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VEDOVAMAZZEI. LRVM | Repubblica di San Marino

Una mostra diffusa traccia una panoramica della produzione del duo napoletano, tra sottili citazionismi e affondi causticamente ironici nelle criticità del presente.
VEDOVAMAZZEI, Early Works (Scipione Borghese A e B), 2021, veduta dell’installazione Torre Guaita San Marino | foto Cosimo Filippini

Raccogliendo il testimone della mostra Altana, dedicata nel 2022-2023 all’opera di Stefano Arienti, il territorio della Repubblica di San Marino torna a fare da cornice ad un progetto espositivo diffuso, che questa volta delinea una panoramica della produzione del duo VEDOVAMAZZEI, fondato nel 1991 da Simeone Crispino (Afragola, 1962) e Stella Scala (Napoli, 1964). LRVM – Libera Repubblica Vedova Mazzei costituisce così la seconda tappa del programma di iniziative SM-Art. Sensibilità artistiche dagli anni Novanta, promosso dalla galleria Claudio Poleschi Arte Contemporanea e coordinato da un comitato scientifico composto da Fabio Cavallucci, Giacinto di Pietrantonio e Angela Vettese, i quali si alternano alla curatela delle varie edizioni; quest’anno è il turno di Giacinto di Pietrantonio, che con questa mostra dà seguito all’obiettivo generale del progetto pluriennale, vale a dire proporre affondi monografici sull’opera di importanti rappresentanti della generazione di artisti italiani emersa negli anni Novanta, in modo anche da evidenziarne la sostanziale discontinuità rispetto alle correnti dominanti del decennio precedente. Come scrive di Pietrantonio nel catalogo che accompagna la mostra, i VEDOVAMAZZEI hanno fatto della non riconoscibilità e dell’assenza di stile i fondamenti della propria poetica, in risposta alla soggettività narcisistica e solipsistica tipica degli anni Ottanta. Nello spirito di SM-Art, tutto ciò trova espressione nel dialogo con il patrimonio storico e culturale di San Marino, dato che alcune opere si prestano a farsi installazioni all’interno di luoghi nevralgici della repubblica. Nel cuore della Torre Guaita – la più antica delle tre rocche che dominano la città – trova collocazione Appliance nr. 4 (2018), costituita da una sedia che poggia uno dei suoi gambi su una lampadina accesa. La fonte di luce è un chiaro punto debole sul piano strutturale: ciò comporta, nelle parole del curatore, un “depotenziamento utilitario”, dato che disincentiva il potenziale fruitore a sedervisi, perché è facile immaginare che ciò comporterebbe la rottura della lampadina e il conseguente rovesciamento della sedia. In una torre costruita allo scopo di tenere sotto controllo il territorio circostante, la sedia precaria, che non consente il riposo, può facilmente rappresentare l’atto di costante vigilanza delle guardie a difesa della libertà della repubblica più antica del mondo.

Nelle vicine prigioni storiche, impiegate dal XVIII secolo fino al 1959, trova invece collocazione la coppia di sculture in bronzo dal titolo Early Works (Scipione Borghese) (2021). Trattasi di busti antropomorfi dai lineamenti abbozzati, il cui iter produttivo prevede, come in generale tutta la serie Early Works, di invitare dei bambini a disegnare libere interpretazioni di opere rappresentative della storia dell’arte di ogni tempo; disegni che poi fungono da modelli per i VEDOVAMAZZEI nella realizzazione dei propri lavori. In questo caso, i soggetti sono i due busti-ritratto gemelli realizzati nel 1632 da Gian Lorenzo Bernini per il cardinale Scipione Borghese. In sé la coppia di opere funge da spunto di riflessione intorno al concetto di errore, dato che il grande scultore barocco non realizzò il secondo busto per richiesta esplicita del committente, bensì in quanto riteneva che la prima versione non avesse raggiunto un adeguato livello di qualità; aspetto, questo, che innesca un cortocircuito rispetto all’interpretazione più schematica che ne dà il bambino, apparentemente “erronea” ma in fondo purificata da ogni precognizione e influenza. La collocazione di questi Early Works nelle prigioni della rocca è motivata dal fatto che, in questo modo, le opere possono dialogare con i disegni tracciati stentatamente nei secoli dai prigionieri sulle pareti interne delle celle, testimonianze creative altrettanto naif e autentiche nella loro semplicità fiabesca. Altra tappa della mostra diffusa è la Galleria Nazionale di San Marino, che ospita nella sua sala centrale The Notes (Studio per mappatura Repubblica di San Marino) (2024), una coppia di guanti bianchi decorata sui palmi con un disegno raffigurante una mappa stilizzata del territorio sanmarinese, che ne mette in evidenza i monumenti più importanti. L’opera è parte di una serie di lavori simili che VEDOVAMAZZEI porta avanti da molti anni, dedicati ciascuno ad una città differente. L’ispirazione deriva da una pratica peculiare attestata a Londra nel ’700, vale a dire l’impiego da parte delle giovani nobildonne di guanti su cui erano tracciate mappe che permettevano loro di muoversi in autonomia nella città. I guanti-mappe realizzati per LRVM tracciano il percorso compiuto dai Reggenti della Repubblica nel corso delle cerimonie ufficiali e indicano tra i punti di interesse anche la galleria Claudio Poleschi Arte Contemporanea, situata nel paese sanmarinese di Dogana, in cui è allestita un’ampia retrospettiva del lavoro di VEDOVAMAZZEI, con opere che vanno dai primi anni Novanta al presente.

