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Un memoriale in piano sequenza. Steve McQueen alla Serpentine

Testo di Aurelio Andrighetto — Al numero 5A di Heneage Street, in una traversa di Brick Lane, Gilbert & George hanno inaugurato uno spazio espositivo su tre livelli dedicato interamente alla loro produzione. Le sale sono dominate da giganteschi tableaux composti da immagini fotografiche elaborate con Photoshop e stampate a getto d’inchiostro su carta. Raccolte […]

Gilbert & George, Paradisical pictures, Date dance. 2019, particolare / Gilbert & George, Paradisical pictures, veduta della sala al piano terra
Gilbert & George, Paradisical pictures, On the bench, 2019

Testo di Aurelio Andrighetto

Al numero 5A di Heneage Street, in una traversa di Brick Lane, Gilbert & George hanno inaugurato uno spazio espositivo su tre livelli dedicato interamente alla loro produzione. Le sale sono dominate da giganteschi tableaux composti da immagini fotografiche elaborate con Photoshop e stampate a getto d’inchiostro su carta. Raccolte sotto il titolo Paradisical pictures, le opere evocano foreste e luoghi inquietanti nei quali i corpi dei due artisti si mimetizzano con soluzioni visive arcimboldesche. Le foglie e i semi che compongono questi paesaggi dai colori acidi e psichedelici sono fotografie di rifiuti vegetali ai quali Gilbert & George conferiscono un nuovo significato. Se nei disegni-sculture degli anni Settanta le loro pose avevano come sfondo una natura gentile e innocente, qui la natura è inquietante, distorta e perversa.
Gli ambienti, concepiti come dei set per le loro pose e performance (la più famosa è The Singing Sculpture del 1969) sono un marchio di fabbrica della Gilbert & George. Lo spazio espositivo di Heneage Street è una sorta di showroom della loro produzione recente, un set di nuova fattura, inaugurato il mese scorso, che gioca in modo ironico con le provocazioni degli anni Settanta e Ottanta, rievocate dalla stampa a tiratura limitata Fuck ‘em all del 2021. L’opera dà il benvenuto ai visitatori indicando il costo del singolo esemplare (£ 2,000.00, tasse incluse). Il set e la posa, l’estetismo del dandy, che contraddistingue il loro modo di interpretare il rapporto tra arte e vita, emerge in modo vistoso nell’intervista, che potremmo considerare una performance sui generis. I due gentiluomini vestiti elegantemente in un ambiente perfettamente old British, raccontano il loro sforzo di fare “un’arte per tutti” in un mondo che cambia. Questo sforzo li ha sfiniti, come si nota nell’opera On The Bench esposta al piano terra, metafora di un eterno riposo posta ad epigrafe del loro mausoleo eretto a Spitalfields.

Gilbert & George, Paradisical pictures, Dent de lion. 2019, particolare

Se il Gilbert & George Center è un mausoleo, il film Grenfell (2019) di Steve McQueen è un memoriale. L’artista e cineasta ha filmato la torre devastata da un incendio nella notte del 14 giugno 2017. Lo ha fatto nel mese di dicembre dello stesso anno, prima che il rivestimento protettivo potesse nascondere la prova di un crimine. Il film, dedicato alle 72 vittime e ai sopravvissuti, è una testimonianza delle scellerate scelte economiche e politiche che hanno causato il disastro e al tempo stesso un gesto amorevole di pietas.
L’emozione suscitata dal film è visibile nell’espressione degli spettatori al termine delle proiezioni alla Serpentine (fino al 10 maggio 2023 – in seguito una copia del film entrerà nelle collezioni della Tate e un’altra in quelle del Museum of London). Il film, girato interamente in piano sequenza, è una veduta panoramica di Londra che sposta lentamente il punto di vista dai sobborghi al quartiere di North Kensington dove si erge l’edificio, un titanico monumento all’efferatezza di un capitalismo rapace. L’improvvisa interruzione dell’audio nell’istante in cui inizia la rotazione della camera intorno alla torre accentua il senso colossale di devastazione. La rotazione guida lo sguardo in una lettura a tutto tondo dell’edificio, come è stato per la Statua della Libertà nel film Static, girato dallo stesso McQueen nel 2009. La definizione del tutto tondo come specifico codice visivo risale alla nascita dell’Accademia delle Arti del Disegno e risponde alla necessità di sistematizzare la pratica della scultura, dotandola di una teoria che ne consenta l’insegnamento. La rotazione della camera conferisce quindi alla torre lo status di scultura. Al pari delle steli funebri o dei monoliti conficcati nella terra, la torre filmata dall’artista  diventa così un segno posto a memoria di ciò che in quel luogo è accaduto, diventa cioè tomba e memoriale. Il film è sia una scultura monumentale (dal latino monumentum, formato da “monere – ricordare” e “mentum – atto, mezzo”), sia una veduta dotata di un punto di vista dall’alto.
La veduta dall’alto è un genere che si è anch’esso radicato nella nostra cultura visuale, come suggerisce una testimonianza di McQueen salito sulla torre nei primi anni ’90 in visita ad amici: “mi ricordo il panorama dalla finestra e di aver pensato di non essere mai stato così in alto prima di allora. Il punto di vista era stupefacente”. Grenfell è una tomba e un memoriale che tocca il cuore attraverso l’automatismo di sguardi stratificati nella nostra cultura visuale. L’artista ha eretto un formidabile monumento alla tragedia del 14 giugno trasferendo sapientemente nel cinema i linguaggi della veduta e della scultura.

