La galleria SpazioA di Pistoia ospita fino al 16 novembre la seconda personale dell’artista Helena Hladilová, intitolata White Shed. Gli spazi sono abitati da animali dalle forme ibride, direttamente ispirati al racconto inventato dall’artista e attraverso il quale la mostra si struttura. Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Hladilová, chiedendole di narrarci – a tutti gli effetti – del processo creativo che ha dato vita alla mostra.
Giulia: Helena nel tuo lavoro l’immaginario fantastico assume un ruolo preponderante: spesso hai raccontato come la maternità ti abbia portato a inventare delle fiabe da narrare ai tuoi figli e come le creature a cui hai dato vita nei tuoi racconti si materializzassero, in un certo senso, attraverso i tuoi lavori. È il caso di questa tua personale da SpazioA, tutto ha inizio da una narrazione fantastica all’interno di un capannone bianco – “White shed”- che diventa anche il titolo della mostra, quasi a voler rimarcare il White Cube della galleria. Puoi parlarci di questo racconto e di quali suggestioni hanno stimolato la tua immaginazione? A quali riferimenti culturali attingi per le tue narrazioni?
Helena: Questo racconto evoca un senso di mistero e magia, stimolando l’immaginazione attraverso la scoperta di creature ibride in un luogo sospeso tra sogno e realtà. Le creature descritte, con la loro fusione di elementi naturali, vegetali e minerali, sembrano uscite da miti o leggende antiche. I riferimenti culturali però sono arricchiti soprattutto dai miei viaggi in luoghi remoti, dove il tempo sembra essersi fermato, e l’artigianalità e le tradizioni antiche sopravvivono come testimonianza di un passato vivo e tangibile.
Giulia: Le sculture degli animali qui esposti appaiono come degli ibridi: corpi che s’innestano su altri corpi, ma anche elementi fitomorfi. A tal proposito, utilizzi spesso nei tuoi lavori materiali diversi che contribuiscono all’idea di una metamorfosi non ancora conclusa. Come scegli i materiali per rappresentare questa trasformazione? E in che modo questi dialogano con il tema della metamorfosi nella tua visione artistica?
Helena: Li scelgo sia durante i miei viaggi, dove recupero materiali tradizionali legati a quelle terre, sia utilizzando risorse locali, come pietre raccolte nei boschi o lungo i fiumi vicino a casa mia. Le mie opere prendono forma attraverso un dialogo costante tra l’esperienza tangibile della materia e la mia immaginazione, in un processo creativo che fonde la realtà con la visione personale.
Giulia: In Orkau (2024) e Warrath (2024) – due delle tue opere innestate su colonna – ho colto un richiamo alla scultura romanica italiana, in particolare ai capitelli zoomorfi che adornano le colonne delle chiese medievali, anche in Toscana. Siamo a Pistoia, una delle gemme dell’arte romanica italiana, pensi che l’immaginario scultoreo di questa città possa aver influenzato o ispirato il tuo lavoro?
Helena: Vivo in Toscana da molti anni, e i numerosi spostamenti in siti ricchi di storia hanno sicuramente ispirato il mio lavoro.
Giulia: Nell’opera Chimanko (2024) hai utilizzato spray acrilico per intaccare il marmo bianco con colori sgargianti, creando un contrasto visivo molto interessante. Questo uso del colore sembra sfidare la tradizionale percezione del marmo come materiale immutabile, aggiungendo un elemento di vitalità e di irruzione del fantastico. Cosa ti ha spinto ad adottare questo approccio?
Helena: In realtà, le statue antiche, come quelle romane, greche e molte altre, come per esempio l’Esercito di terracotta, erano colorate. Il colore non solo copriva il materiale, ma ne esaltava la forma e sottolineava il significato. Nel mio lavoro, mi ispiro frequentemente a tecniche, motivi e materiali dell’arte classica. Le mie opere sono spesso caratterizzate dall’uso di materiali diversi, ciascuno con il proprio colore naturale. Quando invece realizzo un’opera in un unico materiale monocromo, intervengo frequentemente con l’aggiunta di colore.
Giulia: Tornando alla questione del fiabesco, vari studi psicanalitici attestano – penso ad esempio a “Il mondo incantato” di Bruno Bettelheim – come il racconto sia per i bambini uno strumento fondamentale di crescita e di confronto con il mondo degli adulti. Spesso però le favole tendono ad essere edulcorate, eliminando così i loro contenuti più inquietanti che sono però anche quelli più significativi, in quanto contengono gli elementi archetipici che aiutano il bambino a confrontarsi con le proprie paure. Ci sono molti elementi che sfiorano quasi il macabro nelle tue sculture – come, ad esempio, la testa del rettile in Melitai (2024) che grazie allo stacco materiale della pietra lavica si trasforma quasi in una pianta – e la tensione con una trasformazione apparentemente congelata ne amplifica lo spettro di inquietudine. Come vedi il ruolo della fiaba “pura” nella costruzione dell’identità personale e culturale? In che modo per noi adulti queste narrazioni possono servire da veicoli per comprendere le sfide della condizione umana?
Helena: La fiaba è essenziale per lo sviluppo dell’identità, poiché permette ai bambini di affrontare paure e desideri attraverso simboli e archetipi. Per gli adulti, le fiabe rimangono potenti veicoli di riflessione sulle sfide della condizione umana. Le narrazioni che abbiamo interiorizzato da bambini continuano a funzionare come modelli narrativi, aiutandoci a interpretare e affrontare le difficoltà della vita adulta.