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I 30 anni della GAMeC di Bergamo | Intervista con Lorenzo Giusti

La GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo compie trent’anni. Festeggia questo compleanno dedicando due progetti agli ultimi tre decenni: La Collezione Impermanente #3.0, terza tappa del ciclo dedicato alla sua Collezione, e Radio GAMeC 30, la nuova stagione della radio del museo.Accanto ai due progetti, anche l’allestimento di Dancing Plague a cura […]

La Collezione Impermanente #3.0 – Isabelle Cornaro Homonymes, 2009 Calco in gesso su piedistallo cm 60x45x35 Foto: Jacopo Menzani
La Collezione Impermanente #3.0 – Jol Thomson G24|0vßß, 2016 Video 16:9 HD, 21’21” Edizione di 7 Dono Jol Thomson per Meru Art*Science Award

La GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo compie trent’anni. Festeggia questo compleanno dedicando due progetti agli ultimi tre decenni: La Collezione Impermanente #3.0, terza tappa del ciclo dedicato alla sua Collezione, e Radio GAMeC 30, la nuova stagione della radio del museo.
Accanto ai due progetti, anche l’allestimento di Dancing Plague a cura di Panos Giannikopoulos, vincitore dell’XI edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte – EnterPrize.
Per l’occasione abbiamo intervistato Lorenzo Giusti, direttore di GAMeC dal 2017.

Sara Benaglia: GAMeC compie trent’anni. Quando è stata fondata, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo nel novembre 1991 aveva delle esigenze, che sono cambiate nel tempo. Quali sono le domande critiche che GAMeC si pone oggi rispetto al presente e al futuro? Come stai progettando le mostre da qui ai prossimi anni?

Lorenzo Giusti: Riflettevo in questi giorni su cosa sia stato il 1991 per il mondo, e per una generazione come la mia in particolare. Mentre a Bergamo si lavorava per l’apertura della GAMeC l’Italia entrava in guerra in Iraq al fianco degli alleati. Era dal 1945 che non si riunivano le forze internazionali. Quella del Golfo è stata la prima guerra “in diretta” della storia, nel senso che le televisioni ci permisero di seguirla giorno dopo giorno, mostrandoci in realtà soltanto quello che si poteva o si voleva fare vedere. Capimmo dopo che nei bombardamenti erano morti decine di migliaia di civili. Io avevo 14 anni. In quell’anno abbiamo anche assistito alla disgregazione dell’Unione Sovietica e alla nascita di tante nuove nazioni, tra cui l’Ucraina. Abbiamo visto decine di migliaia di profughi albanesi riversarsi sulle coste dell’Italia. Abbiamo assistito inermi alle guerre civili africane e accolto con stupore la notizia della nascita del primo Web Browser. Trent’anni dopo, con una nuova guerra in corso, nuove minacce nucleari, mentre siamo tutti attaccati al computer per raccogliere notizie in tempo reale, mi sembra di rivivere quei momenti e penso che un museo d’arte contemporanea, per quanto votato al presente, non debba mai perdere di vista la prospettiva storica. Il passato ci parla del nostro tempo, così come il presente può rievocare accadimenti trascorsi. Le istituzioni del contemporaneo devono abitare questa dimensione, declinando all’interno dello stesso discorso memoria e visione.

SB: GAMeC dedica il suo trentesimo compleanno a due progetti relazionati con questi tre decenni: La Collezione Impermanente #3.0, terza tappa del ciclo dedicato alla sua Collezione e Radio GAMeC 30, la nuova stagione della radio del museo dedicata agli ultimi 30 anni di storia. Ci daresti qualche anticipazione?

