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Francesco Carone. Nevermore | SpazioA, Pistoia

“[…] il silenzio pur non fu / rotto, e solo, solo un nome s’udì gemere: «Lenora!» / Io lo dissi, ed a sua volta rimandò l’eco: «Lenora!» / Solo questo e nulla più!”. Sono questi i versi che aleggiano nell’atmosfera sospesa della galleria SpazioA per la mostra Nevermore (fino al 20 gennaio). In occasione della […]

Francesco Carone, Nevermore, veduta della mostra, SpazioA, Pistoia | photo Camilla Maria Santini, courtesy the artist and SpazioA, Pistoia

“[…] il silenzio pur non fu / rotto, e solo, solo un nome s’udì gemere: «Lenora!» / Io lo dissi, ed a sua volta rimandò l’eco: «Lenora!» / Solo questo e nulla più!”. Sono questi i versi che aleggiano nell’atmosfera sospesa della galleria SpazioA per la mostra Nevermore (fino al 20 gennaio). In occasione della sua sesta personale nello spazio, Francesco Carone (Siena, 1975) espone nove opere realizzate nel 2023, nove “arredi di mancata consolazione” come li definisce il curatore Alessandro Rabottini, disposte a simulare lo spettrale ambiente domestico di cui Edgar Allan Poe scrive ne “Il Corvo”. Nel componimento un uomo senza nome, chiuso nella sua stanza, piange la perdita di Lenora, la donna amata. D’improvviso sente bussare alla finestra. Apre e dall’oscurità emerge un corvo che si adagia sulla statua di Pallade Atena, la dea della saggezza. L’uomo cerca da lui risposte, in particolare sulla possibilità di rivedere l’amata, ma la risposta del corvo rimane costante: “Nevermore!”. Nonostante sia consapevole che la risposta non cambierà mai, il protagonista persiste nell’interrogare, incapace di trattenere la speranza. Tuttavia, questa speranza appare sempre più illusoria; ciò che permane è soltanto la sofferenza, un dolore immutabile che il passare del tempo non attenua, bensì perpetua in una tortura senza fine, annullando ogni altra parola in un silenzio assordante. Lo stesso silenzio che dilaga nello spazio espositivo. Le opere in mostra sono realizzate tramite oggetti di recupero, esposti al logorio del tempo, e qui modificati dall’artista nel tentativo di sottrarli alla loro fine, donandogli quella nuova, “inutile” funzione che spetta all’arte. Solo attraverso questo processo di risemantizzazione in opere d’arte gli oggetti hanno la possibilità di essere tratti in salvo e di restare immobili nel tempo, che, noncurante, continua a procedere. Tuttavia, non emerge la sensazione di un processo salvifico, quanto un’incapacità di trasformazione assimilabile ad una prigionia nell’eternità di un attimo fermo nel tempo. Di un irrevocabile “mai più” che le blocca nel momento stesso in cui sono presentate al pubblico.

Francesco Carone, Cura della follia, 2023, cemento, cm 39 x 22 x 25.5 | photo Camilla Maria Santini, courtesy the artist and SpazioA, Pistoia

Come in E fu sera e fu mattina dove una bandiera italiana talmente logorata dal tempo ha perso il suo colore rosso, e dunque la sua identità visiva. Carone ha agito su di essa imprimendovi un cerchio e un semicerchio dorati, dai quali è possibile immaginare due soli (o due lune?) che scandiscono l’evoluzione del tempo con le loro fasi alterne. O ancora in Deposizione (Mond) un tessuto liscio, precedentemente impiegato come copertura per una tavola da biliardo, è ora trasformato e impreziosito dall’aggiunta della foglia d’oro. Da elemento associato a un contesto ludico e ordinario, l’oggetto si fa opera, sottolineando la capacità dell’arte di trasformare e ridefinire la percezione degli oggetti nel quotidiano. Ma Nevermore è anche il titolo dell’opera che si innesta al centro dello spazio e che, attraverso l’assemblaggio angolare di tre coperchi per pianoforte, sembra evocare quel nero profondissimo che emerge dalla finestra da cui entra il corvo della poesia. L’estrapolazione dei coperchi dall’oggetto “pianoforte” e la loro successiva collocazione nello spazio espositivo sembrano alludere alla fine della musica, e di conseguenza della bellezza e della felicità. Lo stesso accade in Cura della Follia dove l’assenza di una melodia è enfatizzata dalla presenza di una cassa apparente, che si rivela essere unicamente un blocco di cemento posato a terra. Alba e tramonto (ombre proprie e ombre portate) presenta una stampa su carta di uno studio di un percussionista tratto da un’opera di Watteau, celebre per le sue rappresentazioni di scene galanti e pastorali intrise di una malinconica ed effimera bellezza, con a fianco un tamburo recuperato. Come un invito alla riflessione sulla brevità della vita e sull’impossibilità di fermare il fluire del tempo, l’opera incarna l’incessante ricerca dell’umanità di afferrare e trattenere momenti di bellezza e di perfezione, anche se questi sono destinati a svanire, lasciando solamente le ombre di ciò che un tempo è stato.

