ATP DIARY

:AFTER Festival, AFTER HISTORY, AFTERLIFE

Durate il mese aprile si è svolto nel territorio siciliano :AFTER Festival diffuso di architettura in Sicilia, un progetto che ha voluto proporre  un’analisi multidisciplinare delle architetture che hanno caratterizzato gli ultimi 100 anni (1922-2022) dell’isola. Il festival ha mostrato un modalità per  rivedere e riscrivere una parte della storia siciliana alla quale è stata rivolta […]

:After. Festival diffuso di Architettura in Sicilia, Giorno uno, 2023. Photo Credit: Giacomo De Caro

Durate il mese aprile si è svolto nel territorio siciliano :AFTER Festival diffuso di architettura in Sicilia, un progetto che ha voluto proporre  un’analisi multidisciplinare delle architetture che hanno caratterizzato gli ultimi 100 anni (1922-2022) dell’isola. Il festival ha mostrato un modalità per  rivedere e riscrivere una parte della storia siciliana alla quale è stata rivolta poca attenzione, valorizzandone il patrimonio e cercando di trasformare una visione romanticizzata che prolifera nella rappresentazione di un sud poco sviluppato, per avviare con una nuova forma di storicizzazione. L’obiettivo è cambiare il punto di vista e indagare le possibilità del territorio nel tentativo di offrire una seconda vita alle sue architetture. 
:After è un progetto di Pietro Airoldi, Lisa Andreani, Jacopo Costanzo (WAR), Zeno Franchini (Marginal), Francesca Gattello (Marginal), Valeria Guerrisi (WAR), Izabela Anna Moren (Fondazione Studio Rizoma). 

Per approfondire il programma visita afterfestival.xyz

Simona Squadrito: Iniziamo dai temi promossi da :After. Festival diffuso di Architettura in Sicilia. Si tratta di un grappolo di questioni che necessiterebbero di una lettura intersezionale
Ricalcando un modello tradizionale e noto, quale quello del tour e della mappatura, il festival si propone di indagare, esplorare o semplicemente far riemergere dei luoghi precisi della Sicilia. Il tentativo è quello di generare una nuova iconografia: “l’idea di superare l’immagine da cartolina della Sicilia”. Si può avanzare l’ipotesi che questo festival mette in azione e attualizza una chiave di lettura psicogeografica?

Francesca Gattello e Valeria Guerrisi: Assolutamente sì, per quanto i presupposti teorici del festival non volessero esplicitamente attingere alle teorie psicogeografiche. Eppure questa interpretazione è particolarmente calzante. Il cliché per sua natura nega la complessità, assolutizza un’idea, positiva o negativa che sia, sclerotizzandone i contorni e impedendone di fatto un’evoluzione. In questa settimana abbiamo voluto ri-conoscere questa complessità, visitando luoghi e incontrando persone a loro modo eroiche. Parafrasando Gianni Biondillo, docente di “Psicogeografia e narrazione del Territorio” all’Accademia di Architettura a Mendrisio, è con l’esperienza fisica, emotiva ed estetica che si può realmente superare il pregiudizio nei riguardi di uno spazio. Attraversare il territorio a piedi permette di comprendere e interpretare il paesaggio contemporaneo fuori dai luoghi comuni mediante l’indagine e la narrazione. Così abbiamo sperimentato la visita a Gibellina in una modalità analoga quella con cui il collettivo Stalker – Osservatorio Nomade ha attraversato le periferie di Roma: la passeggiata è stata lo strumento ideale per esplorare questo luogo dalla storia particolarmente ricca di complessità dal punto di vista sociale, economico, culturali e ambientale. Questi rimandi concettuali, si rifanno anche ad un’esperienza emblematica che ha avuto luogo nel 1981 sempre a Gibellina: un seminario nella Valle del Belìce dedicato all’Intervento Minimo di Lucius Burckhardt in cui è stata sviluppata una critica alla professione del “pianificatore” sollevando l’esigenza di considerare la dimensione dell’abitare come luogo dell’osservazione, dell’ascolto, del rispetto. Lo strolling e la riflessione sull’esistente permettono di sperimentare pratiche affini alla pedagogia attraverso le quali approfondire l’analisi dei progetti urbanistici e architettonici, guardando gli spazi da più prospettive. Per aggiungere livelli di lettura a questa esperienza, sono stati invitati attivisti e abitanti di Gibellina luogo che hanno contribuito a fornire visioni e narrazioni specifiche. Così come a Gibellina, il coinvolgimento dei protagonisti dei luoghi visitati è stata una delle costanti del festival. È proprio a partire dalla dimensione del racconto che :After Festival continuerà con una seconda fase di progetto in cui realizzeremo una mappatura “narrante” dei luoghi visitati che ci auguriamo possa stimolare altri a ripetere autonomamente l’esperienza e condividere la conoscenza acquisita.

