“Storie di designer” è una rubrica di interviste nata con l’obiettivo di dare spazio e visibilità ai giovani talenti del mondo del design. In un’epoca in cui la creatività si intreccia con le nuove tecnologie e le sfide globali, i giovani designer sono protagonisti di un cambiamento culturale e visivo che merita di essere raccontato.
Attraverso queste interviste vogliamo esplorare le storie, le ispirazioni e le visioni di chi sta plasmando il futuro del design. Ogni intervista è un viaggio nel percorso formativo e professionale di questi creativi, scoprendo le influenze, i progetti e le sfide che hanno affrontato lungo il loro cammino.
L’obiettivo della rubrica è non solo quello di far emergere nuovi volti, ma anche di creare un dialogo tra studenti, le nuove generazioni di designer e il pubblico, offrendo uno spazio di confronto, riflessione e condivisione. Il design non è solo una questione estetica, ma è un linguaggio potente capace di raccontare idee, culture e prospettive uniche.
“Storie di designer” è una finestra aperta sul futuro del design, vista attraverso gli occhi di chi, con passione e innovazione, sta riscrivendo le regole del gioco.
Sara Benaglia: Come vi siete incontrati e come nasce lo studio Zanellato/Bortolotto?
Giorgia Zanellato e Daniele Bortotto: Ci siamo incontrati all’ECAL di Losanna dove stavamo frequentando un master in Product Design. Come si dice “chi si somiglia si piglia” e siamo da subito diventati amici. Conclusi gli studi abbiamo deciso di fare un progetto insieme, Acqua Alta, dedicato alla nostra città vicina e da lì non ci siamo più separati. Lo studio nasce da una esigenza, dopo l’esperienza svizzera, di lavorare e valorizzare le nostre origini e il nostro ricco territorio. Ricco di materia, tecniche, storie e persone.
SB: In che modo i luoghi e lo scorrere del tempo influenzano il vostro lavoro? Nel chiedervelo penso a numerosi vostri progetti, tra cui Acqua Alta (2013), Storie (2016), Redor (2017), Petali (2017), Marea (2018) e Cime (2024).
Z/B: Dal nostro primo progetto, Acqua Alta, abbiamo investigato ed assaporato gli effetti che lo scorrere del tempo ha su superfici, odori, colori, ed è una tematica ricorrente che tuttora ci vede impegnati in ricerche in tal senso. L’imperfezione, la rottura, la mancanza divengono spunto per narrare una storia. Le tracce ed i segni del tempo aggiungono un livello di lettura ai nostri progetti rendendoli più seducenti e soprattutto duraturi.
SB: Window Mirror (2016) è un progetto che riflette la nostra relazione con la tecnologia. Avete lavorato sull’identità trasformata dai nostri dispositivi e amplificato il senso materico stesso dello specchio. Ci raccontereste questo progetto, che avete esposto a The Aram Gallery, a Londra?
Z/B: È un progetto molto ambizioso, che purtroppo è rimasto ad una fase di ricerca. Partendo da una riflessione su quanto e come la tecnologia modifichi e renda meno nitida la nostra immagine ed identità, l’idea è di uno specchio collegato ad una app che, attraverso l’illuminazione graduale di una serie di led (che interpretano astrattamente il logo del wifi), indichi il tempo di utilizzo del proprio cellulare. Quanto più il telefono viene utilizzato, tanti più led si accendono, rendendo sempre meno leggibile l’immagine di se stessi allo specchio. Uno specchio interattivo che fa “riflettere”.
SB: In che modo reinterpretate tecniche artigianali tradizionali – dal mosaico, al vetro, ai pavimenti palladiani, alla ceramica- e come questa sperimentazione influenza il vostro rapporto con l’industria?
Z/B: Ci piace attingere ad un repertorio di saperi legati a specifiche aree e territori, studiarlo ed analizzarlo per riuscire a leggerlo con occhi nuovi. Il fine spesso è quello di utilizzare tecniche tradizionali per poi riattualizzarle e proporle all’industria. Spesso il segno della mano che produce un artefatto resta insostituibile, ma l’interesse e la modernizzazione di questo processo, per essere poi veicolato attraverso dinamiche industriali e aziendali, è un bellissimo messaggio che parla di narrazione e unicità.
