Concerto è il titolo della prima personale di Roberto Fassone in un museo pubblico, un percorso non cronologico, articolato per sale, che riunisce in unico movimento opere video, azioni, performance e interventi installativi, coprendo un arco temporale che dal 2010 arriva al 2024. Presentata al piano terra di Palazzo Collicola (fino al 10 novemebre), la mostra è curata da Saverio Verini – direttore del Sistema Museale del Comune di Spoleto – che segue da diversi anni la pratica sperimentale di Fassone, a partire da una prospettiva allargata: al 2018 risale un libello edito da Postmedia, “Roberto Fassone. Quasi tutti i racconti”; al 2021, la personale Graziosi abissi, presso Fondazione smART a Roma, concepita come una mostra in continua trasformazione, articolata in cinque movimenti. Il progetto espositivo costituisce una prima e ampia lettura dell’intera opera di Fassone, attivo da oltre un decennio nell’ambito dell’arte contemporanea italiana e internazionale, recentemente insignito del MAXXI BULGARI PRIZE for Digital Art; costituisce, in aggiunta, un segnale importante da parte dell’istituzione museale, non tanto nel tentativo di storicizzare qualcosa – il lavoro di Fassone sembra sfuggire a questo – quanto piuttosto a valorizzare la ricerca di artisti mid-career attivi da anni nel sistema dell’arte.
La mostra di Palazzo Collicola è un affondo, sentito e sofisticato, sulla pratica di Fassone, una ricerca tesa a collocarsi su un crinale sempre un po’ sdrucciolevole, in cui convivono un’ironia profonda, l’imprevedibilità come chiave costante di lettura e rimediazione del territorio artistico, insieme alle riflessioni sullo statuto dell’opera d’arte e, per estensione, sulla storia dell’arte, senza alcun diniego per una certa marcatura filosofica che compare, più o meno velatamente, senza per questo tradire l’estemporanea curiosità che si può provare davanti a un video o a una sua performance.
Non stupisce, allora, che Chiara Fumai con la sua performance Chiara Fumai presents Nico Fumai sia l’artista che Fassone ha ricordato parlando del proprio lavoro durante la presentazione della pubblicazione edita da Viaindustriae che accompagna la mostra di Palazzo Collicola. In Chiara Fumai presents Nico Fumai l’artista narra la storia della Italo Disco di fine anni ’80 attraverso la carriera di un famosissimo cantautore italiano, suo padre Nico Fumai, coniugando elementi biografici fittizi a una narrazione storica e critica. È intorno a questa “confusione” tra fittizio e reale che sembra impostarsi tutta la ricerca di Fassone; in Ombretta Marie (2024), un tavolo da biliardo in rovere verniciato e tessuto ricamato, appositamente realizzato per questa mostra, la placca in ottone – posta in corrispondenza dell’unica gamba rovesciata, montata al contrario – recita la frase “ogni volta che la palla entra in questa buca / una persona cambia direzione”: come interpretarla? Qual è la chiave di lettura? Il campo, in questo, è libero e le possibilità, sembra indicare Fassone, infinite, come in un rompicapo. Questa installazione, il biliardo, è così densa di storie da essere stata preceduta da un’altra opera (Egidio, 2018, dal nome del nonno dell’artista) in cui sembrano mescolarsi racconti personali, memorie familiari e poteri extra-sensoriali.
Per Fassone, questa scienza delle soluzioni per immagini (e suoni, e azioni) è una patafisica complessa che accoglie l’ironia, il gioco e la magia come elementi di sintesi della realtà e del linguaggio. L’aspetto sofisticato che entra in gioco nel susseguirsi dei diversi lavori appare come legato a una vera e propria quadratura del cerchio; sembra che nell’ironia spassionata il pubblico sia chiamato a trovare dei momenti – degli intermezzi, per restare in ambito musicale – guadagnando uno spazio autoriflessivo che implica diversi benefici: quello di poter rimanere sospesi, di poter tornare sui propri passi, di guardare altrove. Questi aspetti sono di certo legati a una capacità narrativa e di storytelling che entra in scena in modi molteplici: attraverso le didascalie scritte dall’artista – piuttosto dei piccoli testi, spesso recanti indicazioni su ciò che si sta per approcciare, sul modo in cui tendenzialmente sarà possibile farlo, lasciando sempre spazio ad una personale advocacy dello sguardo, del corpo nella relazione con l’immagine/suono, del corpo in relazione a una specifica task che si svolge davanti ai nostri occhi, al di là dello schermo, e nello spazio fisico. Per esempio, con sibi (2011), un progetto artistico che funziona come un generatore automatico di artefatti creativi, Fassone conduce un’indagine sui codici linguistici e culturali che definiscono l’opera d’arte, la sua produzione e la sua fruizione, attraverso un set di istruzioni che consente al pubblico di cimentarsi nello sviluppo di un’idea creativa.
Lo scarto tra realtà e finzione è spesso sintetizzato in una capacità favolistica che davvero sospende ogni possibilità di giudizio, lasciando il campo alla molteplicità di suggestioni che ciascuna storia personale introduce nel confronto con l’opera o l’azione. In questo senso, Ball Don’t Lie (video, 2015-2017) demanda alla palla da basket, e ai movimenti dell’artista ripreso da una camera fissa mentre tira al canestro, il responso veridico ad alcune domande che compaiono sovraimpresse come si trattasse di uno spot televisivo degli anni ’80: is there a beginning?
La capacità di creare storie avvincenti – “[…] sospetto, inoltre, che alcuni di voi faranno fatica a dar fiducia alle mie parole, considerando che ho passato diversi anni a raccontare aneddoti in bilico tra il vero e il falso. Ma questa, vi giuro, è vera” (Roberto Fassone, I (never) explain #84, ATPdiary, 2020) […] – diventa un dispositivo per scardinare alcune logiche autoreferenziali legate alla prassi e alla teoria dell’arte. Charades (video e stampa fotografica, 2016) è un lavoro performativo in cui, in presenza di un gruppo di collezionisti, Fassone mima delle opere; il gioco, o la sfida che dir si voglia – chi indovina più opere mimate sarà vincitore, portandosi a casa video e stampa fotografica – consiste in un meccanismo studiato in cui l’imprevedibile – le reazioni suscitate dalla dinamica di gioco – e le finalità stesse dell’azione performata aprono uno scarto sensibile nell’osservare gli osservatori.
Come scrive Stefano Colletto “[…] Per capire il lavoro di Fassone si deve essere dentro quel percorso che, dagli anni Sessanta, ha mutato i linguaggi tradizionali, le articolazioni del concettuale, Art & Language, la svolta performativa tra corpo, video, voce; potremmo dire da Gino De Dominicis a Cesare Pietroiusti fino a Tino Sehgal […]”.
Cover: 13 Roberto Fassone, Concerto. Pas Seul, 2021. Video, colore, suono, 20’30’’. Veduta della mostra a Palazzo Collicola, Spoleto, 2024. Prodotto da Lo schermo dell’arte nell’ambito del progetto Artists’ Film Italia Recovery Fund, coproduzione Azienda Speciale Palaexpo, Mattatoio | Progetto Prendersi cura Montaggio: Roberto Fassone con l’aiuto di Giacomo Raffaelli. Colonna sonora: Lucia Battista. Audio mix: Francesco Fonassi. Fotografia di Giuliano Vaccai. Courtesy l’artista e Fanta-MLN, Milano.