:After. Festival diffuso di Architettura in Sicilia, Giorno quattro, 2023. Photo Credit: Giacomo De Caro

S.S: Andiamo ai luoghi, ad alcuni dei siti di interesse del festival. 
Una passeggiata urbana, una deriva nella Palermo Nord, quella costruita durante il selvaggio e delinquenziale boom edilizio avvenuto tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso; una doverosa visita alla valle del Belice e poi una tappa nella città di Gela, una “soundwalk”, una “passeggiata silenziosa” alla scoperta della sua architettura e archeologia industriale, quella legata al petrolchimico ideato da Enrico Mattei; fino ad arrivare all’abbandonato Borgo Rizza. Sono tappe che parlano di diverse modalità produttive, improduttive, attuali e inattuali sul “progetto urbano”, assente ad esempio nella Palermo nord, utopico a Gibellina e nel Parco della Gorgone, progetto mai realizzato da Enzo Mari per la riqualificazione di un’area urbana di Gela.

F.G. e V.G.: La scelta dei luoghi è stata necessariamente parziale ma volutamente circoscritta. Ogni tappa si è fatta portavoce di una specifica tematica, affrontata intrecciando alla narrazione dell’architettura e dell’urbanistica contemporanea altre istanze portate in dote da sociologia, economia, geografia, antropologia, ma anche dalla letteratura, dall’arte, dal cinema, dalla filosofia. Il territorio siciliano per la sua vastità, ma anche per la posizione geografica e per le sue vicende storiche, convoglia all’interno del suo perimetro moltissime esperienze paradigmatiche che possono essere utili all’interpretazione di altri territori. Per quanto diversi tra loro, questi episodi sono quasi sempre accomunati da un alto grado di sperimentazione e un grande livello di impatto sul territorio. Abbiamo voluto portare l’attenzione alle aree di espansione e alle grandi opere realizzate a Palermo, come il controverso quartiere Z.E.N., la sovradimensionata Università di Palermo o l’abbandonata Fiera del Mediterraneo; abbiamo abitato strade e piazze di centri di nuova fondazione spopolati o abbandonati come Gibellina e Borgo Rizza; abbiamo sollevato una riflessione che mettesse in discussione gli impatti sociali, ambientali ed economici delle produttive e devastate aree legate ai complesso petrolchimico di Gela e alla centrale termoelettrica di Augusta; ci siamo interrogati su un possibile destino del mai utilizzato Hangar dei dirigibili, una maestosa acropoli contemporanea di cemento armato. Tutti questi luoghi ci parlano di progetti visionari, fuori scala o fuori contesto, che hanno comportato grandissimi investimenti pubblici e privati e che però, ciascuno per le proprie ragioni, non hanno portato gli effetti desiderati, hanno avuto brevissima vita o addirittura non hanno mai visto la luce. Eppure questa storia di apparente fallimento ha creato terreno fertile perché altri racconti possano essere tramandati. Sono storie meno chiassose, che sanno aspettare i frutti e sono realmente portatrici di un cambiamento. Sono le storie che ci hanno raccontato le associazioni e le cooperative dei quartieri problematici come Z.E.N.2, Librino e San Berillo; sono le proteste illuminate di Danilo Dolci nella Valle del Belice; sono gli interventi poetici e discreti di ricostruzione di Alvaro Siza e Roberto Collovà a Salemi; sono le battaglie -vinte- di Italia Nostra che hanno salvato le Saline di Augusta dalla cementificazione; sono la qualità innovativa e contestualizzata delle architetture di Franco Minissi, Giuseppe Samonà, Giacomo Leone, dello studio Culotta e Leone e di tutti i maestri che hanno fatto della regione un avamposto di sperimentazione; sono il tentativo di dare nuova vita e nuovo significato a spazi disabitati come quelli di Borgo Rizza. La Sicilia è questo Giano Bifronte, e non può essere compresa se non investigando entrambe le facce.

