Nella galleria Z20 Sara Zanin, la vasta selezione di opere dell’artista Mariella Bettineschi valica un arco temporale che dai primi anni ‘80 approda al 2022 esibendo alcune delle tappe salienti di una poetica irregolare e volutamente indipendente dal sistema dell’arte. Aldilà della partecipazione alla Biennale veneziana del 1988 su invito di Achille Bonito Oliva e della successiva effervescente tappa nel milieu artistico berlinese – eventi che decretano il suo successo a livello nazionale e sovranazionale -, la trasversalità della Bettineschi non si è infatti mai lasciata contenere dall’adesione a movimenti o stilemi che pure ha sfiorato.
Lo dimostrano le opere in mostra che, seppure eseguite mediante una miscellanea di materiali e linguaggi eterodossi, risultano coerenti al fil rouge della “stratificazione”, modalità specifica che l’artista stessa individua come propria, mentre dialoghiamo.
Dalla delicatezza dei Morbidi, cuscinetti sottili imbottiti di bambagia cuciti o sovrascritti in colature dorate, si approda infatti direttamente alle sedimentazioni tra piume, organza, nylon e perline delle sottili boites dei Piumari, mentre il rigore delle Erme, lunghe scatole in legno coperte da vetro parzialmente dipinto, lascia intravedere per piani sovrapposti i reperti materici che l’artista vi ha celato.
Da qui a Il primo racconto (e l’ultimo) del1996-2020, sino alle recenti serie Natura e Biblioteche, la stratificazione assume simbolicamente valore di “profondità del conoscere”, una facoltà che l’autrice ascrive alle donne.
La ricerca poetica ed eversiva di Mariella Bettineschi, la sua radicale scelta di libertà espressiva coniugata a uno sperimentalismo intermediale e visionario, convergono infatti nella creazione di un universo femminile concorrenziale, nell’arte come nella vita, al sistema maschilista vigente.
Su questi aspetti nodali, soprattutto guardando alle più recenti produzioni – L’era successiva, 2022 –,abbiamo realizzato un’intervista che mira a fare luce sulla sua posizione come artista femminista.
La conversazione che riportiamo di seguito ha avuto luogo l’8 marzo 2023, celebrando così il giorno della festa della donna.
Vania Granata: Come anche afferma Paola Ugolini annoverando il tuo lavoro nel suo recentissimo testo Artiste e femminismo in Italia (2022), la tua ricerca più che un’adesione a movimenti e linguaggi (il poverismo o, in seguito, la Transavanguardia, ad esempio) si connota per uno spiccato sperimentalismo che spazia dai media tradizionali a quelli digitali di ultimissima generazione. Entrando in galleria, una delle immagini che mi ha colpito è l’opera Sofonisba Anguissola, Autoritratto (2022). Anguissola, pittrice tardo rinascimentale, fu tra le prime a godere di una reputazione internazionale. L’opera si inserisce nella tua serie L’era successiva (in mostra anche la El Greco, Signora con l’ermellino) tra i ritratti di donne notevoli prelevati dalla storia dell’arte e poi da te modificati digitalmente. Aldilà della fascinazione del ready-made rettificato di duchampiana memoria, come realizzi questo tipo di lavori?
Mariella Bettineschi: Tengo a sottolineare che il processo creativo da cui originano queste immagini non ha nulla a che vedere con quello della fotografia… Vengo da una formazione accademica, tradizionale; dalla pittura, dalla scultura, dal mosaico, ma non sono una fotografa, anche se spesso ho notato che esiste una certa confusione su di me a riguardo.
Per rispondere alla tua domanda posso dire che il primo livello di questo procedimento consta della scansione di quadri da testi o cataloghi; un iter lentissimo che cela e richiede una pazienza infinita per i mille problemi che si devono affrontare. Cercando infatti di portare le immagini prescelte ad altissima risoluzione, mi scontro con l’ostacolo della retinatura di stampa che rimuovo; quindi il primo step è quello di una vera e propria pulitura. Il secondo livello è rappresentato poi dall’eliminazione di tutte le imperfezioni: sono immagini vecchie, che spesso hanno più di cinquecento anni, devastate dal craquelé della superficie pittorica… sono completamente rovinate, in poche parole.
