e inferiore, costituisce una forma di arredamento arrangiato, composto da oggetti autonomi come opere e, al tempo stesso, funzionali alla creazione di un’atmosfera da cui lo spettatore è escluso».
Un unico elemento sembra fuori posto, quasi un ospite inatteso e spazientito della sala: L’invidioso, una scultura-fantoccio, simile a un pupo siciliano, realizzata in legno e ceramica, con il volto in terracotta dipinta a mano. Rappresenta simbolicamente chiunque non sia stato invitato al convivio.
Ci sono molti altri elementi che non vengono raccontati o descritti in questa recensione, perciò l’invito è a visitare la mostra, attraversare i suoi ambienti e assaporarne i profumi e gli odori. Come detto all’inizio, si tratta di un’unica opera che racchiude la pratica di De Mattia, la sua estetica e la sua ironia. È una mostra intelligente, matura, capace di introdurci nella dimensione identitaria dell’artista, impegnato in una continua rinegoziazione con le sue tradizioni.

Cover: Giuseppe De Mattia, Visita di Cortesia, installation view.  Courtesy Galleria Banquet, Milano.

Giuseppe De Mattia, Banano Magico, olio su rame, cornice ritrovata. Courtesy Galleria Banquet, Milano.
Giuseppe De Mattia, Invidioso, acrilico su legno e su terracotta. Courtesy Galleria Banquet, Milano.