Veduta esterna della mostra Claudio Poleschi Arte Contemporanea | foto Cosimo Filippini

Giunti (magari proprio grazie alla guida della mappa) di fronte allo spazio espositivo, si viene accolti da due lavori posti in vetrina: un pendolo in azione munito di una punta di luce (Loading, 2006) e una cifra in neon, che corrisponde al numero fisso della galleria stessa riprodotto con la calligrafia del titolare (0549 908409 Border Phone, 2024). La semplicità delle opere nasconde una sottile vena di malinconia: da una parte la luce che oscilla a ritmo regolare, scandendo il tempo senza misurarlo, invita ad un’attesa che non potrà essere premiata da una rivelazione; dall’altra, il numero esprime una ormai anacronistica aderenza ad un luogo specifico distillato nella sua essenza (mentre il numero di un cellulare sarebbe più immediatamente associabile al proprietario, seguito in tutti i suoi spostamenti). All’interno della galleria, si manifesta ancor più compiutamente al visitatore la grande versatilità espressiva dei VEDOVAMAZZEI, data la varietà dei lavori dal punto di vista dei formati e dei materiali impiegati, oltre che delle finalità ad essi sottese, tanto che può capitare anche che opere tra loro affini sul piano formale tendano verso direzioni molto diverse. Le sequenze a parete di cartoncini bristol dei più vari colori, sottoposti all’unico intervento espressivo dello stropicciamento (Wrong paper, 2007), intendono coniugare in modo dichiarato e diretto due topoi dell’espressività contemporanea, vale a dire l’estetica ready made e la valorizzazione dell’“errore” come fattore di scompaginazione del buon gusto. Se in quei cartoncini venati da pieghe l’eco visiva di tanti episodi della storia della pittura astratta è unicamente finalizzata ad innescare una riflessione sul piano concettuale, in Dramatic story about solitude (cum shot) (2020), quella stessa chiave estetica – composizioni parietali di fogli di vari colori – viene caricata di un significato respingente e tragico: piuttosto che intervenire sui fogli mediante un atto di stropicciamento, si opta per apparenti schizzi di colore simil-dripping (che da vicino si rivelano essere cartoncini ritagliati a papier collé), i quali riproducono minuziosamente le tracce del piacere onanista di un clochard, lasciate nella notte sulla vetrina di un negozio di lingerie vicino all’abitazione degli artisti.

Veduta della mostra Claudio Poleschi Arte Contemporanea | foto Cosimo Filippini
Veduta della mostra Claudio Poleschi Arte Contemporanea | foto Cosimo Filippini

La medesima dicotomia tra un’apparentemente innocua piacevolezza formale percepita da una certa distanza e il disvelamento di un elemento perturbante una volta che l’opera è osservata più da vicino si manifesta in un’altra composizione regolare di quadretti, stavolta dipinti ad olio ed acquerello e rappresentanti dei paesaggi marini dai tratti blandamente romantici, che però devono fare i conti con la presenza indesiderata di chewing gum masticati dagli artisti, che fungono da firma (Chewing gum and sea scape, 2018). Le nuvolette dipinte nei cieli da cartolina vengono totalmente trasfigurate in sedici rotoli di nastro adesivo, variabili nei colori e nei formati, parzialmente svolti su un ripiano bianco a circa un metro da terra; evocazione poetica dei cieli mutevoli della repubblica (Le nuvole di San Marino, 2003/2024). Pur nella varietà delle soluzioni formali, un elemento ricorrente è il citazionismo più o meno dichiarato di importanti antecedenti storico-artistici. Se le cartine di sigarette incollate tra loro in Smoking paper (2007-2010) sembrano parlare la stessa lingua degli Achrome di Piero Manzoni, gli omaggi più espliciti sono presenti nelle numerose opere della serie Early Works presenti nella galleria, che però, rispetto alle due sculture collocate nelle prigioni della Torre Guaita e afferenti allo stesso corpus, riproducono le liberissime interpretazioni prodotte da bambini di capolavori del passato più o meno remoto mantenendosi fedeli alle due dimensioni. Oltre ai piccoli ricami su stoffa che riprendono il San Giorgio e il drago di Paolo Uccello, La nascita di Venere di Botticelli o Il ritrovamento di Vulcano di Piero di Cosimo, spiccano per le grandi dimensioni (rispettivamente 375 e 237 cm di larghezza) una Marilyn warholiana dalla testa enorme (Early Works (Marilyn Monroe by Andy W.), 2021) e la riproduzione della African-American Flag di David Hammons (Early Works (David Hammons), 2021). Oltre a lavori di grande formato come questi ultimi, i VEDOVAMAZZEI lavorano molto anche sulla piccola scala. Valorizzano questa produzione più minuta alcune scelte di allestimento: proprio di fronte all’ultimo Early Work menzionato è posta una sferetta di vetro soffiato che richiama i souvenir kitsch da agitare per far piovere la finta neve sulle figurine in miniatura poste all’interno, ma che in questo caso contiene una “palla di neve” in plastica, omaggiando la celebre performance dello stesso Hammons dal titolo Bliz-aard Ball Sale (1983), in cui l’artista, al lato di una strada, offriva in vendita palle di (vera) neve di diverse grandezze, riflettendo sulla natura effimera dell’arte (Tribute to David Hammons, 2021). Sulla parete opposta, à pendant rispetto alla bandiera rossa e verde stilizzata, ecco dei riquadri che si rifanno all’estetica dell’Op-Art, e che in verità visualizzano in macchie evanescenti di colore le sensazioni esperite da persone in stato di coma, ricavate dalle analisi delle apparecchiature mediche (Time without example, 2000).