S.S: Tra le tappe del tour figurano anche delle visite in case private e in luoghi che normalmente non sono accessibili al pubblico, come ad esempio la casa Visicari disegnata dall’architetto Arno Brandlhuber, il Complesso residenziale/commerciale EGV Center, testimonianza di quella stagione di rinnovamento dell’architettura siciliana nota come “Scuola di Cefalù”, il Palazzo Amoroso di BBPR o la Villa «La Quercia» firmata da Giuseppe Samonà. Esempi eterogenei che raccontano e testimoniano praticamente la vivacità creativa di un territorio. 

F.G. e V.G.: Esplorare la dimensione dell’edilizia privata ci ha dato la possibilità di parlare di un altro tipo di ricerca, quella della scala architettonica e del suo rapporto con il contesto: urbano, rurale, ma anche più remoto e naturalistico come il querceto delle Madonie in cui Samonà progetta la villa La Quercia. Quest’ultima, su stessa ammissione dell’architetto, è stata utilizzata come cantiere di sperimentazione dato che il committente, il fratello, non avrebbe posto particolari vincoli o limitazioni. Non solo: la villa è stata sede di una serie di incontri, conosciuti come “I seminari di Gibilmanna”, che si tennero per 16 anni consecutivi dal 1970 all’1986, occasioni per una conversazione aperta non impositivo tra docenti e studenti dedicato alla progettazione architettonica e al suo insegnamento. A questo proposito, ci è sembrato molto interessante evidenziare l’esistenza di un trait d’union tra esperienze legate a pratiche dialogiche, come in questo caso e in quello del Seminario nella Valle del Belìce di cui abbiamo accennato prima, che hanno caratterizzato una stagione in cui in Sicilia la dimensione speculativa ha stimolato la crescita e la diffusione di un vivace dibattito critico. Questo entusiasmo ha sicuramente favorito la creazione di un humus teorico e progettuale che ha permesso la realizzazione di edifici paradigmatici, alcuni dei quali sono stati selezionati dal nostro team curatoriale come tappe del tour di :After. Facendo questa scelta, volevamo che emergesse anche una contingenza storica specifica, ossia che le architetture che abbiamo visitato sono frutto di un momento in cui era possibile edificare in luoghi che successivamente hanno potuto godere di una tutela specifica, ed è solo contestualizzando e storicizzando queste operazioni che è possibile coglierne a pieno il significato e il valore progettuale, allo stesso tempo considerando le implicazioni ambientali che l’edilizia privata ha generato e tuttora continua a provocare.