LG: Saranno due progetti che, in maniera diversa, ci parleranno del passato recente per riflettere in realtà sul nostro tempo. La collezione Impermalente 3.0 sarà un display fluido che approfondirà alcuni temi che hanno attraversato la storia dell’arte degli ultimi trent’anni partendo dalle opere della Collezione, organizzate in sale tematiche. La mostra lavora anche sul principio dell’impermanenza dei linguaggi e dei valori, con riallestimenti ciclici, accanto a nuove presentazioni e interventi di giovani artisti chiamati a dialogare con le opere del museo. Radio GAMeC 30 sarà invece l’occasione per ripercorrere alcune tappe salienti della storia recente attraverso lo sguardo e le parole degli artisti. Partiremo dal 1991 parlando della nascita del World Wide Web con Olia Lialina, artista russa, pioniera della Net Art, e arriveremo fino alla caduta di Kabul nel 2021. Saranno in tutto 30 podcast che racconteranno eventi scelti per ragioni storico-politiche, tecnico-scientifiche, sociali o ambientali. Gli episodi saranno distribuiti sulle principali piattaforme gratuite di streaming.

SB: A breve inaugurerà l’allestimento di Dancing Plague a cura di Panos Giannikopoulos, vincitore dell’XI edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte – EnterPrize, il concorso che dal 2003 sostiene giovani curatori del panorama artistico internazionale. Ci parleresti brevemente di questo progetto? E avrà ulteriori sviluppi?

LG: La piaga del ballo è un fenomeno di isteria collettiva – o almeno in questi termini se ne è parlato fino a oggi –  verificatosi in Europa tra il XIV e il XVII secolo. Folti gruppi di persone, non si sa bene per quale ragione, hanno ballato ininterrottamente in uno stato di trance per intere settimane, fino – alcuni di loro – a perdere la vita. Panos Giannikopoulos si è interrogato sulla somiglianza di questo fenomeno con avvenimenti accaduti in altri luoghi e in altri tempi e ne ha fatto un’occasione per riflettere sulla danza come mezzo per creare identità e resistenza culturale oltre che come strumento per entrare in relazione con altri corpi.

La Collezione Impermanente #3.0 – Latifa Echakhch Frame, 2010 Tappeto Foto: Jacopo Menzani
La Collezione Impermanente #3.0 – Riccardo Giacconi Diteggiatura, 2021 Still da video Courtesy l’artista, Slingshot Films e Lo schermo dell’arte

SB: Come si posiziona GAMeC tra una comunità internazionale e una locale, anche di artisti e operatori dell’arte? Come una dimensione internazionale si riflette su quella locale?

LG: La GAMeC è un museo con una chiara vocazione internazionale, ma da alcuni anni stiamo anche lavorando sul recupero di una dimensione cittadina, che è quella che ha guidato il museo nei suoi primi passi. Cosa vuol dire essere un museo “civico” nel 2022? Abitiamo una comunità sempre più globale, che ha però un fortissimo bisogno di ripensare le proprie pratiche in un’ottica di sostenibilità – dei processi e delle produzioni – e di mantenimento dei legami umani, che la società contemporanea tende a disgregare. È qui che entra in gioco la dimensione locale. Come declinare questi principi è una sfida continua, che coinvolge tutti gli ambiti di azione del museo, a tutti i livelli. “Pensa globalmente, agisci localmente” è un motto ecologista a cui sono molto affezionato e che ha guidato tante delle nostre scelte.

SB: Come hai visto cambiare il museo in questi ultimi anni?

LG: L’esperienza della pandemia a Bergamo ha rafforzato il senso di comunità e il museo ha cercato di farsi interprete di questa dimensione condivisa. I più grandi cambiamenti, negli ultimi anni, credo che ci siano stati soprattutto su questo piano. Abbiamo però anche molto lavorato per il riposizionamento della Galleria attraverso le partnership internazionali, la realizzazione di mostre sperimentali, anche nell’ambito del moderno, e l’utilizzo dei canali digitali come spazi di produzione.

SB: Il complesso architettonico in cui GAMeC ora si trova è affascinante, ma al contempo alcuni ambienti sentono il peso del loro tempo e, viste anche le dimensioni di alcune sale, può non essere semplicissimo allestire questi spazi con opere contemporanee. È in progetto la trasformazione dell’attuale Palazzetto dello Sport nell’edificio che ospiterà GAMeC in futuro. Quali ambienti, ora non presenti, sono stati progettati per il nuovo edificio?