SB: Avete lavorato con Wallpaper Magazine in due occasioni: la prima nella progettazione di 4Rooms (2016) e la seconda in occasione dell’allestimento di WallpaperSTORE* (2018). C’è un legame, magari dialogico, tra i due progetti?
Z/B: In realtà non c’è un filo diretto tra i due progetti, ma entrambi hanno un nesso con la nostra storia e raccontano forse l’evoluzione del nostro legame con l’artigianato contemporaneo. Il carrello 4Rooms ridisegna l’archetipo del classico carrello portabagagli da hotel, ricercandone un’interpretazione più ironica e alleggerendolo dai canoni più tradizionali. L’allestimento per WallpaperSTORE* a Venezia ci riporta, invece, dov’è iniziato il nostro percorso, fornendo una chiave per noi a quel tempo nuova di racconto della città attraverso le sfumature e le ossidazioni su metallo applicate su Marea di De Castelli.
SB: Nel 2019 realizzate un progetto estremamente affascinante, Labirinti, che esponete a The Gallery Brussels. Come è nata questa ricerca e quali sono i suoi riferimenti formali?
Z/B: Labirinti è un progetto che ci è molto caro, a cui abbiamo dedicato molto tempo e molto cuore. Potrebbe definirsi un progetto sartoriale, dato che è stato pensato e disegnato appositamente per i fondatori della galleria, Marino e Konrad. Da sempre collezionisti seri e seriali, abbiamo immaginato per loro una collezione che potesse raccogliere e valorizzare le loro numerose e completissime famiglie di oggetti. Insieme, poi, hanno immaginato per ognuno di questi pezzi una storia ed un collezionista a cui dedicarlo, spesso con qualche riferimento autoreferenziale. L’ispirazione delle forme nasce principalmente dal loro uso, e dal fascino labirintico della loro abitazione/galleria che ci ha rapiti dal primo momento. Così brutale e spoglia, arredata soltanto dalle ricche e sovrapposte collezioni, un po’ come i pezzi della collezione Labirinti.
SB: Come si lavora in coppia? Come condividete le vostre fonti di ricerca e ispirazione? Come progettate insieme?
Z/B: In coppia si lavora confrontandosi, si lavora parlando molto, scontrandosi e scendendo a compromessi. Le nostre vite personali sono molto diverse e quindi anche i riferimenti che abbiamo non si somigliano. La sensibilità invece è la stessa, quindi i punti di incontro nascono molto naturalmente. Si può dire che parliamo la stessa lingua ma in modo diverso. La paternità dei progetti diventa quindi sempre condivisa, il cliente ha solitamente uno di noi due come riferimento ma il processo creativo è imprescindibilmente condiviso.
SB: Moltissime fotografie dei vostri progetti sono state realizzate da Mattia Balsamini. Che cosa è la fotografia per voi? Come scegliete la luce per i vostri progetti?
Z/B: Noi progettiamo e disegnamo forme tridimensionali, poi però il mezzo principale con il quale vengono conosciute e veicolate è la fotografia. La fotografia ha da sempre un ruolo fondamentale nel nostro lavoro, spesso gli spunti principali derivano da dettagli ripresi in immagini che analizziamo e investighiamo a più scale. Mattia Balsamini è un fotografo con il quale abbiamo lavorato sin dagli inizi del nostro percorso. Il suo uso della luce aggiunge un livello denso ed importante di lettura, e il suo occhio interpreta le forme in modo unico e in cui ci ritroviamo. Ecco perché per i nostri 10+1 anni di attività abbiamo deciso di regalarci una serie di immagini scattate proprio da lui, dove ha ricevuto carta bianca nell’interpretazione di 10 + 1 nostri lavori. Il risultato è esattamente quello in cui speravamo.
SB: Al Salone del Mobile 2023 per Arpa Industriale avete presentato un’installazione all’interno degli spazi di FENIX Scenario, estendendo un vasto teatro all’aperto, oltre lo showroom di Foro Buonaparte. L’allestimento modulare è pensato in forme classiche, eleganti ed è realizzato con materiali durevoli. A cosa vi siete ispirati per questo progetto e da cosa deriva la palette cromatica scelta?