Steve McQueen, Grenfell, 2019 (still), courtesy the artist – The film still has been issued to be as sensitive to the bereaved families, survivors and the community as possible in the media coverage of the exhibition. Please use this still to accompany articles on Steve McQueen’s work Grenfell. Please refrain from using other stock images of the Tower, especially those on the night of the disaster and of the uncovered tower to be respectful to the Grenfell community as these images can be distressing.

All’arte di Steve McQueen si affianca quella altrettanto impegnata di Ai Weiwei. Con la mostra Making Sense allestita al Design Museum (fino al 30 luglio 2023) l’artista cinese riflette sullo sviluppo urbano che ha sconvolto il suo Paese nel corso degli ultimi trent’anni e sulla scomparsa delle abilità artigianali, espressione di una cultura millenaria. Ai Weiwei esplora le tensioni tra passato e presente, tra fatto a mano e fatto a macchina, tra prezioso e senza valore, tra costruzione e distruzione. Left Right, Studio Materiali è un’installazione del 2018 composta dai frammenti delle sculture di porcellana che sono state distrutte quando le autorità cinesi hanno ordinato la demolizione del suo studio a Pechino nel 2018. Una di queste, sopravvissuta alla distruzione, è un esempio di come l’artista mettesse alla prova i limiti della lavorazione della porcellana, raggiungendo dimensioni oltre le quali non sarebbe stato possibile lavorarla.
Ai Wewei è noto per il suo impegno politico. Tra il 2006 e il 2009 ha gestito un blog nel quale criticava lo sfrenato sviluppo urbano della Cina, commentava lo sport e le notizie di cronaca, rilevando le responsabilità e le negligenze del governo nell’affrontare calamità naturali come il terremoto avvenuto il 12 maggio 2008 nella provincia di Sichuan (Cina centromeridionale), che causò 69.195 vittime, tra le quali molti bambini, sepolti dalle macerie degli edifici scolastici costruiti con materiali scadenti. Nell’opera Backpack Snake del 2008, gli zainetti usati dagli scolari cinesi formano un serpente, che rappresenta l’imprevedibilità della natura e la complessità di queste crisi. In Nian Nian Souvenir del 2021 i nomi dei 5197 studenti morti nel terremoto sono stati stampati su carta utilizzando dei sigilli in giada incisi a mano. L’artista richiama l’attenzione sul fatto che il design ha senso nella misura in cui è in grado di dare forma alle nostre memorie.
Still life (1993-2000), una distesa di attrezzi risalenti alla tarda età della pietra, acquistati nei mercati delle pulci, ricorda anche che il design ha le sue radici nella sopravvivenza. Ai Wewei invita il pubblico a riflettere sulle culture che questi oggetti rappresentano, evidenziando lo scontro tra due opposti sistemi di valori: l’artigianato e la produzione di massa gestita dalle grandi compagnie. L’opera Han dynasty urn with Coca Cola logo del 2014, composta da un’urna della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.) sulla quale ha dipinto il logo della Coca-Cola Company, invita a riflettere su questo scontro tra culture e valori.
Nella sezione Ordinary Things sono esposte riproduzioni in materiali preziosi di oggetti comuni. Per esempio una confezione per cibo d’asporto scolpita in marmo. Qualcosa di utile ma privo di valore viene così trasformato in qualcosa di inutile ma di valore. La mostra al Design Museum, è concepita come un commento al design, che l’artista orienta in senso critico, riflettendo su questioni politiche, sociali e identitarie.

Sulle stesse questioni riflette anche McQueen con una forte carica poetica e talvolta anche patetica, come nel caso del memoriale in piano sequenza. Pur se diversamente, Steve McQueen e Ai Weiwei utilizzano l’arte come strumento di critica sociale, il cui seme è stato piantato dalle proteste degli anni Sessanta e Settanta. La caustica irriverenza che spesso le caratterizzava è ben rievocata dalla scritta Fuck ‘em all con la quale Gilbert & George salutano cordialmente i visitatori, e con la quale si chiude anche il nostro itinerario di visita.