LG: L’antico Monastero delle Dimesse e delle Servite, rifunzionalizzato alla fine degli anni Ottanta secondo il progetto di Vittorio Gregotti, ha svolto bene il suo compito fino a oggi, ma indubbiamente, a parte l’area dell’ex cappella – che noi chiamiamo Spazio Zero – pone dei limiti allo sviluppo delle mostre. È ottimo per progetti con opere a parete, ma è difficile da utilizzare per presentare altri linguaggi. Il nuovo museo avrà spazi più grandi e dal modulo variabile, avrà un’area interamente riservata alle collezioni, che nell’edificio attuale è estremamente ridotta, e soprattutto ci permetterà di dotarci di servizi essenziali, non solo per il museo, ma soprattutto per il pubblico, tra cui un bookshop, una caffetteria, un ristorante, altre aree commerciali, una piazza, un piccolo auditorium. Parallelamente dobbiamo però anche lavorare per l’ampliamento dei nostri spazi digitali, ma questo prescinde dal discorso architettonico.

SB: L’accademia di belle arti di Bergamo quest’anno verrà fusa con il conservatorio musicale e questo potrebbe cambiare enormemente la specificità di questa istituzione. Un museo come GAMeC allora, oltre che uno spazio espositivo potrebbe anche assumere la funzione di istituzione educativa (non mi riferisco ai servizi educativi per i più piccoli, ma alla possibilità che GAMeC possa strutturare un programma indipendente come l’Independent Studies Programme del MACBA). È  mai stato pensato questo?

LG: Prima sarebbe necessario ottenere quello che i musei d’arte contemporanea chiedono da anni, ovvero il riconoscimento come Enti di formazione. Questo non solo ci permetterebbe di valorizzare quanto già si fa sul piano della didattica e della mediazione – nel caso della GAMeC penso per esempio ai corsi di storia dell’arte per adulti, come quelli del ciclo “Odissea dell’Arte” – ma anche di potere immaginare nuovi servizi formativi. Ma banalmente anche di potere permettere agli insegnanti di spendere al museo i loro buoni acquisto e beneficiare di altre agevolazioni.

SB: Come ti immagini GAMeC… tra trent’anni?

LG: Sono giorni in cui non è facile immaginare un domani radioso, ma pensando alle urgenze del nostro tempo, ai grandi cambiamenti di cui l’umanità necessita e ipotizzando, con uno slancio di ottimismo, di poterli innescare tutti negli anni a venire, la GAMeC del futuro non potrà che essere un museo sostenibile sul piano dell’impatto ambientale, un centro di produzione democratico, uno spazio multiculturale e interdisciplinare, oltre che un luogo di accoglienza, formazione e mediazione in rete con i più innovativi musei del mondo.


LA COLLEZIONE IMPERMANENTE #3.0
a cura di Sara Fumagalli, Valentina Gervasoni e A. Fabrizia Previtali 
Terzo progetto del ciclo espositivo nato nel 2018 per valorizzare in modo innovativo e coinvolgente la Collezione del museo11 marzo 2022 – 8 gennaio 2023

Il curatore greco porta al museo il progetto vincitore della XI edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte – EnterPrize che mette in dialogo storia europea, colonialismo e pandemia attraverso le opere di Benni Bosetto, Ufuoma Essi, Klaus Jürgen Schmidt, Lito Kattou, Petros Moris, Eva Papamargariti, Konstantinos Papanikolaou, Mathilde Rosier, Michael Scerbo ed Elisa Zuppini.
11 marzo – 29 maggio 2022

Petros Moris Spirit Structure, 2021-2022 Proiezione video HD, loop
Konstantinos Papanikolaou The diving Horse and other Mythologies, 2021-2022 Performance, 35’ (fotografia d’archivio)