Z/B: Ci piace pensare al lavoro fatto insieme a Fenix come una vera e propria scenografia teatrale, e l’ispirazione è nata proprio pensando alla grande tradizione scenica milanese. Dai teatri più antichi e ricchi, in primis il Teatro alla Scala, a quelli che hanno segnato la recitazione contemporanea, quale il Piccolo Teatro. Abbiamo ripensato agli spazi di Fenix Scenario come una quinta scenica dentro cui lo spettatore potesse immergersi e scoprire i prodotti dell’azienda come i protagonisti di una mise en scène. La palette cromatica di questi attori pop-up, che giocano tra l’interno e l’esterno dello spazio, combina una serie di tonalità coerenti applicate su superfici e texture materiche appartenenti a famiglie di prodotto diverse.
SB: Avete disegnato numerosissimi letti per Bolzan. Fin dove vi siete spinti nella sperimentazione e cosa vi piacerebbe realizzare che ancora avete soltanto pensato?
Z/B: Lavoriamo insieme a Bolzan da diversi anni, e dall’anno scorso abbiamo assunto il ruolo importante di direttori creativi del marchio. Il percorso è ancora lungo ed entusiasmante e le tematiche da affrontare numerose. Il nostro desiderio è quello di avvicinare l’azienda a contesti più internazionali e culturali che sappiano apprezzare le loro grandi competenze tecniche e sartoriali. Il lavoro è complesso e stimolante, e il coraggio dei titolari che guidano l’azienda lascia molto spazio verso terreni ancora inesplorati. È sicuramente un progetto ambizioso al quale siamo felici di dedicare una parte importante del nostro lavoro.
SB: C’è un progetto a cui siete particolarmente legati?
Z/B: La ricerca materica ci affascina da sempre ed in maniera costante, ed una nostra passione personale ha recentemente trovato “dimora” in uno dei nostri prodotti. Si tratta della tecnica dello smalto a fuoco su rame, molto conosciuta negli anni ’50 grazie in particolare alla collaborazione tra Gio Ponti e l’artigiano padovano Paolo de Poli. Meticoloso ed imprevedibile, è un processo che per anni ha stimolato la nostra curiosità e a cui abbiamo dedicato tempo cercando l’artigiano giusto con il quale sperimentare. Ed è grazie al laboratorio veneziano Incalmi che abbiamo potuto concretizzare questo nostro desiderio, applicandolo ad un prodotto finito. Al Salone del mobile del 2023 abbiamo infatti presentato i tavolini Mangiafuoco in rame smaltato a fuoco per Moroso, azienda che ha creduto in noi fin dagli esordi con il progetto Acqua Alta. Avere il piacere di lavorare insieme a Patrizia Moroso ad un progetto di ricerca da noi così sentito, l’ha reso veramente magico, un po’ come la tecnica stessa.
SB: In questo periodo su cosa state lavorando?
Z/B: Attualmente lo studio è coinvolto in progetti molto eterogenei, da prodotti per aziende, a direzioni creative, a residenze private. Tutti progetti che lasciano ampio spazio alla nostra ricerca personale su materiali, tecniche ed interpretazioni che speriamo possano trovare luce a stretto giro. Due progetti in particolare ci sono particolarmente cari: la ristrutturazione di una camera storica di Villa Medici a Roma, che verrà presentata all’inizio di aprile dell’anno prossimo, ed un progetto per il fuorisalone dove lo studio si porrà per la prima volta in prima persona nel raccontare la sua visione di una tematica romantica e inedita.
SB: Esiste un’identità del design italiano?
Z/B: Crediamo esista piuttosto un modo di fare design italiano, che ha identità e sfaccettature così diverse ma accomunate da un profondo legame con la nostra storia ed il nostro territorio. Le influenze maggiori vengono certamente dalla scuola e dall’esperienza sul campo che plasmano il percorso ed il metodo progettuale di ciascuno di noi, ma c’è in fondo un nucleo di valori e tratti distintivi che rende il “fare design” italiano non migliore, ma certamente diverso rispetto ad altri paesi.
SB: Grazie
Z/B: Grazie a te! zb
Cover: Zanellato/Bortotto, Vaso Unu, Terra pintada, © Daniela Zedda
Storie di designer è un nuova rubrica curata da Sara Benaglia —