Francesco Carone, Nevermore, veduta della mostra, SpazioA, Pistoia | photo Camilla Maria Santini, courtesy the artist and SpazioA, Pistoia
Francesco Carone, Alba e tramonto (ombre proprie e ombre portate), 2023, tamburo recuperato, ottone, stampa su carta (studio dal Départ de garnison di A. Watteau), cm 58 x 50 x 16.5 | photo Camilla Maria Santini, courtesy the artist and SpazioA, Pistoia

Un’asta e una fiamma compongono Prometeo, un’opera attraverso la quale l’artista attua un’analogia tra l’uomo senza nome, protagonista del componimento di Edgar Allan Poe, e il titano della mitologia classica. Noto per aver rubato il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini, Prometeo venne punito da Zeus e incatenato a una colonna mentre un’aquila gli divorava il fegato ogni giorno, per poi vederselo ricrescere ogni notte, subendo così un tormento eterno. In entrambe le storie un volatile, sia esso un corvo o un’aquila, si fa portatore del dolore da infliggere ripetutamente al protagonista, in maniera fisica o verbale, e nello specifico all’uomo o a chi ne era amico. Una ripetizione continua che in entrambe le narrazioni sembra sottolineare una specie di continuum temporale, dove il tempo scorre incessantemente ma in verità non evolve mai, immobile nella sua dolorosa costanza. In questo ambiente tra l’onirico e il mitologico, Sirena (Scia) appare come l’unica parvenza di vita. La testa di ceramica trascina una corda erosa mentre è immersa in una carta da parati di plastica che ricorda il pluriball, materiale usato per proteggere e trasportare oggetti fragili che sono in una fase di transizione. Per una contemplazione sulla natura fuggevole delle narrazioni mitologiche e delle nostre stesse realtà, l’opera invita ad esaminare gli abbandoni e la fragilità intrinseca alle vite umane, alle storie che creiamo e interpretiamo. Eppure, una flebile speranza permane. Almeno così si percepisce da Karan, un’opera dal titolo emblematico, in quanto riprende una parola ebraica utilizzata nella Torah per descrivere il volto luminoso di Mosè. Su un calco in gesso del Mosè di Michelangelo, Carone innesta al posto della testa una lampada che diffonde luce nell’ambiente, aprendo così uno spazio di contemplazione e di riflessione. È l’intelletto umano che si nasconde dietro gli angoli della mente, come l’opera si nasconde dietro un angolo della galleria, e, illudendoci di poterlo ingannare con la forza dell’arte, esso illumina il nostro sentiero verso un’epifania della consapevolezza, che, anche se flebilmente, riscalda ma non consola. Tutto ciò è però contemplato con gli occhi della morte fin dalla prima opera in cui ci si imbatte all’ingresso della mostra. Bulbo è ciò che resta dello sgabello di quei pianoforti che si trovano al centro dello spazio e che parrebbe invitare chi vi entra a sedersi, se al posto della seduta non ci fosse una sfera di terracotta dipinta con la pece, che ne elimina la funzionalità. Una sfera che sembra scrutare le opere in mostra come se fosse l’occhio di quel corvo, e dunque, di quella morte di cui lo stesso Pavese sentenzia la dimensione gnomica: “Per tutti la morte ha uno sguardo”.  

Francesco Carone, Nevermore, veduta della mostra, SpazioA, Pistoia | photo Camilla Maria Santini, courtesy the artist and SpazioA, Pistoia
Francesco Carone, Karan, 2023, antico frammento di un modello in gesso del Mosè di Michelangelo, faretto alogeno, cm 50 x 20 x 23 | photo Camilla Maria Santini, courtesy the artist and SpazioA, Pistoia
Francesco Carone, E fu sera e fu mattina, 2023, foglia oro su frammento di bandiera trovata, cm 214 x 112 | photo Camilla Maria Santini, courtesy the artist and SpazioA, Pistoia