Société Interludio è per sua natura un luogo architettonicamente definito, anche se nel corso del tempo ha assunto progressivamente una connotazione ambientale sempre più dinamica e mutevole, anche in base alle esigenze espositive del momento.
In occasione della mostra Incidente domestico nella quale dialogano Giuseppe Abate (Bari, 1987), Bea Bonafini (Bonn, 1990) e Ottavia Plazza (Alessandria, 1992) lo spazio riprende quasi quella che fu la sua funzione originaria, ovvero di un’abitazione privata. Nel corridoio della galleria troviamo un confronto a tre voci, a partire da un’opera a pastelli realizzata da Bonafini. Nel lavoro dell’artista un groviglio di corpi umani, linee vivaci, contorni marcati e pose graffianti agitano l’intima composizione, definita da una cornice sagomata color lilla.
Da un lato all’altro della stanza si contrappongono quasi in modo speculare il trittico di disegni realizzati da Giuseppe Abate e quelli di Ottavia Plazza. In questa serie Abate presenta con una raffinata esecuzione tecnica e stilistica del disegno, un programma iconografico che rimanda alla classicità come nel ciclo della Morte di Atteone, una visione che simbolicamente potrebbe alludere a una sorta di riscatto macabro della natura sull’uomo. L’artista di origini pugliesi riformula visivamente nella sua ricerca una critica ai soprusi dell’uomo sull’animale, alla sovrapproduzione di carne e alle terribili condizioni degli allevamenti intensivi.
Al realismo e al dettaglio vivido del disegno di Abate, Ottavia Plazza risponde con il cromatismo, le forme, i passaggi tonali e la costruzione dei volumi che rinviano ai principi geometrici, caratterizzati da una narrazione del quotidiano e da un’ambientazione immaginifica scaturita da un’osservazione oggettuale del dato materico.
Nelle composizioni di Plazza troviamo elementi reali che assumono carattere, plasticità e armonia nella figurazione. Nella sala successiva, ovvero nel salotto, l’arazzo di Bonafini domina lo spazio e si pone come contraltare anti- figurativo dove l’utilizzo delle forme e l’idea del corpo sono frammentati, così come la superfice tessile subisce chirurgiche asportazioni materiche che generano un confronto dialettico tra pieni e vuoti, gesti e tecniche di lavorazione differenti.
Nello stesso ambiente le due grandi tele di Plazza ridefiniscono i confini dello spazio fisico attraverso l’uso di morbide combinazioni, supportate da ampie e tenui campiture, dove un blu ottanio diviene il punto di partenza di una ricerca che trova nella spazialità, nella sintesi cromatica e nell’esecuzione pittorica la sua massima espressione; mentre per la prima volta l’artista espone una ceramica smaltata ricolma di tulipani (fiori affascinanti, ma anche ambigui e distaccati), operazione quasi olfattiva che potremmo definire proustiana sull’esempio della madeleine.
Nell’ultima sala, che diviene una vera e propria project room Giuseppe Abate realizza un truce bestiario animato, un affresco vorticoso eseguito con argilla che dal basso corre vertiginosamente fino al soffitto, affiancato da un glossario figurativo sul quale sono ricamati brand alimentari, chimici e farmaceutici oramai icone pop di una società turbocapitalista.
Ripensare all’idea dell’abitare vuol dire anche creare metodologie, forme e suggestioni, la mostra è uno spazio della condivisione e dell’accoglienza, sono stanze cariche di relazioni, sentimenti e sguardi sfuggenti, filtrati attraverso una scansione psicologica, simbolica e calibrata delle opere, tuttora parte integrante di una scenografia quotidiana, di un luogo di ampiamente vissuto.