Veduta della mostra Claudio Poleschi Arte Contemporanea | foto Cosimo Filippini
Veduta della mostra Claudio Poleschi Arte Contemporanea | foto Cosimo Filippini

In mostra è presente anche un’altra palla-souvenir che stavolta contiene alcune figurine, tra cui gli artisti ritratti nudi come Adamo ed Eva, in balia, come il resto di quell’umanità in miniatura, dei “cataclismi” prodotti dall’agitazione della palla di vetro, a rappresentare la caducità della vita (Stella e Simeone (Giudizio universale), 2024). Se in Ogni riferimento ad altre opere è puramente casuale (1993) la sequenza di cagnolini aureolati in plastica gioca con l’estetica kitsch dei presepi inserendosi – ma in modo, appunto, dichiaratamente “casuale” – nel filone delle rappresentazioni dei cani nella storia dell’arte facendo inusitatamente assurgere questi animali alla santità, altri lavori di formato “soprammobile” affondano il coltello con caustica ironia nelle tematiche più pressanti del nostro tempo: i Satelliti (1999) in vetro soffiato parlano dell’importanza e, insieme, della fragilità dei dispositivi da cui dipendono tutte le comunicazioni terrestri, assiepati in un cielo sempre più ingombro di rottami cosmici; invece Go Wherever you Want, Bring Me Wherever you wish (2001) è il modellino di un tir il cui cassone aperto è trasformato in un laghetto su cui galleggia una barchetta, alludendo ai paesaggi bucolici di tanta pittura impressionista, ma in questo caso al posto dell’acqua c’è dell’olio esausto, uno dei rifiuti più inquinanti e difficili da smaltire. Una graziosa scultura in ceramica che rappresenta una pila di materassi con decori floreali parla della crisi sociale dei senzatetto, che li recuperano dalle strade per usarli come giacigli (My Weakness, 2014). Ma l’immagine più potente è quella di un uccellino imbalsamato, ancora ad ali spiegate, con il becco conficcato in una parete, evidentemente dopo aver perso l’orientamento, a rappresentare così i danni irreparabili provocati dall’uomo sull’ambiente (Storno, 1994/2018). La mostra è suggellata da alcuni piccoli dipinti ad acrilico, dal titolo Render story (2024), che tramutano in opera alcune istantanee scattate con lo smartphone durante l’allestimento della mostra stessa: la sedia con la lampadina nella Torre Guaita, l’esterno della galleria e , infine, uno scorcio del gallerista e del curatore che si muovono all’interno con, sullo sfondo, l’ennesima rappresentazione reiterata della Marilyn, identica (se non per le misure) alla già fedele riproduzione dei VEDOVAMAZZEI della precedente interpretazione infantile – questa, totalmente libera – di un’immagine seriale che, a sua volta, aveva già tramutato in icona il volto originario.

VEDOVAMAZZEI, Le Nuvole di San Marino, 2003_2024, dettaglio, Nastri adesivi colorati | foto Cosimo Filippini
VEDOVAMAZZEI, Go Wherever You Want, Bring Me Whatever You Wish (Model) | foto Cosimo Filippini
VEDOVAMAZZEI, Storno, 2018_1994, Tassidermia storno | foto Cosimo Filippini
VEDOVAMAZZEI, My Weakness, 2014 Ceramica colorata | foto Cosimo Filippini