:After. Festival diffuso di Architettura in Sicilia, Giorno cinque, 2023. Photo Credit: Giacomo De Caro

S.S:  Oltre alle visite ai siti d’interesse il festival ha ruotato attorno a dei momenti di riflessione e di ulteriore approfondimento offerti da un ricco programma di talk che ha visto tra i suoi ospiti: Giovanna Silva, Erica Overmeer, Fondamenta, Giuseppina Grasso Cannizzo, Pippo Ciorra, Fala Atelier, Moncada Rangel, Fosbury Architecture, Shourideh Molavi, Claudio Gulli, Giovanni Leone e Roberto Collovà. Nell’appuntamento palermitano del 24 aprile l’architetto Giuseppina Grasso Cannizzo e il curatore Pippo Ciorra hanno avviato un confronto sulla pratica e metodologia progettuale. Il 27 aprile, invece, presso Borgo Rizza la ricercatrice Shourideh C. Molavi parte di Forensic Architecture e Steffie De Gaetano, Zeno Franchini, Francesca Gattello e Alice Pontiggia e Silvia Susanna, ricercatori di DAAS (Decolonizing Architecture Advanced Studies), hanno raccontato progetti già realizzati sul luogo indagando un concetto più ampio di decolonizzazione, anche in chiave pedagogica. Non avendo potuto prendere parte a questi incontri, mi piacerebbe leggere da voi una sintesi a caldo su questi momenti sopra citati.

F.G. e V.G.: Durante la talk con l’architetto Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Pippo Ciorra ha guidato una conversazione in cui, attraverso una riflessione sulle sue opere realizzate sia sull’isola ma anche in altri contesti, sono stati trattati temi legati alla metodologia progettuale dell’ospite e alla sua pratica legata al Restauro Critico. Come apertura al dibattito, è stato mostrato un video, una narrazione visiva di un recente intervento della Grasso Cannizzo in una zona rurale nei pressi di Noto che è servito come base per ampliare un discorso sul suo legame con grandi esponenti dell’arte contemporanea che hanno nutrito il suo pensiero negli anni trascorsi a Torino – primo tra tutti Alighiero Boetti – ma soprattutto sulla sua formazione, profondamente influenzata dall’architetto Franco Minissi, figura che abbiamo approfondito durante la visita all’Antiquarium da lui progettato nell’area archeologica di Himera. I temi del restauro, del riuso di architetture esistenti e della ricostruzione, sono stati ricorrenti durante le giornate del Festival come nel caso di Palazzo Abatellis a Palermo, del centro fieristico Le Ciminiere di Catania, ma anche a Gibellina e a Borgo Rizza. Proprio qui, nel penultimo giorno di :After, abbiamo dedicato un pomeriggio al tema della decolonizzazione e della riappropriazione di spazi abbandonati o caduti nell’oblio. Il lavoro presentato dai ricercatori di DAAS ci ha mostrato progetti che si sono confrontati con il concetto di eredità architettonica controversa. Uno dei gruppi di ricerca ha sviluppato un’analisi critica sul restauro che è stato applicato agli edifici del borgo grazie ad un finanziamento europeo che la regione Sicilia ha utilizzato per recuperare alcuni dei centri realizzati in epoca fascista dall’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano, cercando di individuare i principi architettonici ed etici che hanno guidato quest’operazione ma anche le implicazioni di determinate scelte che materializzano orientamenti politici specifici, passati e presenti, che impongono un modello astratto come propaganda ideologica. Un altro team invece si è concentrato sullo sviluppo di pratiche partecipate per la riattivazione di questo luogo, attraverso l’utilizzo del cibo come materia prima per veicolare riflessioni su cultura, produzione e politiche alimentari, ma anche per indagare l’utilizzo e lo sfruttamento del territorio e delle risorse, sia naturali che umane, problematizzando il rapporto coloniale tra la città/campagna/ambiente. Come scrive Joshua Samuels, storico dell’archeologia e antropologo culturale, “Colonial power, agricultural production, and agrobiodiversity are inextricably linked” e su questa base si è strutturato l’intervento di Shourideh C. Molavi, che raccontando la sua esperienza in Palestina in collaborazione con Forensic Architecture in cui ha mappato ambienti fisici sottoposti a oppressione politica, testimonia come le pratiche coloniali e di controllo possano passare attraverso la pianificazione del landscape, l’architettura e le infrastrutture. 