V.G.: Sembrerebbe quasi un’operazione di restauro la tua, oppure è un processo di idealizzazione?
M.B.: Posso dirti che se in queste opere trovo qualcosa che non mi piace, che non è perfettamente dentro la mia immaginazione, io mi “permetto” di ri-scriverle. Quindi non si tratta di un restyling di tipo tecnico, come un restauro, ma addirittura, come dire, il mio fine è quello di farle diventare ancora più belle e al contempo di attualizzarle.
Nelle opere rinascimentali o barocche da cui queste immagini femminili sono prelevate, la scena originale in cui sono immerse viene solitamente arricchita da numerosi dettagli stagliati sullo sfondo. Io lo elimino completamente e prendo invece il particolare del viso e una porzione del busto per tirarle letteralmente fuori dal fondo e portarle in primo piano.
Uso inoltre effetti luministici di schiarimento e contrasto facendo sparire quasi tutti i passaggi pittorici dell’originale, ma sono attentissima alle ombre, alle piccolissime cose, perché basta niente che diventino leziose. E la leziosità, la bellezza leziosa, non mi interessa affatto.
Raffreddo quindi la gamma cromatica al bianco e nero e le innalzo su una fascia bianca, come per metterle su un piedistallo. È proprio attraverso questo lunghissimo procedimento di separazione e raffreddamento dall’originale che queste donne approdano al nostro tempo, alla contemporaneità.
V.G.: L’opera, come già dicevamo, fa parte de L’era successiva, serie nella quale è carattere comune delle figure femminili rappresentate il fissare lo spettatore con occhi aperti e raddoppiati come esseri che osservano un altrove, un aldilà. Come si coniugano questi tuoi lavori dalla meticolosa tecnica procedurale alla tua vocazione al femminismo?
M.B.: Innanzitutto questa metodologia tecnica favorisce il passaggio del femminile da oggetto dello sguardo dei pittori e di grandissimi artisti a soggetto principale.
È il renderle soggetto ciò che infatti mi interessa, anzi eseguire un cambio di prospettiva, in chiave femminista, dell’immagine di queste donne che sono state allora dipinte da grandi artisti come si sarebbe fatto con una natura morta, con una cosa.
Io rovescio pesantemente questa ottica: voglio che queste siano invece in primo piano; che siano loro, finalmente, ad essere soggetti. Non più solamente guardate, ma donne che ci stanno guardando. Per accentuare questo processo, lavoro sull’occhio dove inseriscono una pupilla bianca sfolgorante che dà quasi un effetto da alieno. Fatta questa operazione, taglio l’occhio.
V.G: Un taglio alla Buñuel, nelle scena topica di Un chien andalou.
M.B.: Esattamente, il taglio che sta dietro è proprio quello del cane andaluso di Buñuel. Peraltro di quella rasoiata ho un ricordo angoscioso di quando da ragazza cercavo di guardare quella scena per la prima volta… ho sempre avuto questa paura di quell’attimo e curiosamente, adesso che sono adulta, con molta tranquillità taglio l’occhio e lo raddoppio per dare senso alla mia ricerca artistica dichiarando, attraverso i miei lavori, che le donne hanno una capacità visionaria molto più accentuata di quella degli uomini. Vedono due volte.
Ti dico anche il motivo, banale, per cui questo è avvenuto: le donne hanno subito per millenni una condizione di sottomissione e violenza e forse adesso, per la prima volta nella storia, almeno in un pezzetto di mondo, hanno acquisito gli strumenti – tramite la cultura, l’indipendenza economica e la libertà che necessariamente ne deriva – che hanno permesso loro di sopravvivere a quella sopraffazione.
In un mondo infatti dove puoi essere violata, uccisa o vessata, per essere riuscite a sopravvivere le donne devono aver sviluppato un’estrema intelligenza.
Per questo motivo, oggi tocca a noi prendere in mano le cose, guardare oltre, altrove: verso un’era successiva, laddove il sistema maschile ha fallito.