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Eduard Angeli. Silentium | Fondazione Vedova, Venezia

Protagonista delle vedute spettrali è il silenzio assordante delle calli e dei canali di una Venezia priva di vita, còlta in una stasi metafisica e meditativa.
Eduard Angeli, Il Redentore, 2016, sanguigna su tela di juta, 190×300 cm | ph. Nikolaus Korab, Wien

Fino al prossimo 24 novembre, una serie di prospettive laconiche su angoli nascosti e deserti di Venezia apre tante ideali finestre sulla città lagunare all’interno dello spazio del Magazzino del Sale ove ha sede la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova. Silentium è il titolo scelto per la mostra a cura di Philip Rylands di 14 paesaggi urbani del pittore austriaco Eduard Angeli (Vienna, 1942), vedute spettrali di volumi architettonici compatti che disegnano geometrie astratte su cieli tersi o totalmente plumbei, privi di qualsivoglia resa atmosferica. E il protagonista è proprio il silenzio delle calli e dei canali di una Venezia còlta in una stasi metafisica e meditativa. La mostra celebra il ritorno artistico del pittore nella laguna dopo quattro anni da quando se ne era allontanato a seguito dell’acqua alta da record del 12 novembre 2019, che aveva provocato l’inondazione della casa-atelier a Lido dove abitava da quindici anni e il danneggiamento delle opere ivi conservate. Il programma espositivo della Fondazione solitamente punta a mettere in correlazione dialogica l’opera di Emilio Vedova con quella degli artisti ospitati; rispetto all’incontenibile violenza espressiva e alle imprevedibili esplosioni segniche dell’artista veneziano, la pacatezza fosca delle vedute di Angeli, con le loro geometrie rigorose e compatte, appare calibrata su un registro molto differente. Il Presidente della Fondazione Alfredo Bianchini ha motivato così questa scelta, apparentemente contraddittoria: “immaginando un dialogo-confronto Angeli-Vedova non sarebbe possibile, a mio modo di vedere, ipotizzare forzate coincidenze e/o sovrapposizioni fra i due artisti. Tuttavia, un dato di fondo li accomuna. Intendo riferirmi a un tema ricorrente in Vedova, cioè lo scontro di situazioni. Uno scontro di situazioni infinito nel percorso umano che, sintetizzato, esprime il contrasto fra il bene e il male, in tutte le accezioni e manifestazioni. In fondo il silenzio di Eduard Angeli sembra un grido-scontro incontenibile che raggiunge tutte le parti del mondo”.

Eduard Angeli, Nebbia, 2018, carboncino su tela, 190 × 300 cm | ph. Nikolaus Korab, Wien
Eduard Angeli, Malamocco, 2018, pastello su tela di juta, 190 × 300 cm | ph. Nikolaus Korab, Wien

