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Le opere video di Meredith Monk e Valentina Medda nei luoghi storici di Bologna

Durante il weekend bolognese di mostre ed eventi di Art City (1-4 febbraio), in coincidenza con Arte Fiera, il ricco calendario offriva oltre 250 proposte distribuite su tutto il territorio metropolitano della città. Ad essere interessati non erano soltanto i classici spazi espositivi pubblici e privati, come musei civici e gallerie, ma anche edifici e […]

Meredith Monk, Bloodline Shrine, a cura di Caterina Molteni, Pio Istituto delle Sordomute Povere, veduta d’allestimento | Foto di Valentina Cafarotti e Federico Landi di Migliorare con l’età

Durante il weekend bolognese di mostre ed eventi di Art City (1-4 febbraio), in coincidenza con Arte Fiera, il ricco calendario offriva oltre 250 proposte distribuite su tutto il territorio metropolitano della città. Ad essere interessati non erano soltanto i classici spazi espositivi pubblici e privati, come musei civici e gallerie, ma anche edifici e contesti storici, prestati all’arte per l’occasione; in particolare, due progetti audiovisivi si sono distinti per aver dialogato con luoghi oltremodo suggestivi e inusuali, immersi nell’oscurità.

All’interno del Pio Istituto delle Sordomute Povere in via della Braina, fondato nel 1845 da monsignor Pietro Buffetti per dare assistenza a bambine e adolescenti non udenti provenienti da famiglie in difficoltà, tutto sembra rimasto immutato da più di un secolo. Esplorando le sale si incontrano i vecchi strumenti per il cucito e una vera e propria aula scolastica, con gli originali banchi in legno. Qui si promuoveva la riabilitazione delle bambine secondo i principii dell’oralismo, un approccio che mirava all’insegnamento della lingua parlata facendo leva sui residui uditivi. Attraversando le sale, si percepiscono in lontananza delle voci modulate in diverse tonalità a comporre un variegato canto a cappella. Superata l’aula, ci si ritrova all’interno del dormitorio dell’istituto, immerso in una pressoché totale oscurità. Una fuga di letti si allinea regolare lungo il muro. In fondo alla stanza, ecco l’origine del canto: l’installazione Bloodline Shrine di Meredith Monk, un ensemble a cinque voci che associa alcuni estratti dell’opera musicale Cellular Songs (2018) a cinque filmati trasmessi da una batteria di monitor. Ognuno di essi mostra il volto di uno degli interpreti e ne evoca la storia pregressa e la fisicità, mediante sequenze di fotografie dei rispettivi antenati e radiografie mediche. L’opera mette al centro il concetto di cellula come modello di cooperazione e interdipendenza che genera la vita degli organismi, ma che, al contempo, se intesa come “cellula ritmica”, permette le figurazioni del ritmo musicale. Il canto, i corpi che emettono quei suoni, le genealogie che hanno condotto dopo innumerevoli generazioni alla nascita degli interpreti sono tutti sistemi profondamente complessi resi possibili dalla cooperazione di tanti elementi microscopici. Per Monk ogni voce è il “santuario della stirpe” dell’individuo, di cui manifesta l’impronta sul mondo; le ricerche dell’autrice sulla modulazione vocale hanno lo scopo di creare una lingua universale priva di parole che esprima quel fattor comune, quel nucleo di essenza che ci rende umani. Scrive Monk che “nella voce ci sono infinite possibilità di timbro, struttura, carattere, genere, modalità di produrre suono. Ho scoperto che in un’unica voce c’è l’uomo e la donna, tutte le età, le sfumature di un sentire di cui non riusciamo a trovare le parole”. Nell’allestimento bolognese, curato da Caterina Molteni, il canto si riverbera nel buio del dormitorio; in esso, risuonano le vocalizzazioni delle tante bambine che in quegli ambienti sono vissute e hanno acquisito la capacità di parlare.

Meredith Monk, Bloodline Shrine, a cura di Caterina Molteni, Pio Istituto delle Sordomute Povere, veduta d’allestimento | Foto di Valentina Cafarotti e Federico Landi di Migliorare con l’età
Meredith Monk, Bloodline Shrine, a cura di Caterina Molteni, Pio Istituto delle Sordomute Povere, veduta d’allestimento | Foto di Valentina Cafarotti e Federico Landi di Migliorare con l’età

Un altro progetto audiovisivo che si è giovato del buio e della suggestione di un luogo storico di Bologna è stato The Last Lamentation di Valentina Medda, opera video realizzata grazie al sostegno dell’Italian Council (XI Edizione, 2022) e presentata per la prima volta al pubblico nella Sala delle Catacombe del Cimitero Monumentale della Certosa, in tarda serata, quando l’oscurità cala sulle sepolture e sulle statue che vegliano su di esse. Il progetto, a cura di Maria Paola Zedda, racconta per immagini un rituale funerario per il Mediterraneo: dodici donne vestite a lutto formano una lenta processione verso il mare, ispirata alla tradizione del lamento funebre. Questa pratica è interpretata dall’antropologo Ernesto De Martino, nel suo saggio Morte e pianto rituale, come un modo per elaborare il dolore della perdita attraverso una serie di gesti codificati e condivisi con la comunità. In quest’ottica, il Mediterraneo è concepito “come luogo di attesa, sospensione e trapasso, incarnazione di un’assenza – deposito di cadaveri, e cadavere in sé”. Una volta giunte al mare, le donne sono inquadrate di spalle; si passano le mani tra i capelli, esprimendo un dolore atavico e universale; infine, si alzano il velo sul capo. Il sussurro assordante delle loro voci è un “grido condiviso, un rito che guarda al coro come all’unico linguaggio possibile per raccontare una tragedia contemporanea”, nelle parole dell’artista. Che aggiunge: “Nel piangere per il Mediterraneo e i suoi morti tento di ridare dignità, attraverso un’azione poetica e politica, a quelle vite considerate sacrificabili, quelle che non meritano nemmeno il lutto, come afferma la filosofa Judith Butler. In questo lavoro, infine, mi interrogo anche sulla natura del corpo da una prospettiva postfemminista, suggerendo la possibilità di un corpo liquido da un lato e di una creatura acquea dall’altro”. Il percorso compiuto dal visitatore lungo i corridoi e i chiostri della Certosa fino al luogo di proiezione, attraverso una fitta penombra squarciata qua e là solo da fari rossastri, è esso stesso una processione funebre, che invita a riflettere sulla solennità del riposo eterno dei tanti individui sepolti nei loculi disposti lungo il cammino; ma anche sulle innumerevoli storie di vita che non hanno il privilegio di essere ricordate da un nome su una lastra di marmo o da una fotografia, persone di cui rimane ignota perfino l’effettiva esistenza passata, perché inghiottite dai flutti del Mare Nostrum.

Valentina Medda, The Last Lamentation, 2023, still frame da video | Courtesy l’artista
Valentina Medda, The Last Lamentation, 2023, still frame da video | Courtesy l’artista
Valentina Medda, The Last Lamentation, 2023, still frame da video | Courtesy l’artista
Valentina Medda, The Last Lamentation, 2023, still frame da video | Courtesy l’artista