:After. Festival diffuso di Architettura in Sicilia, Giorno otto, 2023. Photo Credit: Giacomo De Caro

S.S: Quale “pubblico” ha partecipato attivamente al festival? Quali possono essere le strategie di comunicazione e divulgazione sul territorio siciliano di questa iniziativa? Avete pensato all’idea di organizzare una seconda edizione di questo festival? 

F.G. e V.G.: A Festival concluso, possiamo dire che siamo molto soddisfatti della partecipazione che abbiamo ricevuto. C’è stato molto entusiasmo tra tutte le persone che hanno preso parte alle nostre iniziative, molti ci hanno seguiti in tutte le tappe del tour, altri invece si sono uniti in alcuni giorni specifici, in base ad affinità di pratiche, a interessi personali ma anche per la voglia di scoprire un patrimonio di notevole rilievo ancora poco raccontato o valorizzato. Il tema dell’abbandono è emerso in maniera ricorrente durante le giornate di dibattito ed è proprio per questo motivo e per contrastare il senso di annichilimento diffuso, che spesso abbiamo riscontrato nel confronto con i professionisti locali, che nasce:After. Come possiamo riscrivere la storia dell’architettura moderna in Sicilia, superando gli stereotipi, sperimentando nuove possibilità d’uso attraverso il rispetto del territorio e la riappropriazione consapevole e critica sia degli spazi che degli oggetti dell’abitare? Nel momento in cui ci siamo immaginati il Festival, volevamo favorire una partecipazione coinvolta del pubblico per superare le modalità di fruizione culturale passiva e stimolare messa in questione di tematiche rilevanti – come la relazione tra pianificazione urbana e territorio ma soprattutto le implicazioni sociali, economiche e culturali determinate dalla realizzazione di specifici progetti architettonici e infrastrutturali – andando oltre scontate dicotomie o facili giudizi. Oltre a professionisti legati alle discipline del progetto (architetti, designer, artisti, e studenti tra cui una classe del corso di Critical Urbanism dell’Università di Basilea che da alcuni anni sceglie Palermo come luogo di indagine per un viaggio-studio formativo), abbiamo avuto il piacere di essere accompagnati da un gruppo di sei ricercatori ai quali abbiamo destinato altrettante borse di studio per lo sviluppo di un progetto di ricerca che confluirà nella produzione di :After. 
Abbiamo notato, purtroppo che si tende a considerare la Sicilia come una tabula rasa: il nostro progetto invece vuole proprio sviluppare una narrazione alternativa, raccontando la ricchezza, la qualità, il livello di sperimentazione e la visione che hanno permesso di dare forma ad un patrimonio locale eccezionale e ancora inesplorato. Per la prima edizione di :After abbiamo scelto di visitare una piccola parte dei casi studi che abbiamo individuato nella fase di ricerca: proprio per l’abbondanza di esperienze che ci piacerebbe mostrare, una seconda edizione del Festival diventa per noi un’esigenza molto forte, i cui vorremmo integrare tematiche legate anche al design e all’arte, facendo tesoro del contributo del team multidisciplinare così da ampliare la lettura delle opere e dei contesti. Prima, però, ci dedicheremo ad una fase di diffusione dei risultati raccolti negli otto giorni di tour: da una parte condivideremo online una mappatura dei luoghi – un work in progress che ci vedrà coinvolti nei prossimi mesi, poi ci sarà la pubblicazione in cui raccoglieremo testi d’autore corredati dalle foto di Giovanna Silva. Inoltre, presenteremo il progetto all’estero attraverso mostre e conferenze a Vienna, Basilea e Stoccolma, grazie alla collaborazione con i nostri partner internazionali (TU Wien, Critical Urbanism – University of Basel, Decolonizing Architecture Advanced Studies – Royal Institute of Art).