Il Ponte del Redentore (2016) totalmente deserto, con la sua prospettiva centrale che fa convergere l’occhio sulla chiesa di Palladio, mentre il cielo si tinge di un uniforme tono ocra, è il manifesto più esplicito di un’inconsueta e straniante assenza di vita, che ammutolisce il giorno di festa celebrante la fine della peste nel 1577. E il pensiero va ad un altro periodo di “pestilenza” e di città ammutolite, quello della pandemia che ha messo il mondo in stasi criogenica; ma è da molto tempo che Angeli ha fatto del silenzio l’oggetto dei suoi interessi pittorici, riuscendo in qualche modo a prefigurare lo scenario alienante di cui avremmo fatto tutti esperienza nelle nostre città a partire dai primi mesi del 2020. Come scrive Klaus Albrecht Schröder nel suo testo presente nel catalogo edito da Marsilio che accompagna la mostra, “a eccezione di alcuni primi dipinti, Angeli non ha mai smesso di dedicarsi all’immobilità del mondo. Da oltre vent’anni ritrova questo tema nel mito della città morta. Questi quadri sono visioni interiori di un silenzio crepuscolare e fanno di Angeli una figura straordinaria nel panorama artistico contemporaneo”. Lo scorcio del Redentore è l’unico immediatamente riconoscibile in una Venezia osservata con uno sguardo obliquo, rivolto ad angoli nascosti e anonimi, isolati dalla scenografia di calli e canali solitamente così caratteristici. Nella veduta di un Ponte (2005) ridotto alle sue linee essenziali o nella prospettiva centrale di una fondamenta che si scioglie nella nebbia nel suo punto di fuga (Nebbia, 2018) è assente qualsiasi elemento che possa aiutare a individuare le coordinate del luogo che è stato oggetto dello sguardo astraente e malinconico di Angeli. Solo in Malamocco (2018) il titolo dà un’indicazione sulla località della laguna oggetto degli interessi del pittore; ma si tratta comunque della rappresentazione di un anonimo muro arancione che forse perimetra una terrazza, il cui panorama è negato alla vista. La semplificazione dei tratti fa risaltare l’ombra netta del muro adiacente, l’intonaco sbrecciato, la finestrella non allineata al colmo del tetto, le due catene asimmetriche.

Eduard Angeli, Il canale 7, 2007, olio su tela, 190 × 240 cm, Collezione privata | ph. Lothar Bienenstein, Wien
Eduard Angeli, La lanterna, 2023, carboncino e gesso su tela, 190 x 300 cm | ph. Nikolaus Korab, Wien

Se in Il Canale 7 (2007) la calle risulta serrata dalla claustrofobica griglia ortogonale dei muri e dell’acqua, in La lanterna (2023) la prospettiva della composizione costruita mediante la linea dell’orizzonte e l’edificio sulla sinistra è scardinata da due scie di aerei che solcano il cielo, dall’ombra obliqua di un altro edificio alle spalle dell’inquadratura e, soprattutto, dal ricciolo di una lanterna e dalla sua ombra proiettata sulla facciata scorciata con orientamento opposto rispetto alle linee di fuga. Un Ombrellone (2017), la scritta “Bar” sulla tendina di un’attività commerciale (Il Bar, 2016) o un piccolo Altoparlante (2012) sono gli unici elementi connotati in grado di ancorare lo sguardo in composizioni architettoniche altrimenti centrifughe. E l’altoparlante, perfettamente allineato al punto di vista dell’osservatore rispetto alla facciata del ristorante posta in tralice, è forse la sorgente prima del silenzio assordante che si specchia e ristagna nell’acqua di molte opere esposte. Solo alcune silhouette non sono ancora state inghiottite nella distesa ormai uniforme di acqua e cielo – ottenuta a risparmio sulla tela lasciata grezza – de La laguna tranquilla (2022). E sulla stessa, immensa distesa d’acqua che pare ormai aver abbracciato tutto il globo galleggia, minacciosa, L’isola della peste (2015), in verità un’isola-fortezza al largo di San Pietroburgo, che venne destinata alla fine dell’Ottocento a ricerche batteriologiche, sfociate però in un’epidemia che interessò gli stessi medici che vi operavano. E forse il silenzio tombale manifesta un nuovo morbo dell’anima, che ha reso vano ogni festeggiamento sul Ponte del Redentore.

Eduard Angeli, L’ombrellone, 2017, carboncino su tela di juta, 190 × 300 cm | ph. Lothar Bienenstein, Wien
Eduard Angeli, Il bar, 2006, carboncino e gesso su tela, 190 × 300 cm, the ALBERTINA Museum, Vienna | ph. Lothar Bienenstein, Wien
La laguna tranquilla, 2022, carboncino e gesso su tela, 140 × 280 cm | ph. Nikolaus Korab, Wien
Eduard Angeli, L’isola della peste, 2015, carboncino su tela, 190 × 300 cm | ph. Nikolaus Korab, Wien